Andrea, 2 anni e mezzo. Ucciso, insieme alla mamma, dal padre a colpi di pistola (strage di Montorio)
Montorio (Verona), 16 Gennaio 1987
Titoli & Articoli
Corriere della Sera – 17 gennaio 1987
STERMINA LA FAMIGLIA: ‘HO L’ AIDS’ (la Repubblica – 17 gennaio 1987)
Avevano un appuntamento alle 6 di ieri mattina a San Martino Buonalbergo, nel parcheggio del pollificio Aia. Alberto e Mauro Anselmi dovevano incontrarsi col fratello Bruno, e partire con i camioncini per fare le consegne. Bruno però non si è visto. Sul cruscotto del suo furgone, una lettera: Essendo gravemente ammalato, e precisamente di Aids, ho deciso di farla finita….
I due sono corsi subito a casa di Bruno, pochi chilometri di distanza, verso Verona. Hanno suonato alla porta della villetta, poi hanno aperto, si sono precipitati in camera da letto. Il fratello, sua moglie Antonella e il piccolo Andrea di due anni e mezzo erano stesi nelle lenzuola inzuppate di sangue: tutti e tre con un foro di pallottola nel cervello, Bruno stringeva ancora la rivoltella. Una strage. Una strage folle, senza senso: la paura dell’ Aids, il semplice sospetto della malattia, hanno ucciso una intera famiglia. Un uomo giovane, in buone condizioni economiche, sposato felicemente, è uscito di senno, fino a decidere di sterminare tutti i suoi cari, solo perché era convinto di essere stato contagiato.
Bruno Anselmi aveva 29 anni. Era nato a Moruri, nelle valli sopra Verona, e si era trasferito dopo il matrimonio a Montorio, un paesino a est della città. Sua moglie Antonella Udali, di quattro anni più giovane, era casalinga, una scelta obbligata dopo la nascita di Andrea.
Una famiglia unita, senza problemi, raccontano i vicini. Bruno era un padroncino: aveva acquistato insieme ai fratelli tre furgoni, con i quali girava il Veneto per conto della Aia, un’ azienda di allevamento di pollame. Gli affari andavano bene, e lo testimonia la villetta che gli Anselmi avevano acquistato, aiutandosi con un mutuo. Verona è città di droga, con alto numero di tossicomani e uno spaccio fiorente per tutto il Veneto e anche parte della Lombardia, ma l’ eroina non era certo il vizio segreto di Bruno Anselmi. Forse, come accenna la lettera ai fratelli, nel corso dei suoi spostamenti Bruno ogni tanto si concedeva qualche scappatella amorosa. E questo lo aveva convinto di essere un soggetto a rischio, di rientrare nelle categorie che la campagna di informazione sull’ Aids iniziata anche in Italia da qualche mese segnala come più soggette al contagio. Di questa paura, però, l’ uomo non aveva fatto parola con nessuno, e tanto meno si era sottoposto alle analisi per individuare la presenza degli anticorpi del virus Hiv. Aveva letto articoli su giornali e riviste, seguito programmi alla radio e alla televisione. La diagnosi l’ ho fatta io stesso ascoltando la radio, e sono sicuro di non sbagliare, ha lasciato scritto nel suo ultimo messaggio.
Sembra incredibile che una persona decida di suicidarsi e di uccidere moglie e figlio solo in base a un semplice sospetto, desunto da informazioni sommarie, come può fornire un programma radiofonico. Forse Bruno Anselmi le analisi le aveva fatte, e il responso positivo ha fatto scattare nella sua testa il progetto disperato. Probabilmente non lo sapremo mai: l’ autopsia non potrà stabilire se l’ uomo era sieropositivo, perché non rimane traccia del virus a parecchie ore dalla morte. Di certo Bruno Anselmi aveva una malattia banale: l’ influenza. Otto giorni fa era andato a farsi visitare dal suo dottore, Giorgio Ferrari. Lo conoscevo bene: un uomo normale, senza grossi problemi di salute. Era venuto da me perché si sentiva poco bene: mal di gola, raffreddore, ossa indolenzite. Una influenza di stagione. Sì, mi aveva chiesto come si può prendere l’ Aids, un discorso in mezzo a tanti altri, non mi sembrava preoccupato. Se ne era andato di buon umore, scherzando come al solito. Le parole del medico devono averlo tutt’ altro che tranquillizzato, anche se in superficie Bruno Anselmi non ha tradito alcun timore o emozione. Da quel momento è probabile sia nato in lui il proposito di suicidio, e quello di uccidere la moglie e il bambino: non aveva letto che il virus si trasmette anche nei normali rapporti sessuali, e che le donne in gravidanza passano il contagio al figlio che hanno in grembo? Come una maledizione, gli tornava in mente un quarto d’ ora d’ amore avuto con una donna, forse una prostituta, quattro anni fa. Nella lettera ne parla, solo un accenno. In quel rapporto non aveva fatto uso del preservativo, e il contatto diretto era proprio una delle pratiche a rischio che aveva sentito condannare alla radio. I sintomi dell’ Aids ormai se li sentiva addosso: la febbre, la spossatezza, le ghiandole del collo ingrossate, la dissenteria. Sono gli stessi fastidi che porta una normale influenza, ma Bruno Anselmi ormai era entrato in un vortice di paure, di incubi e poi di false sicurezze. Poteva aver infettato, deve aver pensato, sua moglie, e lei a sua volta trasmesso il virus al piccolo, innocente, Andrea. Un mese fa, quando Antonella gli aveva annunciato di attendere un altro bambino, il senso di colpa era diventato insopportabile: adesso la peste avrebbe colpito anche lui, e tutto per quel momento di debolezza, quattro anni prima. Per l’ Aids, però, la scienza non ha ancora trovato alcun farmaco. La scoperta di un vaccino è lontana, la condanna a morte degli ammalati inappellabile. Sui giornali quasi ogni giorno si susseguono notizie di morti, statistiche terrorizzanti, mentre resta poco spazio alla speranza. La scorsa settimana, sono morti a Bologna tre bambini, figli di tossicomani. Certamente Bruno Anselmi era diventato un lettore attento di tutte le notizie sull’ Aids, e la vicenda dei bambini bolognesi deve averlo convinto che ormai era stupido sperare, che bisognava arrendersi all’ evidenza.
La pistola, una Bernardelli calibro 22 da tiro a segno, Bruno Anselmi l’ aveva acquistata giovedì. In casa, con i fratelli e gli amici non aveva mostrato nulla che potesse far prevedere il suo proposito di strage. Unica stranezza, non si era fatto vedere alla sera nel bar-pizzeria a due passi dalla villetta, dove aveva l’ abitudine di passare a prendere un aperitivo. Era andato al parcheggio della Aia a sistemare il furgone, lasciando in bella vista la lettera ai fratelli. Poi era tornato a casa. Si era coricato di buon’ ora, come sempre, quando l’ indomani doveva partire presto per il lavoro. Nel letto ha voluto però anche il bambino, che felice si è sistemato in mezzo ai genitori. Nessuno ha sentito i tre spari, l’ ora precisa delle morti la potrà stabilire l’ autopsia. Bruno Anselmi, mentre moglie e figlio dormivano, ha estratto la rivoltella dal comodino e ha sparato. Un colpo in fronte, prima ad Antonella, poi ad Andrea. Quindi si è puntato l’ arma alla tempia e ha fatto fuoco per la terza volta: Non voglio che soffrano…, ha lasciato scritto.