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Simone Scotuzzi, 19 anni. Strangola e denuda la ex fidanzata, la infila in un sacco della spazzatura e lo nasconde in una condotta dell’acqua, per tre giorni finge di partecipare alle ricerche. Condannato con rito abbreviato a 11 anni e 8 mesi di reclusione, più 3 anni di libertà vigilata, era già ai domiciliari il giorno dei funerali di Monia. Libero dopo appena 5 anni, emigra in Perù dove si sposa e ha due figli, un maschio e una femmina. Tornato a vivere in Italia

Manerbio (Brescia), 13 Dicembre 1989


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La figlia morì nel 1989, uccisa dall’ex: “Deve risarcirmi lo Stato” (il Giornale – 16 dicembre 2019)
Domani l’udienza, durante la quale la donna chiederà il risarcimento: “Il killer non paga, ma anche lo Stato è responsabile” Era il 1989. E Monia aveva solo 19 anni quando morì, uccisa dal suo ex fidanzato. È stata una delle numerose vittime di femminicidio. Ora la madre, Gigliola Bono, chiede giustizia.
Monia, uccisa dall’ex. Il 13 dicembre del 1989, il giorno di Santa Lucia, Monia Del Pero fu attirata dal suo ex fidanzato in una trappola. Lui, Simone Scotuzzi, coeataneo di Monia, le aveva chiesto di vederla ma, una volta incontratala, la aveva strangolata, chiusa in un sacco e poi gettata in un burrone, sotto un ponte. Le ricerche erano partite immediatamente e, nei primi giorni, anche l’assassino partecipò al setacciamento della zona, fino a quando crollò e confessò l’omicidio, indicando agli investigatori dove avrebbero potuto trovare il corpo della giovane. Non disse mai, però, dove finirono i vestiti e un album di fotografie, che la ragazza aveva portato con sé. Scotuzzi venne condannato a 11 anni e 8 mesi in primo grado, per omicidio volontario e occultamento di cadavere. Oltre a quello, gli vennero inflitti anche 3 anni di libertà vigilata. Ma in tutto, l’uomo ha scontato 5 anni. Poi si è trasferito in Perù, dove ha sposato una donna del posto, con cui ha avuto due figli, un maschio e una femmina, secondo quanto riporta la Nazione.
La madre chiede giustizia. La madre della vittima, sostenuta dall’Unione nazionale vittime, presieduta da Paola Radaelli, domani si presenterà davanti al tribunale di Roma. Durante l’udienza, come ricordato da Ansa, sarà chiesto il risarcimento allo Stato italiano. Il motivo? “Lo ritengo colpevole in concorso di quanto accaduto a mia figlia e alle altre vittime di femminicidio“, ha spegato Gigliola Bono. E chiede “che quello che è successo a mia figlia e alla mia famiglia sia un esempio e sia un simbolo e un caso pilota che aiuti altre vittime. Quello che chiedo è che le vittime di femminicidio siano equiparate alle vittime della mafia grazie alla legge 302 del 1990 e all’articolo 3 della Costituzione Italiana“.
Secondo la donna, infatti, sarebbe compito dello Stato proteggere “le ragazze e le donne, evitando che diventino vittime. Va fatta prevenzione, sin dai tempi dell’ asilo e della scuola in generale. Ai maschi bisogna insegnare che le donne non si toccano. La madre di Monia sa che probabilmente il tribunale non prenderà una decisione domani, ma anticipa che se l’Italia non si pronunciasse, “io andrò in Europa, a Strasburgo“. Infine, la donna lascia un messaggio all’assassino della figlia: “Voglio chiedergli come farà a spiegare a sua figlia ciò che ha fatto alla mia. Sarà in grado di proteggerla da quelli come lui?“.


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