Loading

Salvatore “Turi” La Motta, 63 anni. Condannato all’ergastolo per associazione mafiosa e duplice omicidio, esce in permesso premio e uccide due sue amanti. Poi si suicida davanti alla caserma dei Carabinieri

Riposto (Catania), 11 Febbraio 2023

Era stato condannato all’ergastolo per associazione mafiosa e omicidio, ma si comportava così bene che aveva incontrato anche il Papa


Titoli & Articoli

Chi è Salvatore “Turi” La Motta, l’ergastolano che ha ucciso due donne nel Catanese e perché era in permesso premio
Arrestato nel 2000 per una condanna all’ergastolo per l’omicidio di un uomo ritenuto uno dei capi storici della malavita di Giarre
Risale al 16 giugno del 2000 l’arresto da parte dei carabinieri di Salvatore «Turi» La Motta, il killer di 63 anni che stamane ha ucciso due donne a Riposto, prima di togliersi la vita davanti alla caserma dell’Arma. Otto giorni prima quella data, quando l’uomo aveva 40 anni, era stato condannato all’ergastolo dalla Corte d’Assise e d’Appello di Catania perché accusato di essere uno dei componenti del «gruppo di fuoco» che il 4 gennaio del 1992 davanti a un bar del paese uccise Leonardo Campo, di 69 anni, ritenuto dagli investigatori uno dei capi storici della malavita di Giarre. A La Motta, prima dell’arresto e durante il dibattimento, era stato vietato di andare all’estero e gli era stato ordinato di abitare soltanto a Riposto. Dopo un primo periodo in carcere gli è stata concessa la detenzione in semilibertà, lavorava di giorno e la sera rientrava in carcere. Oggi era l’ultimo giorno di un permesso premio di una settimana.
Salvatore «Turi» La Motta è il fratello del più noto Benedetto, conosciuto anche come «Benito» o «Baffo», referente a Giarre e Riposto della famiglia mafiosa catanese Santapaola-Ercolano. Il fratello è stato condannato a 8 anni per associazione a delinquere di tipo mafioso nel 2017, quando Salvatore si trovava già in carcere. Ma appunto gli era stato permesso di uscire per lavorare e ora aveva anche beneficiato di un permesso premio di una settimana. Oggi doveva essere il suo ultimo giorno e domani avrebbe dovuto ritornare in carcere.

Donne freddate, mistero del movente. Nordio: indagare sulla licenza al killer
Il legale ha contattato l’ergastolano: “Costituisciti”. Ma lui si è suicidato.
Delitti passionali. Così sono sembrati ai carabinieri che indagano, il duplice omicidio nel Catanese di Carmelina Marino detta Melina, 48 anni, e Santa Castorina, 50 anni, e il successivo suicidio dell’assassino, Salvatore La Motta, detto Turi, ergastolano in licenza premio straordinaria. I precedenti per mafia di lui, fratello di Benedetto detto Benito o Baffo La Motta, punto di riferimento dei Santapaola-Ercolano a Riposto, non hanno sviato le indagini che si sono concentrate sulla relazione tra assassino e vittime. Con la prima, Melina, l’ergastolano aveva avuto una relazione, mentre Santa la conosceva e si dovrà verificare fino a che punto. Le due donne erano imparentate tra loro.
Uno sparo in volto potrebbe indicare la volontà di eliminare l’identità dell’altro, ma sul reale movente si attendono risvolti dalle indagini. C’è un nodo focale in questo duplice omicidio: l’assassino era stato condannato all’ergastolo per omicidio di mafia, ma era in semi-libertà. Sabato scorso, giorno del duplice delitto, terminava la licenza premio straordinaria di cui era stato beneficiato per «buona condotta», come spiega l’avvocato Antonino Cristofero Alessi.
Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha chiesto all’Ispettorato generale urgenti accertamenti preliminari su quanto accaduto. La Motta si è sparato un colpo in testa davanti ai carabinieri. Si era recato in caserma perché contattato telefonicamente dal suo legale su richiesta dei carabinieri per costituirsi. Intanto, dopo il fermo per concorso in omicidio del 55enne Lucio Valvo, che ha accompagnato La Motta da Melina, e lo ha ricaricato sulla sua Golf dopo l’omicidio, interviene il legale Enzo Iofrida lamentando: «Con una velocità certamente straordinaria ma non necessaria è stato notificato oggi, domenica, giorno che non consente di recarsi in visita dal proprio assistito, né di visionare gli elementi di accusa a suo carico, l’avviso di interrogatorio per la convalida del fermo fissato per lunedì mattina davanti al Gip». «Così l’indagato non potrà che avvalersi nuovamente della facoltà di non rispondere, come ha già fatto davanti al pm», conclude Iofrida.
Al vaglio degli inquirenti i video delle telecamere di videosorveglianza, tabulati telefonici, messaggi e social network. Da uno dei profili social di Melina emerge l’affetto per il fratello detenuto e salta fuori che nella sua vita c’era un «traditore» che lei attacca su Tik tok nel febbraio 2022. I carabinieri dovranno verificare se in quel periodo La Motta avesse una relazione con la seconda vittima, freddata vicino alla sua auto in via Roma. «Brave ragazze» commenta l’avvocato Antonino Cristofero Alessi, legale di La Motta che non ricorda «di contatti tra loro o con La Motta». «Lui non era sposato – dice – e non so se frequentasse qualcuna in particolare, avevo capito che c’era una piccola storia in particolare, ma atteneva alla sua sfera privata e non al nostro rapporto professionale. Ma niente lasciava presagire minimamente ciò che è successo». «Riposto è attonita, sconvolta e ferita dice il sindaco Enzo Caragliano. Questa tragedia non riflette la nostra città. Sono atti che possono essere collegati solo alla follia umana».

Riposto, l’avvocato dell’omicida: «Si comportava bene, ha pure incontrato il Papa»
Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha chiesto all’Ispettorato generale di avviare urgenti accertamenti preliminari sul duplice femminicidio che sarebbe stato compiuto a Riposto, in provincia di Catania, da un detenuto ergastolano in permesso premio che poi si è tolto la vita. Gli accertamenti riguardano le «licenze» che aveva ottenuto Salvatore Turi La Motta, 63 anni, che stava scontando una condanna «fine pena mai» per associazione mafiosa e omicidio. Sarebbe stato lui a uccidere, ieri, Carmelina Melina Marino, di 48 anni, freddata nella sua auto sul lungomare Pantano, e Santa Castorina, di 50, assassinata sul marciapiede della centralissima via Roma. Il duplice femminicidio è stato compiuto all’ultimo giorno di un permesso premio di una settimana: sarebbe dovuto rientrare ieri sera – 11 febbraio – nel carcere di Augusta, dove era detenuto in regime di semilibertà. I permessi premio sarebbero stati firmati dal magistrato di sorveglianza di Siracusa, da cui dipende per territorio il penitenziario.
«Capisco l’iniziativa – commenta il legale di La Motta, l’avvocato Antonino Cristofero Alessi – ma non avviene che i permessi premi li regalino, il mio assistito ne usufruiva da molti anni. Durante il Covid non rientrava in carcere ad Augusta, ma dormiva a casa da familiari a Riposto». Questo perché, spiega il penalista, il 63enne l’ergastolano, detenuto dal 2000, «aveva avuto un percorso rieducativo, tenendo una buona condotta. E in questo percorso, il mio cliente – rivela il legale – mi aveva raccontato che, quando non lo assistevo ancora io, aveva avuto modo di incontrare il Papa. Era felice di questo ricordo».
Per il vicepresidente del Senato, Maurizio Gasparri, sarebbe stato meglio che non lo avessero concesso», ritenendo che «la tragedia siciliana è figlia di un permissivismo che va messo in archivio». Intanto, prosegue il lavoro dei carabinieri della compagnia di Giarre e del nucleo investigativo del Comando provinciale di Catania sul caso. Elementi utili potrebbero venire dall’analisi di tabulati telefonici, messaggi e social network. Dal loro incrocio potrebbe emergere il movente del duplice femminicidio di Riposto e del suicidio dell’ergastolano Turi La Motta. Ne sono convinti gli investigatori che indagano sul caso, anche se qualcosa sarebbe già emerso: i tre si conoscevano. E prende corpo anche la tesi che La Motta avesse avuto una relazione con le due donne, che non erano sposate. Ma sono ipotesi che al momento non trovano conferme ufficiali. Maggiori chiarimenti sulla dinamica dei due femminicidi verranno dalla visione dei filmati di sicurezza delle zone coinvolte che sono stati sequestrati e da altri che verranno acquisiti. Nelle immagini delle telecamere di un’area di servizio, acquisite dai carabinieri, si vede il primo delitto: Melina Marino è sulla propria auto parcheggiata lungo la strada, l’omicida, dopo essere sceso dal veicolo guidato da un’altra persona, raggiunge velocemente la donna seduta sul lato guidatore, apre la portiera lato passeggero e sporgendosi nell’abitacolo fa fuoco, colpendola mortalmente al volto.
L’auto con cui l’assassino arriva e poi va via è la Volkswagen Golf nera di Luciano Valvo, di 55 anni, fermato ieri sera per concorso nell’omicidio di Melina Marino. Durante l’interrogatorio davanti al sostituto procuratore che lo ha interrogato si è avvalso della facoltà di non rispondere. E la stessa posizione, anticipa il suo difensore, l’avvocato Enzo Iofrida, terrà domani davanti al gip durante l’udienza di convalida: non potrà fare altro, spiega il legale, visto che «l’avviso di interrogatorio è stato notificato oggi, che è domenica, giorno che non consente di recarsi in visita dal proprio assistito, né di visionare gli elementi di accusa a suo carico».


Link