Alessandra Mainolfi, 21 anni. Accoltellata dall’amante
Pradalonga (Bergamo), 9 Giugno 2008
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Repubblica
La giovane è stata assassinata in un appartamento – Autore del gesto, un tunisino di 25 anni, sposato e con due figli
L’omicida: “Ho ucciso il mio amore” I due si conoscevano da tempo. L’uomo ha confessato
Accoltellata dal suo amante dopo una lite. E’ morta così Alessandra Mainolfi, una ragazza di 21 anni, uccisa questa mattina in un appartamento nel centro di Bergamo. L’assassino – Mohamed Safi, un giovane di 25 anni di origine tunisina, sposato con una connazionale e padre di due figli – si è autodenunciato alla polizia subito dopo: “Ho ucciso il mio amore”.
Il delitto si è consumato nell’appartamento di Safi, un monolocale al primo piano di una palazzina in via Moroni 37, nella tarda mattinata.
Prima c’è stata una violenta lite fra i due, poi, con un lungo coltello da cucina, l’uomo ha colpito quattro volte Alessandra Mainolfi: due fendenti all’addome, uno al volto e uno alle mani. Poco prima delle undici la chiamata alle forze dell’ordine. I soccorritori hanno trovato la giovane agonizzante, distesa su una poltrona. I medici del 118 hanno provato a rianimarla per mezz’ora, ma per lei non c’è stato niente da fare.
La vittima era originaria di Campobasso ma viveva da anni a Pradalonga, un piccolo centro in provincia di Bergamo, con la madre e la sorella. Da un mese a questa parte frequentava assiduamente Safi, una relazione osteggiata dalla famiglia di lei. Negli ultimi tempi la giovane avrebbe anche manifestato l’intenzione di andare a vivere con lui.
L’assassino è un operaio, incensurato, in attesa del rinnovo del permesso di soggiorno. Viveva da tempo da solo nel monolocale dove è avvenuta la tragedia, dopo che i rapporti con la moglie si erano deteriorati e lei lo aveva abbandonato portandosi via i due figli. Alcuni inquilini del palazzo hanno riferito di avere visto la moglie di recente. Forse l’uomo voleva mettere fine al rapporto con la giovane bergamasca e provare a ricominciare con la moglie. Gli inquirenti, coordinati dal pm Ilaria Perinu, stanno tentando di fare luce sul movente dell’omicidio.
Omicidio di Alessandra Mainolfi. Quindici anni per Mohamed Safi (L’Eco di Beramo – 17 marzo 2009)
Quindici anni da scontare in carcere. È questa la sentenza decisa dal gup Maria Bianchi martedì 17 marzo nei confronti di Mohamed Safi, 26 anni, accusato del delitto di Alessandra Mainolfi, 21 anni. Per il pm Ilaria Perinu l’extracomunitario era responsabile di omicidio volontario e meritava 18 anni di carcere; per il difensore, l’avvocato Michele Coccia, il tunisino avrebbe invece colpito senza la volontà di uccidere durante una lite e dunque dovevae essere giudicato per omicidio preterintenzionale.
Nei giorni scorsi le due parti avevano delineato una dinamica certa – la lite e l’accoltellamento – divergendo però al momento di interpretare l’intenzionalità dei fendenti: secondo l’accusa Safi avrebbe colpito di proposito, per la difesa invece si sarebbe trattato di una tragedia involontaria. Il gup ha dato ragione al pm, con una pena inferiore solo di tre anni rispetto a quella richiesta.
Vittima e assassino avevano una relazione e proprio nella sfera sentimentale è stato ricercato il movente del delitto. Lui, dopo aver convissuto con lei mentre la consorte era in Tunisia, sembrava averci ripensato, dicendosi intenzionato a riprendere la vita matrimoniale. Lei si era opposta a questa decisione, innescando così la reazione violenta del nordafricano.
L’omicidio è accaduto nella tarda mattinata del 9 giugno 2007 nel monolocale al 27 di via Moroni in cui il marocchino viveva con la consorte e i due figlioletti. I due avevano cominciato a litigare fino a quando Safi, che quella mattina aveva sniffato parecchia cocaina, non aveva afferrato un coltello sferrando diversi fendenti, fra cui due all’addome che si erano rivelati letali per Alessandra.
«Ho perso la testa, non volevo ucciderla – aveva detto in carcere il ventiseienne -. Non so cosa mi è preso: abbiamo iniziato a discutere, poi non mi ricordo più cosa è successo. So solo che mi sono trovato improvvisamente con un coltello insanguinato in mano; a terra c’era Alessandra ferita».
Era stato lo stesso Safi a chiamare la polizia: «Ho ferito una persona, venite». Quando era giunta l’ambulanza del 118 la giovane era riversa su una poltrona, priva di sensi. Il medico per più di mezz’ora aveva cercato di rianimarla, ma ogni tentativo s’era rivelato vano. Alessandra Mainolfi, che era originaria di Campobasso ma che abitava a Pradalunga con la madre e la sorella, è morta a causa delle due coltellate all’addome.
Lo sdegno e la rabbia (Rai News TgR Molise – 20 ottobre 2019)
Parla il cugino di Alessandra Mainolfi, uccisa il 9 giugno 2008 da Safi Mohamed. Era condannato a 12 anni ma durante un permesso di lavoro ha tentato di uccidere la nuova compagna
Tentò di uccidere la compagna, aveva già ucciso la ex: “Questa condanna è una vittoria mia e di Alessandra” (La Stampa – 25 marzo 2022)
La corte d’appello di Torino ha confermato la pena a 16 anni per Mohamed Safi
«Questa vittoria non è solo mia, ma anche di Alessandra che lui ha ucciso nel 2008». Francesca è una donna coraggiosa. Sopravvissuta al fidanzato che ha cercato di tagliarle la gola perché voleva lasciarlo, per quattro anni ha dato battaglia nelle aule di Palazzo di Giustizia. E oggi la Corte d’appello ha confermato i 16 anni di carcere inflitti in primo grado a Mohamed Safi, il trentanovenne che l’aveva aggredita nell’ottobre 2019.
Francesca, rappresentata dalle avvocate Anna Ronfani e Vittoria Canavera, ha combattuto. Per sé stessa, certo. Ma anche per Alessandra Mainolfi, uccisa a 21 anni da Mohamed nel 2008 a Bergamo. «È la nostra vittoria», dice. Sua e di Alessandra. Entrambe vittime di un uomo che le considerava degli oggetti: «Sei mia e sarai mia per sempre».
Alessandra Mainolfi voleva lasciarlo, lui l’ha pugnalata al petto. Finito in carcere, al Lorusso e Cutugno di Torino stava scontando una pena di 15 anni. Beneficiava della modalità di lavoro esterno prevista dall’articolo 21 dell’ordinamento penitenziario: prima come aiuto pasticciere da Gaudenti, locale nel centro città, poi come cameriere ai tavoli del bar di Palazzo di Giustizia, e infine al bistrot di Grugliasco.
Mohamed e Francesca si conoscono in chat nell’estate di quattro anni fa. Messaggiano, iniziano a vedersi. Si frequentano per sei mesi, ma lui ha comportamenti e atteggiamenti sospetti. «Mi dava sempre appuntamento negli stessi posti, alla stessa ora – aveva spiegato Francesca alla polizia – Cambiare programma era impensabile. Così come organizzare una gita fuori città, un pranzo o una serata al cinema». Perché? Mohamed era detenuto per aver ammazzato la fidanzata. Questo, però, a Francesca non l’aveva mai detto. Lei si insospettisce. Per scoprire il suo segreto, le basta una breve ricerca su Google. A quel punto decide di lasciarlo. Lui cerca di ucciderla.
La sera tra il 18 e il 19 ottobre 2019 si erano dati appuntamento fuori dal bistrot di Grugliasco. Salgono su un tram della linea 4, lei gli spiega che vuole chiudere la relazione. Arrivati a Barriera di Milano, la donna si dirige verso casa. Mohamed la getta a terra e si avventa su di lei con una bottiglia di vetro. Cerca di sgozzarla, davanti ai passanti. Quella ferita sul viso di Francesca è ancora lì. Nemmeno la giustizia può cancellarla. «Sono viva solo perché alcuni passanti non si sono girati dall’altra parte, ma mi hanno salvata quando stava per finirmi. Grazie a loro sono ancora qui, posso andare avanti e posso continuare a raccontare ciò che è successo. Per me e per Alessandra. Io sono viva, lei no. Ma ha vinto lo stesso attraverso di me».