Adalgisa Montini, 37 anni, operaia, mamma. Uccisa con un colpo di pistola alla testa nel garage di casa dal marito (da cui viveva separata) che ha poi trasportato il corpo in una baracca e si è sparato sdraiandosi vicino a lei, “come Romeo e Giulietta”
Montesluga (Sondrio), 14 Novembre 2006
Titoli & Articoli
“Chi l’ha visto” ritrova i corpi dei coniugi scomparsi (Ticino Online – 30 novembre 2006)
I cadaveri di Achille Martinoni e Adalgisa Montini sono stati rinvenuti dalla troupe di ‘Chi l’ha visto’ a due chilometri dal luogo dove era stata abbandonata la macchina di lui
MONTE SPLUGA – Ritrovati i corpi di Achille Martinoni e di Adalgisa Montini, i due coniugi scomparsi il 14 novembre scorso da Garzeno, un piccolo centro sulle rive del lago di Como. I cadaveri sono stati rinvenuti dalla troupe del programma ‘Chi l’ha visto?’ di Raitre mentre stava effettuando delle ricerche insieme al fratello di Martinoni, Giacomo, e ad altri parenti. L’uomo giaceva su un letto di un vecchio ristorante abbandonato, nella zona di Monte Spluga, poco distante dal confine svizzero, a circa due chilometri dal luogo dove era stata ritrovata, il 21 novembre scorso, la sua macchina. All’interno dell’auto, un’Alfa 146 bordeaux, era stato rinvenuto un biglietto scritto da Martinoni in cui chiedeva perdono alla figlia quindicenne della coppia.
Poco distante dal corpo, che mostrerebbe segni evidenti di sucidio, è stato ritrovato anche il cadavere della moglie.
Sul luogo del ritrovamento il sostituto procuratore Giulia Pantano, della Procura di Como, e il medico patologo che eseguirà i primi riscontri sulle vittime. Sarà lui a stabilire con esattezza a quando risale la morte dei coniugi, separati ormai da tempo.
Tra le ipotesi al vaglio degli inquirenti quella che Adalgisa Montini sia stata uccisa a colpi d’arma da fuoco dall’ex marito nella sua auto, una Fiat Seicento, in cui sono state riscontrate macchie di sangue e materiale organico. La donna sarebbe poi stata trasportata in località Montespluga, a quota 2 mila metri. L’uomo avrebbe poi rivolto l’arma, una pistola calibro 7.65 regolarmente detenuta, contro se stesso. A far luce su quello che sembrerebbe a tutti gli effetti, quindi, un omicidio-suicidio legato a motivi passionali ci sono i carabinieri del reparto operativo di Como e della compagnia di Menaggio, che hanno seguito le ricerche subito dopo la scomparsa della coppia.
”La gente è incredula e sconvolta – dice all’ADNKRONOS don Alfredo, parroco della piccola comunità Catasco di Garzeno -. In un paese in cui si conoscono tutti l’evento ha una risonanza ancora più forte. E’ un episodio doloroso che non avremmo voluto vivere”.
Si ritrova così senza i genitori la figlia quindicenne della coppia. ”Sperava che non fosse successo il peggio – sottolinea il parroco che le è stato accanto in questi giorni -. Soffriva moltissimo e non voleva ammettere a se stessa che suo padre fosse in grado di compiere un gesto simile”. Il parroco ora rassicura ”starò accanto alla ragazza e ai parenti, andrò presto a farle visita e a darle forza”.
La minorenne, affidata ai nonni materni e seguita dai servizi sociali, ha trascorso le sue serate, dopo la scomparsa dei genitori ”spesso chiusa nella sua camera. Non aveva voglia di parlare – conclude padre Alfredo – né di incontrare nessuno. Soffre molto ed è molto provata”.
«La speranza di trovarli vivi c’era, ma eravamo pronti al peggio»
La scoperta del fratello e del cognato: «L’ha amata fino all’ultimo»
Trovati in una mansarda dai parenti i corpi di Achille Martignoni e della moglie, i coniugi scomparsi due settimane fa nel Comasco
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MONTESPLUGA (Sondrio) — Giacomo non riesce a smettere di piangere, urla si dispera. Ha appena trovato il corpo del fratello, avvolto in una trapunta in quella casetta abbandonata, accanto al cadavere della moglie. Lo abbraccia, sussurra «Achille, Achille». Poi si allontana, scende dalla mansarda e tra le lacrime dice: «Sono morti abbracciati. Sembrano Romeo e Giulietta. Lui l’ha amata tanto ed è stato così sino alla fine». Giacomo non voleva arrendersi, sapeva che suo fratello non era scappato, che era rimasto quassù, vivo o morto, tra le sue montagne. Uno strano presentimento lo guidava. E così ieri aveva organizzato una battuta sullo Spluga. Con il cognato Camillo e altri tre parenti, eravamo partiti anche noi del Corriere alle dieci di mattina da Montespluga. Tutti conoscono molto bene la zona. Per cinque ore, divisi in due gruppi camminiamo sulla montagna ispezionando ogni anfratto.
All’ora di pranzo, mentre torniamo verso il paese per una sosta, Giacomo vede un ruscello, ferma la macchina e scende a dare un’occhiata. «Qui è pieno di anfratti — commenta — li chiamano buchi neri. Dobbiamo setacciarli. Achille l’anno scorso aveva raccontato che da queste parti c’è un buco così profondo che se ci cadi dentro non ti trovano più». In macchina Camillo confessa di aver paura di trovarsi davanti all’improvviso il cadavere del cognato, ma non immagina certo che fra tutti toccherà poi a lui scoprire il tragico epilogo di questa storia.
Dopo pranzo torniamo a battere le montagne, ma a un certo punto Giacomo e Camillo scendono verso valle. Più tardi squilla un cellulare, è Giacomo, agitato: «Presto venite giù. Qui, vicino allo skilift abbandonato, c’è uno strano odore». Quando lo raggiungiamo, alla periferia di Montespluga, è già chiaro che si tratta dei resti di un animale. «Forse Achille si è cibato di questo». Giacomo decide di ispezionare di nuovo una casetta di legno pericolante lì vicino, che una volta era un ristorante. Poche ora prima c’è stato un altro del gruppo, Marino, ma non ha trovato niente. «Riproviamo, guardiamo bene». Con l’aiuto di una torcia entriamo, la prima impressione è che in questo posto abbandonato ci sia uno strano calore. Qualche vecchio mobile abbandonato, uno specchio, un bagno sulla sinistra. «Sopra, dobbiamo guardare sopra!». Giacomo all’improvviso diventa agitato, pare sentire che suo fratello è la dentro. Spinge suo cognato, titubante ad arrampicarsi verso la botola che porta sulla mansarda usando come scala un mobile. Lui con la torcia da un’occhiata nel locale, tutto di legno con il soffitto spiovente: «Non c’è niente qui, solo un divanetto». Giacomo è sempre più nervoso: «Vai avanti, vai avanti! Voglio sentirti camminare». Nel silenzio e nel buio risuonano i passi sul pavimento di legno, poi un grido: «Oddio! È qui, è qui! L’ho trovato, è morto!». Corre su anche Giacomo. Poi scoppia la rabbia: urla, imprecazioni contro i carabinieri, mobili che vanno in pezzi. Achille Martinoni, piegato su un fianco, coperto con una trapunta azzurra come dormisse, ha ancora in mano la pistola con cui si è sparato, chissà quando, un colpo alla testa. Accanto a lui, nascosto sotto un plaid, c’è il corpo della moglie. Sopra, il sangue rappreso di lui. È l’ultima scena del «giallo del lago».
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Montespluga: tre anni fa la tragedia nella baracca (la Provincia di Sondrio – 15 novembre 2009)
Era il 14 novembre 2006 quando a Garzeno spariva una giovane coppia del posto. Iniziò così la tragica vicenda dei coniugi Martinoni, conclusasi 15 giorni più tardi, il 29 novembre a Montespluga, con il ritrovamento dei loro corpi privi di vita
In Valchiavenna in questi giorni cade il triste anniversario di un tragico fatto di cronaca. Era il 14 novembre 2006, esattamente tre anni fa, quando a Garzeno spariva una giovane coppia del posto. Iniziò così la tragica vicenda dei coniugi Martinoni, conclusasi 15 giorni più tardi, il 29 novembre a Montespluga, con il ritrovamento dei loro corpi privi di vita.
Morti tutti e due: Achille Martinoni, il marito assassino morto suicida, e Adalgisa Montini, la vittima di quel raptus assurdo e violento, furono trovati in un pomeriggio freddo di novembre, alle 16.30, nel giaciglio preparato alla buona, unendo tre materassi nel soppalco in una baracca di Montespluga, un tempo utilizzata come rifugio per i turisti quando ancora funzionavano gli impianti di risalita della frazione nel comune di Madesimo.
Un dramma che qualcuno ricondusse alle trame incomprensibili della gelosia, delle angosce di un rapporto logorato al quale lei, Adalgisa, aveva deciso di mettere la parola fine nonostante una figlia giovanissima e nonostante le due famiglie si conoscessero da sempre. A prevalere furono le differenze: lei, aperta socievole con il fermo proposito di rifarsi una vita; lui più introverso, innamorato e mai rassegnato alla separazione che l’avrebbe portato lontano dalla moglie e dalla figlia. Martinoni era disperatamente legato ad Adalgisa e l’idea di perderla per sempre, di non poter vedere ogni giorno sua bambina, ha finito con il fargli commettere il più orrendo dei delitti. Dopo i primi giorni dalla loro scomparsa, le forze dell’ordine batterono palmo a palmo la zona di Garzeno e del lago di Como, fino a quando non fu segnalata la macchina di Martinoni a Montespluga, in provincia di Sondrio, a poca distanza dal confine con la Svizzera.
A bordo un biglietto rivolto alla figlia, nel quale l’uomo cercava di depistare le autorità annunciando di essersi trasferito all’estero, lontano, insieme alla moglie per tentare una nuova riappacificazione. La piana di Montespluga si trasformò per giorni nel terreno di ricerca di sommozzatori, squadre cinofile, elicotteri e sensitivi. Il tutto senza alcun esito, fino a quando i parenti della coppia – spinti dalla disperazione – non decisero di entrare nella baracca abbandonata nel fondovalle, la stessa che era stata perlustrata già altre volte dalle forze dell’ordine. Seguendo forse l’istinto, decisero di salire al primo piano.
Lassù, dietro una porta chiusa con cura, in un angolo della soffitta c’erano i due corpi senza vita. Si scoprirà poi che Martinoni aveva ucciso la moglie il 14 novembre con un colpo sparato a bruciapelo. Dopo aver trasportato il corpo in auto fino alla baracca di Montespluga, aveva lasciato l’auto vicino al passo ed era tornato nella baita, dove si era tolto la vita.