Simone Baroncini, 35 anni, operaio. Strangola un’amica che rifiuta le avances e abbandona il corpo lungo il greto di un fiume, poi tenta di simulare un’aggressione. Condannato a 30 anni con rito abbreviato, pena ridotta a 16 anni in appello
Gallicano (Lucca), 7 Dicembre 2009
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Una ragazza è stata trovata morta sul greto del fiume Serchio vicino a Gallicano stamani dopo una notte di ricerche. La giovane, Vanessa Simonini, 20 anni, e’ stata strangolata da un amico. I carabinieri hanno arrestato Simone Baroncini, 35 anni di Pisa, che ha confessato l’omicidio.L’uomo è stato arrestato con l’accusa di omicidio volontario.
Secondo quanto appreso, l’omicidio sarebbe maturato al termine di una discussione tra i due. Il corpo della vittima è stato trovato in una stradina secondaria che scende verso il fiume Serchio. Ci sono volute molte ore per individuare il luogo ma un aiuto ai carabinieri, già allertati dai genitori della ragazza per il mancato rientro della figlia a casa, è arrivato da una telefonata al 112 fatta dallo stesso omicida, che parlava di un’aggressione ad una ragazza. I carabinieri lo hanno poi rintracciato e interrogato.
Dopo un’iniziale reticenza, l’uomo avrebbe confessato l’omicidio.Quanto al movente, potrebbe essere una reazione dell’uomo per essere stato respinto dalla ragazza. I due si conoscevano da molti anni per frequentazioni comuni avute nel paese di Gallicano, in particolare nell’ associazionismo sportivo. Negli ultimi tempi, nonostante la differenza di età, era nata un’amicizia più profonda tra i due, tanto che ieri sera la ragazza aveva accettato di andare ad una festa con l’uomo. L’uomo, che abita a Pisa, frequenta in modo assiduo la zona di Lucca per motivi di lavoro: è operaio in un’azienda che produce gabbie per conigli. E’ incensurato. La vittima aveva terminato gli studi superiori ed era in attesa di una prima occupazione.
LUCCA, UCCISE RAGAZZA CHE LO RIFIUTAVA: 30 ANNI IN CELLA (Positano News – 24 febbraio 2011)
E’ stato condannato al massimo della pena, 30 anni di reclusione. Simone Baroncini, 36, è stato riconosciuto responsabile dell’omicidio di Vanessa Simonini, 20. Anche il pm Lucia Rugani aveva chiesto 30 anni di reclusione, il massimo appunto considerato lo sconto di un terzo dovuto alla scelta del rito abbreviato.
La vicenda ebbe luogo il 7 dicembre 2009. Baroncini uccise, strangolandola, Vanessa a Gallicano (Lucca). Un’amicizia per la ragazza, un amore non corrisposto, secondo quanto emerso dalle indagini, per l’operaio che, di fronte all’ennesimo rifiuto, aggredì e uccise Valentina Simonini, mentre si trovavano insieme in auto: era passato a prenderla per andare a una festa dove li aspettavano alcuni amici che, non vedendoli arrivare, fecero anche scattare le ricerche, pensando ad un incidente stradale.
Baroncini tentò quindi di suicidarsi con i gas di scarico dell’auto. Poi chiamò i carabinieri inventando la storia che erano stati aggrediti da una banda e che i malviventi avevano ucciso la ragazza. Una versione che resse per brevissimo tempo: dopo poche ore Baroncini confessò l’omicidio. Baroncini dovrà anche risarcire la famiglia della vittima: 300.000 euro a testa per il padre e la madre, 130.000 a ciascuna delle due sorelle. Baroncini e la giovane si conoscevano da quasi due anni
Strangolò l’amica, pena ridotta da 30 a 16 anni (La Nazione -13 giugno 2012)
L’omicidio a Lucca nel 2009, lei aveva rifiutato le sue avances
Strangolò Vanessa Simonini, 20 anni, ‘colpevole’ di non aver ceduto alle sue avances. La Corte d’Appello di Firenze ha ridotto da 30 a 16 anni la pena inflitta col la sentenza di primo grado a Simone Baroncini, 37 anni. L’omicidio avvenne la notte tra il 7 e l’8 dicembre 2009 a Gallicano (Lucca).
Lo ‘sconto’ sulla pena è frutto di un calcolo matematico. A Baroncini, condannato dal tribunale di Lucca per omicidio, sono state riconosciute le attenuanti generiche, bilanciate così con l’aggravante dei futili motivi già stabilita nel primo processo. In questo modo la riduzione di un terzo di pena dovuto per aver scelto il processo con rito abbreviato è stato computato su una base di 24 anni, e non di 30 come fatto nel primo grado. Confermati interamente, invece, i risarcimenti alla famiglia: 300.000 euro a testa ai genitori di Vanessa, e 130.000 euro per ciascuna delle due sorelle.
La sera del 7 dicembre 2009 Baroncini, operaio, di Pisa, uccise Vanessa mentre erano in auto dopo che era andato a prenderla per portarla ad una festa con altri amici. Baroncini la aggredì e la strangolò dopo l’ennesimo rifiuto alle avances. In seguito all’omicidio l’operaio tentò di suicidarsi con i gas di scarico ma non ci riuscì, quindi nella notte chiamò i carabinieri inventando una falsa aggressione e poi confessando la verità alcune ore piu’ tardi. Oggi, a Firenze, ad ascoltare la lettura della sentenza c’erano in aula alcuni familiari ed amici di Vanessa che hanno esposto anche cartelli in ricordo della giovane. Le motivazioni saranno disponibili tra 90 giorni.
Uccisa a 20 anni, il killer non paga. Ai genitori di Vanessa Simonini indennizzo di 50mila euro dallo Stato (il Tirreno – 3 aprile 2023)
Mai risarciti dall’assassino, Simone Baroncini. Il Tribunale: «Non vi sono ragioni per non ritenere congruo e adeguato l’importo». Un indennizzo di 50mila euro per l’omicidio di una figlia. E la condanna dello Stato per il ritardo con cui ha recepito la direttiva europea (2004/80, in vigore dal primo luglio 2005) che obbliga i Paesi dell’Ue a garantire un equo e adeguato ristoro alle vittime di reati violenti e intenzionali quando l’autore del reato è nullatenente.
Un indennizzo non equivale al risarcimento, precisa il Tribunale di Roma nel definire la causa iniziata nel 2014 dai familiari di una vittima di femminicidio. A distanza di quasi 9 anni arriva la sentenza. Si dice che il tempo lenisce il dolore. Non sempre.
La vittima. Si chiamava Vanessa Simonini, viveva a Gallicano e aveva 20 anni. La sua storia è diventata un simbolo della lotta alla violenza di genere. Una battaglia che la mamma Maria Grazia Forli porta avanti da anni con libri e manifestazioni nella memoria del suo angelo biondo.La sera del 7 dicembre 2009 fu strangolata da un amico che si era invaghito di lei. Lui, Simone Baroncini, all’epoca 35enne, pisano, operaio, figlio unico, abitava con i genitori a Porta a Lucca. Nonostante la differenza di età frequentava Vanessa in una compagnia di amici. Si era illuso o aveva frainteso un sentimento non ricambiato. Quella sera l’amico premuroso diventò un assassino. «Ho perso la testa» disse dopo aver capito che un amore non corrisposto lo aveva trasformato in un killer. Condannato a 16 anni di reclusione e a risarcire genitori e sorelle di Vanessa con 860mila euro, Baroncini non ha versato un euro. È quello che si dice un nullatenente. E se mai avrà un lavoro lo stipendio gli potrà essere pignorato per pagare il suo debito fino in fondo. Anche oltre gli anni passati in cella.
La causa. Non solo una pena ritenuta ingiusta dai familiari – all’epoca l’imputato fece ricorso al rito abbreviato ora non più previsto per i reati punibili con l’ergastolo – ma anche la beffa di un risarcimento negato. L’ennesimo principio stabilito sulla carta, ma vanificato nei fatti. Di qui la decisione di fare causa per avere dallo Stato quello che di fatto non era stato possibile ottenere nei Tribunali. La domanda al fondo istituito dalla legge 167/2017 ha portato alla liquidazione di 50mila euro, 25mila euro per genitore. Troppo poco rispetto a quello che tre gradi di giudizio avevano sentenziato come ristoro per i parenti di una vittima di omicidio.
Le richieste. La tesi dei familiari era che «sussistendo l’erogazione di soli 25mila euro per ciascuno dei due genitori della vittima, non è possibile ritenere che si tratti di un indennizzo equo ed adeguato, dovendosi condannare lo Stato italiano al risarcimento del danno».
Stato tardivo. La causa contro la presidenza del Consiglio dei ministri si è chiusa con un solo riconoscimento, quello che «accerta e dichiara il tardivo adeguamento dello Stato italiano nel recepimento del diritto europeo» sugli indennizzi per le vittime di omicidi, violenze e lesioni. Un verdetto che impone il pagamento di 1. 721 euro di spese di giudizio a carico dello Stato a cui si aggiungono quasi 10mila euro di spese legali. Almeno i genitori non hanno ricevuto lo schiaffo di doversi pagare anche l’avvocato. Ma la cifra già versata dallo Stato ai genitori di Vanesse viene ritenuta equa.
Indennizzo congruo «Non vi sono ragioni per non ritenere congruo e adeguato l’importo già erogato in favore degli aventi diritto – si legge nella sentenza del Tribunale romano – trattandosi di un importo che non può ritenersi certamente irrisorio e che risponde adeguatamente alla funzione indennitaria e non risarcitoria». Se 50mila euro possono sembrare un’inezia, è bene ricordare che con la legge 122/2016 – quando l’Italia si è adeguata alla direttiva europea – per un caso di omicidio l’indennizzo previsto andava dai 7. 200 agli 8. 200 euro.
Importi definiti dalla Cassazione irrisori che vennero corretti nel 2019 – grazie alla campagna del Tirreno e di alcune docenti della Scuola Superiore Sant’Anna – aumentando le cifre considerate ora congrue dal Tribunale.