Igor Maronese, 22 anni, elettricista. Strangola la fidanzata, la violenta da morta e poi la getta sul greto del fiume. Condannato a 12 anni e mezzo, è libero dopo 4 anni e mezzo. Nel 2003 aggredisce una coppia in casa e torna in carcere per un altro po’
San Stino di Livenza (Venezia), 13 Novembre 1988
Titoli & Articoli
‘NON VOLEVA FARE L’ AMORE PER QUESTO L’ HO ASSASSINATA (la Repubblica – 22 novembre 1988)
Nella notte, piangendo, ha confessato di aver violentato e ucciso la fidanzata di 17 anni, colpevole di non aver acconsentito ai suoi desideri, e poi all’ alba di domenica ha accompagnato i poliziotti in riva al Livenza, un fiume che scorre tra la provincia di Treviso e quella di Venezia, e ha indicato il luogo dove aveva gettato il corpo.
Così sono terminate le ricerche di Arianna Vico, 17 anni di Portogruaro, che era scomparsa di casa la sera di domenica 13 novembre: gli agenti l’ hanno trovata seminuda, quasi coperta dal fango portato dall’ acqua del fiume. Stamane Igor Maronese, 22 anni, un elettricista di San Stino di Livenza, verrà interrogato dal sostituto procuratore di Treviso Gianni Cicero: è accusato di omicidio volontario, violenza carnale e occultamento di cadavere.
Adriana era alta, bionda, slanciata e piena di vita e non aveva mai dato problemi alla famiglia, che già da qualche giorno ormai pensava al peggio: il padre, un imprenditore edile, aveva già pensato di scandagliare il fiume assieme ad alcuni amici ed aveva organizzato la spedizione per domenica. Se fosse fuggita con qualcuno me lo avrebbe raccontato prima perché andavamo d’ accordo aveva spiegato la sorella Laura Matilde di 19 anni e aveva aggiunto che la ragazza, anche se tardava di qualche ora, solitamente telefonava a casa per avvisare i genitori.
Inizialmente, comunque, polizia e carabinieri avevano vagliato più ipotesi per cercare di capire il motivo della scomparsa di Arianna. Lo stesso Igor Maronese era già stato interrogato perché in molti, domenica scorsa, verso l’ una di notte, l’ avevano visto uscire dalla discoteca assieme ad Arianna. Ma il giovane aveva continuato a ripetere che dopo essere saliti insieme sulla sua auto, avevano fatto poche centinaia di metri, quindi aveva riaccompagnato la fidanzata in discoteca perché lui il mattino seguente doveva alzarsi presto per andare a lavorare. Ma il commissario di polizia Giuseppe Mauceri non era convinto di quella versione e, dopo aver battuto tutta la zona inutilmente assieme ai vigili del fuoco per l’ intera settimana, ha deciso di interrogare nuovamente Maronese. Ha atteso che rientrasse a casa sabato notte e lo ha portato negli uffici del commissariato di Portogruaro.
L’ interrogatorio è durato più di tre ore e alla fine il ragazzo ha confessato e, in lacrime, ha accompagnato i poliziotti in riva al fiume ed ha indicato dove aveva gettato il corpo della giovane. Arianna era ancora lì, coperta di arbusti: il fiume non era ancora riuscito a trascinarla via.
Igor Maronese è crollato dopo ore di domande trabocchetto, dopo essersi contraddetto più volte: Sì sono stato io, l’ ho uccisa perché non voleva fare all’ amore con me ha urlato piangendo al funzionario di polizia. Il giovane elettricista era uscito dal Finimondo, una mega-discoteca di Motta di Livenza dopo l’ una, mano nella mano con Arianna, che probabilmente intendeva allontanarsi poco, visto che aveva lasciato nel locale sia la borsetta che il cappotto. Ma Igor l’ ha convinta a salire sulla sua auto: hanno fatto circa 5 chilometri, poi hanno lasciato la strada principale e per un viottolo sono scesi verso il greto del fiume.
L’ auto si è fermata, i due giovani hanno cominciato a discutere: lui le ha chiesto di fare l’ amore, lei non ha voluto e così l’ ha aggredita, le ha strappato prima la camicetta poi le mutande, ma Arianna continuava a restire, a urlare, allora Igor Maronese con le mani le ha stretto il collo e subito dopo l’ ha violentata. Quando si è accorto che era morta probabilmente era passato già qualche minuto, allora ha preso il suo corpo e l’ ha lasciato scivolare sulla scarpata, quindi ha gettato anche la camicetta e le mutandine. Poi è tornato a casa e il mattino dopo si è alzato alle sei per andare a lavorare. Quel terribile segreto l’ ha mantenuto per una settimana, riuscendo a rispondere senza tradirsi alle domande degli inquirenti. Ma un poliziotto più tenace di altri lo ha fatto confessare.
«Dopo 4 anni e mezzo era già libero» (La Repubblica – 19 luglio 2003)
«Me lo ricordo quel giorno, mi avvertirono degli amici. Mi dissero: ‘Guarda che Igor è già uscito”. Io all’inizio non ci credetti. Ma era vero. Igor camminava per le strade, andava dove voleva. Tornava in carcere solo la notte. Dopo 4 anni e mezzo l’uomo che ha ucciso e poi profanato il corpo di mia sorella, che aveva appena 17 anni, se ne andava in giro di nuovo per il paese. E dopo 7 anni potè andare a dormire dove gli pareva: la pena era finita».
La voce di Laura Vico trema per un momento, ma uno solo. Lei aveva 19 anni quel maledetto 13 novembre del 1988, quando la cattiveria distrusse la sua famiglia. La sorellina Arianna, quella con cui lei aveva un rapporto speciale, quell’amicizia complice che una sorella più grande ha con quella che sta diventando donna, venne uccisa e ritrovata tra i canneti del Livenza. La cattiveria segnò anche il destino della mamma Marina, una donna dolce, maestra elementare in pensione, che morì tre anni dopo.
Ma la cattiveria aveva un volto preciso: quello di Igor Maronese. Lui, l’elettricista all’epoca diciannovenne di San Stino, ex fidanzato di Arianna. La cattiveria peggiore: Igor l’ha uccisa perchè lei non voleva fare l’amore con lui. Per questo Igor l’ha strangolata e poi violata.
«Che c’è di peggio di questo?», si chiedeva la gente in quei giorni da incubo, passando furtiva davanti alla villetta di via Arno 11, dove la famiglia Vico aveva vissuto felice fino a quel momento.
«Di peggio c’è stata quella sentenza vergognosa, che ha permesso a quell’uomo che aveva ucciso per fare violenza a una minorenne di uscire dopo 4 anni e 6 mesi», dice ora Laura.
La villetta di via Arno non c’è più, ma la vita va avanti. Laura non vuole ricordare, ma durante i giorni della scomparsa di Arianna, quei sei interminabili giorni e notti prima che il corpo venisse ritrovato, quando si diceva che forse sua sorella era scappata, lei ha avuto una serie di incubi premonitori. I familiari raccontavano che lei si svegliava più volte in preda di brutti sogni con un finale tragico. Come se avesse sentito che la bellissima sorella Arianna non c’era più. Come se avesse capito che quel ragazzo che aveva un comportamento cosi buono e servizievole, quel diciannovenne di San Stino era in realtà l’orco dei suoi sogni.
«Io a San Stino non ci sono più potuta andare, non ce la faccio ancora adesso», spiega Laura, «ma non potrò mai dimenticare che mentre mia mamma pregava per la famiglie dell’assassino di sua figlia, a noi nessuno ha dato nè una mano nè un sorriso. Ci siamo indebitati per pagarci l’avvocato, quasi fossimo noi a doverci difendere, mentre lui si limitava a dire ‘Non ricordo” e a sorridere al momento della condanna».
Maronese torna in carcere (la Tribuna di Treviso – 19 luglio 2003)
Quindici anni fa un’altra donna ebbe la sfortuna di attraversare la vita di Igor Maronese, di Annone Veneto: Adriana Vico aveva 17 anni quando la uccise, poi la violentò e la abbandonò nel greto della Livenza, a Motta, perché «non ci stava». Per questo la corte di assise di Treviso, nell’89, lo condannò a 12 anni e mezzo. Entrato in carcere a 19 anni ne è uscito dopo 7 anni e mezzo.
Oggi ci torna. Ed è stata ancora una donna a suscitare in lui istinti terribili, da incubo, che gli sono costati l’arresto per violazione di domicilio, tentato omicidio.
La donna abita li, nel condominio Resi in via Postumia in centro ad Annone, nell’appartamento a fianco di quello di Maronese. Ieri mattina, poco dopo le quattro, ha scavalcato il davanzale della propria finestra al quarto piano, e dopo aver percorso un paio di metri appoggiandosi con le mani ad un terrazzino e con i piedi lungo un cordolo, è riuscito ad arrivare alla finestra della donna.
L’ha scavalcata ed è entrato all’interno cogliendo di sorpresa i coniugi, svegliandoli di soprassalto, e urlando al marito R.F. di 39 anni, di consegnare i soldi altrimenti gli avrebbe violentato la moglie. A queste minacce il marito ha tentato di rispondere pacatamente, conoscendo il carattere violento del suo dirimpettaio e, frapponendosi tra la moglie e Igor, ha detto di non avere liquidi in casa.
Ma Igor ha insistito, conosce l’uomo che gestisce un piccolo ristorante in cui la donna fa la cuoca: le parole di F.R. non lo convincono, diventa più violento, prende in mano il ferro da stiro e colpisce con la parte piatta il viso della donna e la testa dell’uomo che a questo punto reagisce. Maronese fugge e, attraverso un altro terrazzino sale sul tetto e si allontana.
Intanto, chiamati dai vicini, erano giunti in forze i carabinieri che, instradati dalle grida di quanti erano stati svegliati cosi bruscamente, hanno inseguito Maronese e dopo qualche peripezia sono riusciti a catturarlo e a renderlo inoffensivo per sé e per gli altri. L’hanno condotto nella cella di sicurezza della vicina caserma di Annone.
Erano ormai le cinque e mezzo quando la piazzetta si è riempita degli abitanti del condominio e quelli che avevano assistito alla scena non hanno nascosto la loro preoccupazione, mentre l’ambulanza del Suem trasportava in ospedale la coppia, ferita in modo abbastanza serio. «Era violento, sembrava in preda ai fumi dell’alcol», dice l’inquilina del terzo piano che stava dormendo nella camera giusto sotto quella in cui Igor stava minacciando i coniugi, ed è stata svegliata dal trambusto causato dall’alterco.
Forse non erano molti quelli che conoscevano il passato di Igor Maronese; i più lo vedevano arrivare e parcheggiare il camion sul piazzale davanti il condominio. Il lavoro da camionista glielo avevano trovato gli assistenti sociali che dal 1996, quando Igor ottenne l’affidamento e usci per sempre dal carcere dopo appena sette anni dall’omicidio di Arianna: ma già dopo 4 anni e mezzo vi tornava solo la notte. Gli assistenti hanno continuato a seguirlo per un po’. Con il lavoro avrebbe potuto riscattare il suo passato, ma non era un tipo socievole e in paese non conosceva nessuno.
«Non torneremo in quell’appartamento di Annone». I coniugi Fabio e Jenny Riva (lui vittoriese, lei opitergina) son tornati nella Marca. Sono scossi dopo l’aggressione subita l’altra notte nella loro casa. «Siamo arrabbiati con tutti, anche con voi giornalisti, delusi da una società che protegge il criminale con l’anonimato e lascia indifesi i cittadini. Se avessimo saputo che un elemento cosi pericoloso abitava vicino a noi, avremmo preso qualche precauzione». Parlare poche ore dopo il fattaccio non è facile.
Ma entrambi hanno il carattere forte. Eppure sono reduci dalla brutale aggressione di Igor Maronese, il ragazzo che uccise nel 1988 Arianna Vico, e che è tornato in carcere con l’accusa di tentato omicidio.
Hanno visto la morte in faccia, Jenny e Fabio, gestiscono di un noto ristorante. Lei, 33 anni, di Oderzo, è ferma, almeno apparentemente. «Stavamo dormendo, quando quell’uomo si è gettato sul letto, colpendo mio marito con il ferro da stiro preso in cucina – dice – Non mi sono subito resa conto di quanto stesse accadendo, perché aveva dell’incredibile: uno sconosciuto si era introdotto in mutande e canottiera nella nostra camera e, dopo avermi colpita con un pugno, stava tentando di uccidere mio marito».
Fabio Riva, 34 anni di Vittorio Veneto, nel frattempo ha ingaggiato con Maronese una lotta furibonda. Colpito da Maronese, Fabio era una maschera di sangue, intontito dal colpo alla nuca infertogli dal malvivente con il ferro da stiro. La ferita sarà poi ricucita dai medici con 13 punti di sutura. Jenny è corsa fuori in cerca di aiuto, ha urlato, bussato disperata alle porte dei vicini. Ma nessuno si è detto disposto ad intervenire. Lei si è sentita perduta.
Jenny ha gridato ancora la sua rabbia, è tornata di corsa in casa. Giusto in tempo. Con gli occhi sbarrati dal terrore, ha visto le mani di Igor Maronese strette in una morsa mortale intorno al collo del marito, che ormai non sembrava più in grado di arginare l’aggressore. «Fabio stava per soccombere, aveva il viso paonazzo, ho temuto per la sua vita – ricorda Jenny – allora ho preso un grosso cacciavite a stella e ho colpito alla cieca». Le spalle, i fianchi, ma la forza della giovane non ha causato problemi a Maronese. Ma il dolore lo ha costretto ad allentare la presa.
Barcollante, Fabio è riuscito ad alzarsi, e insieme alla moglie è fuggito, chiudendo la porta a chiave: Maronese è rimasto imprigionato nell’appartamento. Saliti sull’auto parcheggiata sotto casa, si sono chiusi dentro, chiamando le forze dell’ordine che hanno fatto fatica a credere all’incredibile storia. «Anch’io ho picchiato duro, è incredibile che con quel calcio al basso ventre lui non abbia aperto nemmeno bocca – dice Fabio – Sembrava insensibile ai colpi...rivedo i suoi occhi sbarrati, stralunati, la bocca sempre aperta, pronta a mordermi ovunque». Mostra la mano destra: sembra passata tra le fauci di un doberman. «Quello che ci ha meravigliato – dicono i coniugi – è che poco prima che arrivassero le forze dell’ordine, Maronese sia uscito dal portone principale».
L’uomo, uscito dall’abitazione dei Riva, sarebbe penetrato in un appartamento sottostante, il cui proprietario stava dormendo cosi profondamente da non sentire nulla. Maronese, inseguito dai militi dell’Arma, era in un corridoio, accucciato in un angolo «Non ho mai conosciuto quell’uomo – spiega Jenny – né credo di averlo mai incontrato». Fabio crede invece di averlo incrociato talvolta in piazza.
È stata sottoposta a pignoramento l’abitazione di proprietà di Igor Maronese, il camionista trentacinquenne di Annone Veneto condannato a dieci anni di reclusione per i reati di violenza sessuale, violazione di domicilio e tentato omicidio nei confronti di una coppia di vicini di casa.
Nei giorni scorsi, su istanza dei legali delle vittime, il provvedimento di sequestro conservativo emesso in sede penale dal gup Daniela Defazio è stato convertito in pignoramento, primo passo per attivare la procedura che dovrebbe portare alla vendita all’asta dell’appartamento. La prima sezione della Corte di Venezia, presieduta da Claudio Dodero, ha infatti condannato Maronese a risarcire 150 mila euro a ciascuna delle due parti offese. Maronese, però, non possiede una somma così consistene e così la coppia avrà una sola possibilità per ottenere il denaro: chiedere al giudice la vendita dell’immobile del giovane.
L’episodio di violenza per il quale Maronese è finito in carcere risale al 18 luglio del 2003. Dopo aver percorso alcuni metri in equilibrio lungo il cornicione dell’edificio nel quale risiedeva, il camionista di Annone, si introdusse nel cuore della notte nell’appartamento di una coppia di vicini, sorprendendoli nel sonno. Colpì con un ferro da stiro l’uomo, stringendogli le mani al collo per cercare di strangolarlo e successivamente tentando di abusare della moglie.
Successivamente si giustificò sostenendo di essere stato in preda ai fumi dell’alcool e di non essersi reso conto che cosa stava facendo: al giudice assicurò di non avere alcun motivo per aggredire i vicini e di non provare alcun sentimento di inimicizia nei loro confronti. La perizia psichiatrica effettuata nel corso del processo riconobbe la sua capacità di intendere e di volere.
Nel 1990 Maronese aveva già subito una condanna ad otto anni di reclusione per omicidio preterintenzionale e vilipendio di cadavere: in quell’occasione era stato accusato di aver violentato ed ucciso due anni prima l’ex fidanzata, Arianna Vico, di appena 18 anni. In un primo tempo Maronese aveva finto di partecipare alle ricerche, per poi confessare il delitto.