Loading

Maria Anastasi, 40 anni, mamma e incinta al nono mese del quarto figlio. Dopo anni di violenze, viene massacrata a colpi di vanga, cosparsa di benzina, bruciata e abbandonata nei campi dal marito e dall’amante di lui

Erice (Trapani), 4 Luglio 2012

 

 


Titoli & Articoli

Trapani: trovata morta nelle campagne la donna scomparsa due giorni fa (StrettoWeb – 6 luglio 2012)
E’ stata trovata morta, nelle campagne di Trapani, la donna scomparsa due giorni fa: Maria Anastasi di 39 anni, madre di due figli ed incinta di 9 mesi. Il cadavere era semi carbonizzato e riverso per terra. A denunciare la scomparsa ieri sera era stato il marito. La sua versione dei fatti pero’ non ha convinto i carabinieri. L’attenzione e’ puntata proprio sul coniuge, Salvatore Savalli, la cui posizione e’ attualmente al vaglio degli investigatori.

 

Annarita Savalli: “Denunciate la violenza domestica. Non arrendetevi se non vi ascoltano” (Tp24 – 7 luglio 2013)
E’ il messaggio di Annarita Savalli, la giovane trapanese che un anno fa ha perso la madre, Maria Anastasi, vittima della violenza del padre, Salvatore Savalli, sotto processo davanti al Tribunale di Trapani con l’amante presunta sua complice Giovanna Purpura.
L’occasione per parlare della sua vicenda personale è stata la marcia organizzata a Trapani proprio per ricordare la morte atroce di Maria Anastasi, uccisa a colpi di zappa, e poi bruciata viva nelle campagne tra Trapani ed Erice. Annarita vuole che nessun altro viva la sua tragedia: “Date ascolto a chi denuncia”. Lei, per esempio, non è stata ascoltata. Più volte, come ha raccontato durante il processo, aveva denunciato l’inferno che viveva la sua famiglia, vittime di un padre talmente violento da portarsi anche l’amante a casa, riducendo la moglie in uno stato di schiavitù. “Se mi avessero dato ascolto, probabilmente. mia madre sarebbe ancora viva”.
Annarita in particolare aveva denunciato ai carabinieri nel 2011 che suo padre picchiava lei e gli altri familiari tutti i giorni anche per motivi banali. “Ma non sono stata creduta”, aggiunge. Anche perchè la madre “temendo che con la denuncia le cose potessero ulteriormente peggiorare, aveva smentito le mie affermazioni agli stessi carabinieri”.
Nessuna omissione dunque da parte delle forze dell’ordine, ma magari si sarebbe potuta accendere la spia di qualcosa che non andava in quella famiglia. Stessa scena un anno dopo: “Andai in questura, con mia sorella più piccola, Simona. Anche il quel caso non fui creduta. Ricordo anzi che un poliziotto ci disse che rischiavamo di finire in una casa famiglia di Catania”.
Simona Savalli, a sua volta, si recò alla stazione dei carabinieri di Locogrande, ma fu congedata: “Sei minorenne”.
Sui ripetuti “no” alle richieste di aiuto delle giovani donne di casa Savalli indaga la Procura di Trapani, dopo che queste dichiarazioni sono stare rese durante il processo.  Ecco perchè Annarita Savalli insiste nel lanciare questo messaggio: “Se qualcuno non vi crede, parlatene dappertutto, andate anche in Procura, se i poliziotti non vi ascoltano”. Lei non è stata ascoltata. Salvata dai nonni (“Loro si sono presi cura di me e mi hanno sottratto alle violenze del signor Savalli”), non chiama il padre per nome e per lui si augura l’ergastolo: “Ci sottoponeva a noi tre figli a continui maltrattamenti, con pugni e calci”. In udienza la ragazza ha raccontato che il padre era solito picchiare la moglie. Anche nell’ultimo periodo di convivenza, quando era già in stato di gravidanza, la donna avrebbe subito delle percosse da parte del coniuge.
“Mamma era infastidita dalla presenza in casa di Giovanna. Sospettava che lei e mio padre avessero una tresca. Gli ha chiesto da quanto tempo andava avanti e lui l’ha picchiata con calci e pgni”. “Mia madre – ha aggiunto Anna Rita Savalli – non faceva capire nulla. Non denunciava per tutelare noi figli. Tante volte ha fatto le valigie ma poi non ha mai avuto il coraggio di andare via”. 

Omicidio Anastasi, continua il processo a Trapani per gli “amanti diabolici” (Tp24 – 2 dicembre 2013)
Continua in corte d’Assise a Trapani il processo per l’omicidio di Maria Anastasi. Nel processo sono imputati il marito, Salvatore Savalli, e l’amante Giovanna Purpura. Avrebbero ucciso la donna a picconate, nelle campagne tra Trapani ed Erice, al termine di una vivace discussione. L’amante Purpura, infatti, coabitava con Savalli e la sua famiglia, riducendo, secondo le testimonianze fin qui raccolte, la povera Maria in uno stato di schiavitù.  “E’ un’amica in difficoltà economiche” gli disse il marito quando la portò in casa insieme ai suoi due figli. Ma tutti sapevano che non era vero.
Dopo l’omicidio i due hanno anche tentato di dare fuoco al cadavere della donna, che era incinta.
Un omicidio di grande crudeltà, avvenuto nel 2012, e del quale si è occupata di nuovo la trasmissione di Retequattro Quarto Grado la settimana scorsa in occasione della Giornata contro la violenza sulle donne. Nell’ultima udienza, intanti, è stato ascoltato il maggiore Carlo Romano, comandante della Sezione biologia del Reparto Investigazini Scientifiche dei carabinieri. Ha riferito che sugli indumenti di Giovanna Purpura,  non ci sono tracce di sangue della vittima. Ciò significa che, quando Maria Anastasi venne colpita Purpura era certamente ad una distanza tale da non essere investita dagli schizzi di sangue. Tracce ematiche, riconducibili alla vittima, sono state trovate sulle scarpe e su un paio di bermuda indossati da Salvatore Savalli, marito di Maria Anastasi. E’ un punto a favore di Purpura, che ha sempre sostenuto di non aver partecipato, materialmente, al delitto. Lei e Savalli si accusano a vicenda.  Per i Pm Sara Morri ed Andrea Tarondo, sono entrambi colpevoli. La prossima udienza è prevista per il 12 dicembre.*
Purpura, originaria del Palermitano, ha sempre negato ogni coinvolgimento nel delitto e ha accusato Savalli. Ha riferito nel corso degli interrogatori che l’amante voleva liberarsi della moglie per andare a vivere solo con lei. Maria Anastasi dunque costituiva un ostacolo da eliminare.  Giovanna Purpura ha riferito di avere tentato di salvare la rivale ma di non avere potuto fare nulla per fermare l’amante. Una versione che non ha convinto però gli inquirenti. Anche lei, dopo l’arresto dell’amante, è finita in manette con l’accusa di concorso in omicidio.
La morte di Maria si sarebbe potuta evitare con l’intervento preventivo delle forze dell’ordine. “Noi cercavamo di fare qualcosa – dice Loredana, la sorella – ma lei difendeva sempre Salvatore, nonostante la picchiasse in continuazione”. La figlia maggiore, Annarita, aveva provato anche a denunciare il padre, la figlia minore era svenuta a terra dopo che il padre aveva tentato di strozzarla: non le hanno creduto.  Maria era innamorata del marito, “ma lui – dice l’altra sorella, Manuela – non l’ha mai amata”. “Mia madre ha sopportato per tanti anni qualsasi angheria – ha detto Annarita a Retequattro – e non l’ha denunciato perchè lo amava troppo e aveva paura che le levassero i figli. Lo difendeva sempre…”. E lui invece? “Alzava le mani, tutti i santi giorni. Io a cinque anni mi sono fatta a venire a prendere da mio nonno e sono andata a vivere con loro, poi ho provato a ritornare a casa due anni fa. E già il giorno dopo ha cominciato a picchiarmi, a tirarmi addosso sedie, chiavi, bottiglie, tutto… e me ne sono andata di nuovo. Io sono andato a denunciarlo ai carabinieri, raccontando tutto quello che ci aveva fatto, e poi è venuta mia mamma e ha negato tutto. I carabinieri mi hanno detto: prova a ritornare a casa. Ma io sono tornata dai miei nonni, e non li ho visti per un anno”. 

 


Maria Anastasi, incinta di nove mesi. Uccisa a picconate e data alle fiamme (GQ Italia – 8 luglio 2016)
L’atroce fine di Maria Anastasi, ammazzata perché di peso a marito e amante
Quando i carabinieri ascoltano il racconto del trentanovenne Salvatore Savalli, operaio in una segheria di marmi, restano perplessi. L’uomo dice che il giorno prima, mentre si trovava nelle campagne di Erice, Trapani, coi suoi tre figli adolescenti in auto, si è allontanato dalla macchina per portarli a fare pipì. Ha sentito il rumore dello sportello richiudersi e non appena è tornato, sua moglie, Maria Anastasi, era sparita. Dove possa essere andata una donna che è al nono mese di gravidanza, in piena campagna, senza avvertire marito e figli e il giorno prima del suo compleanno, non si sa. La storia sembra davvero poco credibile. E lo è ancor meno, il giorno successivo, quando il cadavere della donna viene trovato bruciato e con la testa fracassata.
Lui, lei e l’altra Gli inquirenti vogliono vederci chiaro. Ascoltano subito i figli della coppia.  E sono proprio i ragazzi a smentire il padre: dicono che loro non erano coi genitori al momento della scomparsa della mamma. E raccontano dettagli agghiaccianti della vita quotidiana: il padre aveva infatti imposto a loro e alla mamma la convivenza con la sua amante, Giovanna Purpura. È con lei, spiegano, che i genitori si erano allontanati in auto. Di più. Uno dei figli aggiunge che il padre si era portato dietro una tanica di benzina.
Salvatore cambia allora radicalmente versione: sostiene di essere andato con la moglie in campagna per incontrare un fantomatico amante di lei che la donna doveva lasciare. La versione fa acqua da tutte le parti e lo arrestano per omicidio. Ma il caso non è affatto chiuso. La madre della vittima dice anzitutto agli inquirenti che Salvatore era sempre stato violento: definisce la vita della figlia un “calvario”.
Ho visto tutto. E il giorno successivo arriva il primo colpo di scena: Giovanna rivela di aver assistito al delitto. È il 6 luglio 2012. Ricorda che marito e moglie hanno avuto una lite. Lui ha preso una vanga dal bagagliaio e l’ha colpita alla testa mentre era di spalle. Poi l’ha cosparsa di benzina e le ha dato fuoco. Rammenta pure di essere rimasta pietrificata dalla paura. Ma anche su Giovanna i figli di Salvatore hanno da dire: «Era la sua amante e aveva ingannato anche mia madre, che era troppo buona. Si voleva prendere anche la mia cameretta, era diventata lei la padrona della casa e mia mamma era costretta a subire».
Passano tre giorni e arriva il secondo colpo di scena: davanti al gip Salvatore accusa Giovanna del delitto. Dice che l’ha uccisa nel momento in cui lui si era allontanato per fare pipì. Intanto arriva l’esito dell’autopsia: Maria è stata massacrata con almeno 8 picconate alle testa. Una ferocia inaudita, ancor più raccapricciante se si pensa alle condizioni fisiche della donna, che a breve avrebbe avuto il quarto figlio. Il segno che chi l’ha uccisa è persona totalmente priva di scrupoli. Sempre che sia uno solo.
Coppia diabolica Gli investigatori ritengono ora infatti che gli assassini siano due: arrestano anche Giovanna e da quel momento lei e Salvatore iniziano a scambiarsi accuse. La Procura chiede il rito immediato e il gip rigetta la richiesta di abbreviato fatto dall’amante. A maggio 2013, nel corso del processo, la figlia diciassettenne di Salvatore, dice alla Corte che il padre: «Una volta mi ha preso per il collo e ha tentato di strangolarmi. Avevo perso i sensi e se mia madre non mi avesse rianimato sarei morta».
A colpire la Corte d’Assise è anche il fatto che non lo chiama mai papà, ma il “signor Savalli”. Aggiunge che un giorno lesse sul suo telefono un messaggio dell’amante che gli diceva “sei mio, ti amo tantissimo”. «Ho chiesto spiegazioni alla Purpura e lei ha detto prima di essersi sbagliata, poi mi ha rivelato di avere una relazione con lui. Ho chiesto conferma a lui e il signor Savalli ha preso un coltello e me lo ha puntato al collo dicendomi “se parli ti ammazzo”». E infine: «Tra quelle mura la mia vita e quella dei miei fratelli era un vero inferno. Eravamo sequestrati in casa». Della violenza di Salvatore parlano anche altri testimoni, come l’ex fidanzato della figlia più grande, ricordando come l’uomo avesse picchiato la giovane provocandole lividi in tutto il corpo. Il processo è lungo, ma a luglio 2014 la Corte d’Assise di Trapani emette finalmente la sentenza di primo grado: Salvatore Savalli e Giovanna Purpura vengono entrambi condannati all’ergastolo. A febbraio 2016 la condanna viene confermata dalla Corte d’assise d’appello di Palermo.
(di Edoardo Montolli)


Link


In memoria di

Orfani di femminicidio, la testimonianza di Simona Savalli: «La mia infanzia nella violenza. Poi mio padre ha ucciso mia madre» (Corriere della Sera 27ma Ora – 23 novembre 2023)
La 27enne è un’«orfana speciale»: nel 2012 il padre uccise sua madre Maria Anastasi. Nella Giornata contro la violenza sulle donne ha raccontato la sua storia
«Nella nostra casa c’è sempre stato il buio, non c’è mai stata la felicità. Si viveva nella totale paura». Simona Savalli è, insieme ai suoi due fratelli, un’«orfana speciale». Oggi ha 27 anni, vive a Trapani, ed è madre di una bambina e di un bambino. Il 4 luglio del 2012 Simona ha perso sua madre, Maria Anastasi, ammazzata dal padre, Salvatore Savalli. Quando Maria è stata uccisa, a 39 anni, era al nono mese di gravidanza, e insieme a lei è morta una bambina, che si sarebbe dovuta chiamare Paola.
Simona e i fratelli crescono subendo violenze sia psicologiche che fisiche («abbiamo passato un’infanzia che non auguro a nessuno»).
Dopo la morte della madre, i tre ragazzini dovevano entrare in una casa famiglia, ma i nonni materni si sono opposti decidendo di prenderli in affido. Così li hanno cresciuti con l’aiuto di una sola pensione, quella del nonno: «I miei nonni non hanno mai ricevuto aiuti. Anche per quanto riguarda il diritto allo studio. Abbiamo iniziato presto a lavorare».