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Renzo Dekleva, 54 anni, informatore farmaceutico con falsa laurea. Soffoca la moglie e abbandona il corpo, ricoprendolo con delle foglie. Condannato in primo grado a 20 anni e 6 mesi, pena ridotta a 19 anni e 8 mesi in appello per omicidio e occultamento di cadavere

Marcon (Venezia), 6 Luglio 2011


Titoli & Articoli

LUCIA SCOMPARSA DA DUE MESI (Oggi Treviso – 8 settembre 2011)
Il marito continua le ricerche della donna: di lei non si sa nulla dal 7 luglio scorso
Con ieri fanno due mesi. Due mesi esatti dalla scomparsa di casa di Lucia Manca, la 52enne bancaria dell’Antonveneta di Preganziol che abita insieme al marito a Marcon. Quel giorno era uscita di casa per prendere l’autobus e dirigersi al lavoro. Ma da allora nessuno ha più visto Lucia.
Dopo due mesi le ricerche hanno subito una battuta d’arresto, visto che tutti i tentativi, compresi quelli alla trasmissione Rai “Chi l’ha visto?” sono andati a vuoto. Gli investigatori hanno catalogato l’episodio come allontanamento volontario. Ma il marito non se ne da per vinto che continua nelle sue ricerche. Controlli in tutta Italia, con foto segnaletiche e identikit nei porti e negli aeroporti. Ma a due mesi di distanza il mistero sembra tutt’altro che risolto.

 

Il delitto di Lucia/ «L’ha uccisa e ha nascosto il corpo»: il marito arrestato per omicidio (il Gazzettino – 31 gennaio 2012)
Svolta nelle indagini sull’omicidio di Lucia Manca: è stato arrestato oggi il marito, Renzo Dekleva, con l’accusa di omicidio aggravato e occultamento di cadavere.
La bancaria veneziana era scomparsa di casa nella notte tra il 6 e 7 luglio dello scorso anno; il suo scheletro era stato rinvenuto il 6 ottobre scorso sotto un ponte nel Vicentino. La denuncia della scomparsa da casa, a Marcon, era stata fatta proprio dal marito Renzo Dekleva.
Le indagini dei carabinieri di Venezia il 20 gennaio scorso avevano avuto una svolta con il ritrovamento di uno scontrino autostradale della A31 vicino al luogo del ritrovamento del cadavere. Lo scontrino, considerato una delle prove più pesanti a carico dell’assassino, ha portato all’individuazione dell’uomo, su cui gravavano sospetti ma non risultava indagato. Sarebbe stato un quadro indiziario «estremamente grave» a carico di Renzo Dekleva a portare all’emissione da parte del Gip di un provvedimento di custodia cautelare a suo carico per omicidio aggravato e occultamento di cadavere.
Dekleva è stato fermato dai carabinieri nel tardo pomeriggio. Sentito dagli investigatori, l’uomo non avrebbe fatto alcun tipo di ammissione. Secondo le analisi condotte dal medico legale nominato dalla procura, Lucia Manca era morta per soffocamento. Il corpo della bancaria sarebbe poi stato portato nel vicentino e abbandonato, coperto di foglie, all’aperto. L’identificazione era stata resa possibile attraverso comparazioni tra un dente e pezzi d’ossa e una spazzolino appartenente alla donna scomparsa. Nel corso delle indagini, erano emerso che tra Lucia Manca e il marito c’erano forti momenti di crisi, legati anche alla presenza di un’altra donna.

Caso Manca, Renzo intercettato parla tra sé: «Il mio è omicidio» (La Nuova Venezia Mestre  – 6 febbraio 2012)
A novembre il marito di Lucia Manca registrato da una cimice mentre parla da solo in auto. E dice: «La verità è peggio, non doveva finire così»
«Il mio è omicidio». «E’ omicidio… il mio è omicidio». La «confessione» di Renzo Dekleva è registrata su una cimice applicata dagli investigatori nella sua auto. E’ il 25 novembre, l’uomo sta viaggiando sulla Lancia Delta. E si abbandona a pensieri ad alta voce. Pensieri che la Procura di Venezia intercetta e mette in stretta relazione con la morte della moglie, la bancaria di Marcon Lucia Manca il cui corpo è stato ritrovato sotto il ponte di Sant’Agata a Cogollo del Cengio.
Il 25 novembre la stampa dà notizia dell’iscrizione dell’uomo nel registro degli indagati, non per omicidio ma per falso ideologico, per aver dichiarato all’ufficio anagrafe del Comune di Marcon di essere laureato in Medicina; circostanza non vera. Intanto continuano le indagini per capire la causa della morte di Lucia. Dekleva si sente braccato, sotto scacco. E, nella solitudine della sua auto, pronuncia quella frase: «E’ omicidio…il mio è omicidio». Per il pm Francesca Crupi è un’ammissione di responsabilità. E neppure l’unica perché l’uomo, in un’altra circostanza, parla ancora da solo. Ecco la frase pronunciata e acquisita agli atti: «La verità è peggio… molto peggio ancora più di prima, adesso ci sei dentro, la cosa non doveva finire così». Di quale, terribile, verità Renzo sta parlando? E a chi fa riferimento quando, in seconda persona, dice «ci sei dentro»? Per gli inquirenti sta parlando si sè stesso.
La sera del delitto. Ma ecco, secondo la ricostruzione della Procura, cos’è successo la sera del 6 luglio scorso. Lucia rientra alle 17: l’omicidio si colloca tra quell’ora e le 21.30 (quando in casa della coppia arriva una telefonata a cui nessuno risponde), massimo l’1. Stabilire l’ora precisa della morte è però impossibile perché le condizioni del cadavere non hanno permesso di ricostruire se Lucia avesse mangiato e digerito.
Alle 22.10 Renzo si trova con Cristina in centro a Treviso, 40 minuti dopo l’ora fissata per l’appuntamento. I su si lasciano a mezzanotte. All.155 il suo telefono aggancia la cella di Rubano: per la Procura sta andando a nascondere il cadavere. Esce dall’autostrada a Piovene Rocchette e lascia il corpo sotto il ponte di S.Agata a Cogollo. Alle 5.14 il telefono di Dekleva aggancia la cella di via Alta a Marcon: strada che si percorre per chi rientra da Treviso e non da Mestre. Segno che l’uomo ha usato la statale e non l’autostrada.
La prova del reggiseno. Per gli inquirenti Lucia è stata uccisa in casa. Lo rivelano gli indumenti. Il cadavere indossava l’abito da tennis Lacoste che la bancaria – secondo la testimonianza di un’amica – usava quand’era in casa, spogliandosi degli abiti di lavoro. Mise che il marito ha sostenuto di non aver mai visto. Ma non basta. La stessa amica ha riferito che Lucia amava la biancheria intima costosa e mai sarebbe andata al lavoro con un abito da casa e addirittura senza reggiseno com’è invece stato trovato il corpo.
«Potrebbe annegarti». La scorsa estate Renzo Dekleva aveva detto alla moglie che intendeva portarla al mare in Croazia. L’amica della bancaria, una collega di lavoro, l’aveva scongiurata: «Non andare in acqua con lui, potrebbe farti del male». Una raccomandazione che, alla luce dell’accaduto, suona drammaticamente profetica.
«Ho paura». I rapporti nella coppia erano estremamente tesi: stando alle confidenze fatte da Lucia all’amica, lui era diventato aggressivo e aveva reazioni molto violente. «Mi fa paura», aveva confessato la bancaria. I due litigavano tutti i giorni, anche fino alle 4 del mattino. Lucia, provata, non mangiava più. Tanto che l’amica aveva iniziato a prendersi cura di lei cercando di farle inghiottire qualcosa (e si sorprende alla versione del marito secondo cui la sera prima della scomparsa, Lucia aveva mangiato una pizza). La donna, inoltre, l’accompagnava a casa dal lavoro. Il primo luglio, quando la porta a Marcon e si ferma a fare due chiacchiere, incontra anche il marito. L’impressione è negativa: Renzo viene descritto come un uomo dall’espressione allucinata che dà segni di grande agitazione. Evidentemente diventava per lui sempre più difficile gestire la doppia relazione.
Il registratore. Anche perché Lucia ormai non aveva più dubbi sul tradimento iniziato a gennaio e scoperto ad aprile quando Renzo aveva portato Cristina in montagna facendo partire per errore una chiamata a Lucia e lasciando il telefonino aperto; la moglie aveva sentito tutto. La bancaria, per sgombrare ogni dubbio, aveva nascosto due registratori: uno in casa e uno nella Lancia. Un giorno Lucia era entrata in camera da letto e aveva sorpreso il marito al telefonino: lui lo aveva prima nascosto sotto le lenzuola, poi aveva detto che si trattava di un amico. Quando Lucia lo aveva invitato a richiamarlo, lui si era rifiutato adducendo una serie di scuse.

L’amante di Dekleva: “Deve pagare, è un lupo travestito da agnello” (Venezia Today – 8 febbraio 2012)
P.B., la donna che frequentava l’informatore farmaceutico di Marcon prima della scomparsa di Lucia Manca, racconta la sua storia: “Mi guardava e piangeva, all’inizio come facevo a non credergli”
“Lui è un lupo travestito d’agnello. Deve pagare fino in fondo per quello che ha fatto”. P.B. non usa giri di parole. Non ne avrebbe ragione d’altronde. E’ la donna che Renzo Dekleva aveva conosciuto e iniziato a frequentare prima della morte della moglie, Lucia Manca. “Io ho avuto la sfortuna di incontrare questo infame – dichiara la donna davanti alle telecamere di Chi l’ha Visto – ma voglio precisare che non ero la sua amante. Io ho conosciuto il signor Dekleva e l’ho frequentato alla luce del sole. Con tutto il quotidiano che una storia comporta”.
P.B., 48enne del Trevigiano, pensava che la realtà fosse molto diversa dallo scenario che ha scoperto successivamente. “Lui si è presentato dicendo che stava sistemando la situazione con Lucia, che da anni ormai era cambiato tutto. Che erano come fratello e sorella – racconta – E da lì in poi ha iniziato a costruire un castello di menzogne per farmi capire che lui voleva stare con me. In un caso mi disse che la sua storia con Lucia si era chiusa addirittura da sei anni, altre volte prima comunque prima che ci conoscessimo”.
Una persona “proclive alla menzogna” scrive il gip nell’ordinanza di arresto dell’informatore farmaceutico, accusato di aver ucciso la moglie tra il pomeriggio e la sera del 6 luglio scorso. E P.B. di menzogne ne ha tante da raccontare: “Si era creato due vite parallele – spiega la donna – addirittura si era presentato ai miei figli. Diceva agli amici che voleva stare con me e che ormai con Lucia aveva chiuso. Mi raccontava che ancora c’era qualche litigata, ma che alla fine sua moglie se n’era fatta una ragione. Mentiva”.
Addirittura l’uomo arrivò al punto di mostrare degli sms fasulli inviati da Lucia in cui si esprimeva contentezza per la nuova relazione che stava intrecciando, o di scrivere di essere dall’avvocato in attesa dell’arrivo della moglie. “Dal 7 luglio mi guardava negli occhi e piangeva – continua P.B. – come facevi a non credergli. Anche se comunque davanti a me non ha mai espresso dispiacere per la scomparsa di Lucia”.
E la domanda cui tutti pensavano è stata formulata spesso dalla 48enne a Dekleva, arrestato il 31 gennaio scorso. E anche in maniera diretta: “Lui ha sempre negato – spiega la donna – si è sempre mostrato molto risentito. Quando però mi ha detto che quella notte era andato fino alla casa di Folgaria per prendere una macchina fotografica in cui c’erano foto comporomettenti per la nostra storia allora ho capitoL’aveva uccisa lui”.
I giornali in quei giorni iniziavano a parlare del suo cellulare captato in autostrada. Il cerchio si stava stringendo. E Dekleva cercava di manipolare le persone a lui vicine raccontando la sua versione dei fatti. “Quella maledetta notte del 6 luglio arrivò da me molto trafelato e non in ordine come suo solito – racconta P.B. – e mi disse che non c’era più nessun problema. Li aveva risolti tutti“. La 48enne è una donna ferita: “Ma qui la vera vittima è Lucia, che era una persona vera – conclude – Dekleva deve pagare fino alla fine. In nome di tutte le donne coinvolte in questa storia“.

L’ex compagna attacca Renzo Dekleva “Per me è lui che ha soffocato Lucia” (Venezia Today – 8 luglio 2012)
In un’intervista a La Nuova Venezia Cristina, la 48enne trevigiana cheera convinta di avere una relazione con un uomo libero lancia il suo atto d’accusa: “Gliel’ho gridato in faccia più volte”
Secondo me è colpevole. E gliel’ho gridato in faccia più volte. Non so se sia stato un incidente, un raptus o un gesto meditato. Ma ripeto: con la morte della moglie lui c’entranessun dubbio”. Sono parole di fuoco quelle di Cristina, l’ex compagna di Renzo Dekleva suo malgrado diventata una delle “protagoniste” del mistero sull’omicidio di Lucia Manca. Intervistata da Nicola Endimioni per La Nuova Venezia, la donna ripercorre la sua storia con quell’uomo “pirotecnico e camaleontico, capace di essere l’uomo più romantico della terra, come il più gran ‘ballista’ del mondo”, spiega Cristina.
Il senso di colpa è ancora presente. Forte, intenso. Perché la lunga catena di eventi che ha portato alla morte della bancaria di Marcon avrebbe potuto essere spezzata, secondo Cristina, in un unico momento cruciale: la telefonata di Lucia Manca al cellulare della 48enne trevigiana. “L’audio era disturbato. Ho capito soltanto le parole “marito” e “Renzo”. Poi è caduta la linea. Era di domenica, dopo mezzogiorno – racconta la donna – La chiamata arrivava da utenza privata. Sono stata tentata di andare a Marcon per capire. Poi ho rinunciato. Se lo avessi fatto avrei scoperto tutto, magari si sarebbe scatenato un putiferio, ma forse Lucia sarebbe ancora viva”.
Rivali” inconsapevoli in quel tempo, ora vittime l’una e l’altra, secondo Cristina, dello stesso uomo. “Se io e lei ci fossimo parlate – continua la 48enne intervistata da La Nuova Venezia – lo avremmo distrutto. Invece è stato lui a distruggere noi, con Lucia che ci ha rimesso pure la vita”.D’altronde Cristina era convinta di essere l’unica compagna di Renzo Dekleva. Di vivere una storia d’amore importante con un uomo “libero” e con l’ex moglie che viveva a Milano. Non era così. E la donna l’ha scoperto nel modo peggiore. “Mi chiedo spesso dove posso aver sbagliato”, spiega.
Intanto il 17 luglio costituirà una data forse fondamentale in tutta la vicenda. Quel martedì, infatti, si discuterà l’esito della perizia chiesta dal gip sulla causa della morte di Lucia Manca. In quella sede potrebbe essere confermato che la donna sia effettivamente deceduta per soffocamento. In caso contrario, però, tutto potrebbe tornare in discussione.

Rinvio a giudizio per Renzo Dekleva, al via il processo per false attestazioni (Venezia Today – 1 ottobre 2012)
L’ex informatore farmaceutico è accusato di avere millantato una laurea in medicina inesistente. Dal 31 gennaio si trova in carcere. Secondo gli inquirenti sarebbe lui ad aver ucciso la moglie Lucia
E’arrivato il primo appuntamento con la giustizia per Renzo Dekleva, il presunto assassino della moglie Lucia Manca. Stamattina nel tribunale di Venezia, infatti, l’ex informatore farmaceutico è stato rinviato a giudizio dal gup per false attestazioni. Oltre all’accusa di essere l’assassino della consorte, ritrovata cadavere sotto un viadotto a Cogollo del Cengio, nel Vicentino, il 54enne si trova al centro infatti di un’altra indagine.
I carabinieri della compagnia di Mestre, durante gli accertamenti per ritrovare viva Lucia Manca, si sarebbero accorti che quella parola “dottore” scritta sulla carta d’identità di Dekleva sarebbe una bugia. L’uomo, infatti, secondo gli investigatori, avrebbe solo millantato quella laurea in medicina indicata anche sui biglietti da visita distribuiti negli ambulatori del Trevigiano. D’altronde i compagni di corso del 54enne sui quotidiani locali avevano già lasciato intendere che ci fossero molti dubbi sul fatto che Dekleva avesse terminato il percorso di studi accademici a Padova.
Riguardo le indagini sull’uccisione di sua moglie, il 54enne davanti agli inquirenti si è sempre avvalso della facoltà di non rispondere. La prima udienza del processo per falso si terrà, davanti al giudice monocratico nella sede di Mestre del Tribunale, il 10 dicembre prossimo.

Omicidio Lucia Manca, pena ridotta per marito Renzo Dekleva: fu trovata nel Vicentino (Vicenza Today – 18 marzo 2014)
Il cadavere della donna fu trovato, in avanzato stato di decomposizione, sotto il ponte di Cogollo del Cengio nell’ottobre del 2011. In appello il giudice ha ridotto la condanna di 10 mesi
Condanna confermata, anche se ridotta di dieci mesi rispetto alla sentenza di primo grado con rito abbreviato pronunciata il 12 aprile dello scorso anno. Renzo Dekleva è stato giudicato colpevole di omicidio volontario nei confronti della moglie Lucia Manca, la bancaria di Marcon trovata cadavere sotto al viadotto di Cogollo del Cengio nel Vicentino ormai quasi tre anni or sono.
LA SENTENZA Il nuovo capitolo della vicenda processuale si è chiuso alle 14.30 quando i giudici della Corte d’appello hanno pronunciato la sentenza davanti ai parenti della vittima (tra questi il fratello Giuseppe e la sorella Fiorenza Manca), gli avvocati e, naturalmente, l’imputato. Renzo Dekleva, l’informatore farmaceutico che per primo a luglio 2011 denunciò la scomparsa della consorte. Ebbene, la condanna passa da 20 anni e sei mesi di reclusione a 19 anni e 8 mesi. Questo perché il reato di distruzione di cadavere contestato in primo grado è stato derubricato in “semplice” occultamento. Non sarebbe quindi stata ravvisata dai giudici la volontà da parte di Dekleva di nascondere il corpo della moglie per non farlo ritrovare mai più. Di qui lo “sconto” di dieci mesi.
NO COMMENT Nessun commento da parte degli avvocati difensori dell’imputato Pietro Someda e Stefania De Danieli, che si riservano di leggere le motivazioni della sentenza. Bocche cucite anche da parte dei famigliari di Lucia Manca, usciti dall’aula bunker di Mestre senza lasciar trasparire alcuna emozione. Per loro, con ogni probabilità, la consapevolezza di avere assistito a una tappa importante della loro richiesta di giustizia. Confermati anche i risarcimenti stabiliti in primo grado alle parti civili.

Omicidio Lucia Manca, Dekleva condannato a quasi vent’anni (Venezia Today – 16 settembre 2015)
La Cassazione ha accolto in toto la sentenza della Corte d’Appello. Diciannove anni e otto mesi per omicidio e occultamento di cadavere
Sentenza confermata in toto. Renzo Dekleva, l’ex promotore farmaceutico di Marcon accusato di aver ucciso la moglie Lucia Manca nel luglio del 2011, è stato condannato dalla Corte di cassazione a vent’anni di reclusione. Una pena che è il risultato del cumulo dei diversi reati contestati al 55enne, che si è sempre professato innocente. Non solo l’omicidio volontario, infatti: Dekleva deve rispondere anche di occultamento di cadavere e di falso ideologico (per quest’ultimo reato c’è un procedimento a parte), per via della millantata laurea in farmacia. I giudici romani hanno quindi accolto quanto già sentenziato un anno fa dalla Corte d’Appello di Venezia, che aveva puntato il dito su nove indizi che hanno indotto a condannare Dekleva. Falso ideologico a parte, dunque, la pena per  omicidio e occultamento di cadavere rimane di 19 anni e 8 mesi.
Secondo l’accusa, l’uomo avrebbe ucciso la moglie Lucia nell’appartamento di Marcon il 6 luglio del 2011 per poi trasportarne il corpo in auto ed abbandonarlo sotto un cavalcavia in un’area coperta da sterpaglia a Cogollo del Cengio, nel Vicentino. Quindi il giorno successivo aveva denunciato la scomparsa della donna ed erano partite le indagini coordinate dalla pubblico ministero Francesca Crupi. Un’inchiesta che ha avuto una svolta nell’ottobre successivo quando, per caso, i resti della donna erano emersi nel corso di una pulizia della zona a verde.
A carico di Dekleva c’erano delle contraddizioni sui suoi spostamenti accertati dai carabinieri. Attraverso le celle telefoniche e le immagini autostradali, avevano ricostruito i movimenti dell’uomo: dopo aver ucciso la moglie in casa, sarebbe andato dalla presunta amante facendosi vedere in giro per poi prendere il corpo della vittima e metterlo in auto (trovati resti di saliva nel bagagliaio) e scaricarlo sotto il viadotto. Le sue impronte digitali sono state trovate su un biglietto autostradale rilasciato al casello di Piovene Rocchette, a poca distanza dal ritrovamento dei resti della donna. I legali di Dekleva avevano presentato ricorso in Cassazione spiegando che manca la prova schiacciante del delitto: il cadavere era stato trovato in forma scheletrica, non dando la possibilità di esami approfonditi. Secondo i giudici della Corte d’Appello Lucia Manca rimase vittima di un delitto d’impeto, con sullo sfondo la scoperta della relazione extraconiugale del marito, arrestato il 31 gennaio 2012.

Il delitto di Lucia: ecco come il killer venne inchiodato da una mosca (il Gazzettino – 9 ottobre 2015)
Se Renzo Dekleva passerà in carcere il prossimo ventennio della sua vita, lo si deve soprattutto a Stefano Vanin, 44enne entomologo trevigiano, oggi docente di biologia forense alla University of Huddersfield. Una laurea brillante a Padova, anni di contratti di ricerca e, alla fine, la scelta di emigrare in Gran Bretagna. Il paradosso è che lo Stato italiano, che gli ha praticamente precluso la possibilità di una carriera accademica, lo richiama per risolvere i casi più spinosi di cronaca nera. Da Yara Gambirasio a Melania Rea, arrivando al delitto di Lucia Manca, la bancaria trevigiana uccisa dal marito il 6 luglio 2011 e poi abbandonata sotto il viadotto di Cogollo del Cengio, sulla strada per Folgaria.
Ospite ieri ai salotti botanici di Barbazza per parlare di piante e scena del crimine, Vanin spiega come, grazie all’entomologia, ha fornito la prova determinante per incriminare Dekleva: la presenza della mosca calliforide. «Mi hanno chiamato la sera stessa del ritrovamento» conferma.
Perché si sono rivolti a lei? «Perchè i resti erano in un tale stato di decomposizione che l’unico modo per capire qualcosa era risalire agli insetti presenti sul corpo».
Cosa ha rivelato l’autopsia? «Sul cadavere ho individuato delle mosche calliforidi, specie tipica della stagione calda. Erano già state trovate in altri casi in Veneto, e si trattava di omicidi avvenuti durante l’estate. Gli insetti confermavano il frame. E la decomposizione era avvenuta lì: il cadavere era stato spostato fresco nel bosco e lì si era decomposto, a contatto con le specie del luogo»…

Niente permessi per l’omicida Dekleva, parla la donna che aveva raggirato: “Ci vuole più rispetto per le vittime” (La NuovaVenezia Mestre – 13 settembre 2018)
L’uomo che sette anni fa uccise Lucia Manca non avrà permessi premio, la sua pena finirà nel 2031. Parla Cristina: “Se ci fossimo parlate lo avremmo smascherato”
“Se uscisse dal carcere e me lo ritrovassi davanti? Magari per un permesso premio? No, non avrei paura, non potrei. Lo devo a me stessa e lo devo a Lucia che ha pagato con la vita le menzogne di un uomo che ha avuto il solo torto di amare».
Chi parla è Cristina l’impiegata trevigiana 50enne alla quale Renzo Dekleva aveva fatto credere di essere l’unica donna della sua vita. Un castello di bugie iniziato dichiarandosi un uomo libero che stava divorziando dall’ex moglie. Questo era ciò che Dekleva faceva credere a tutti. Seppur con qualche riserva anche Cristina gli aveva creduto.
Pensava di esserne la compagna per la vita e invece era solo l’altra donna.
Sì perché l’informatore farmaceutico era sposato, sua moglie si chiamava Lucia Manca, faceva la bancaria, e la coppia abitava in un appartamento a Marcon nel Veneziano. la chiamata La sera del 6 luglio di sette anni fa da casa Dekleva parte una telefonata verso il numero di Cristina. La linea è disturbata e qualcuno bruscamente riattacca. Secondo i carabinieri è l’uomo mentre il suo mondo di menzogne sta crollando.
«Il mio più grande rammarico è che quella sera io e Lucia non siamo riuscite a parlarci durante quella telefonata. Se così fosse stato saremmo state noi a distruggerlo e invece è stato lui ad annientarci e questa storia ha preso la piega più drammatica e crudele».
Una manciata di minuti Cosa sia accaduto in quei minuti nell’appartamento di Marcon lo sanno solo Lucia, che da quella casa è uscita morta, e Dekleva che continua a proclamarsi innocente contro ogni logica. Il corpo di Lucia è stato abbandonato dal marito sotto il ponte di Cogollo del Cengio che porta a Falcade, dove la famiglia dell’uomo ha una casa in montagna. Un femminicidio, uno dei più seguiti in Veneto, commesso perché Dekleva non voleva perdere i soldi della moglie e nello stesso tempo voleva stare con l’impiegata di cui era follemente innamorato.
Qualcuno potrebbe dire che Cristina, in fondo, era solo l’amante di Dekleva, ma rispetto ad altri casi mediatici come quello diMelania Rea e Roberta Ragusa, le donne che stavano con Parolisi e Logli sapevano che erano uomini già impegnati ed erano consapevoli del loro ruolo di comprimarie. Nel caso di Cristina non è andata così, anche lei è stata una vittima raggirata da Dekleva.
Il «romantico conta balle» che fino all’ultimo ha negato di avere ucciso Lucia ed «è stato così meschino da averlo giurato persino sulla tomba di sua madre» ricorda Cristina. «Se io e Lucia ci fossimo parlate lo avremmo smascherato. Questo pensiero non mi abbandona mai anche se mi consola quell’abbraccio da parte della mamma di Lucia Manca e dei suoi fratelli, che mi hanno capito», spiega Cristina.
Due donne, due storie, due vite intrecciate insieme loro malgrado e un solo carnefice. Dopo aver letto gli appelli di Matilde, Gianangela e di molte altre donne che si sono trovate faccia a faccia con la violenza, Cristina si schiera al loro fianco. Una scelta di campo come era stato sette anni fa, quando ha aiutato gli inquirenti a incastrare Dekleva.
«Non ho subito la violenza di Gianangela, Matilde e di altre donne che civilmente chiedono maggiori garanzie per la loro incolumità. Le apprezzo e le appoggio perché stanno portando avanti una battaglia giusta» dice l’ex compagna di Dekleva. «Altrimenti a cosa serve invitare le donne a denunciare gli abusi se poi non vengono protette?» , si chiede Cristina, che non vuol sentir parlare di permessi premio o misure alternative. niente permessi «Ma stiamo scherzando? Sono uomini che hanno soppresso vite, non si sono macchiati di reati banali. La mia posizione è chiara: Dekleva ha rimediato 19 anni? Beh per uno che ancora nega l’evidenza quale possibilità di recupero può esserci? Chi viene condannato per un omicidio dovrebbe espiare la sua pena fino all’ultimo secondo. Bisogna portare rispetto alle vittime, altrimenti è come ucciderle un’altra volta”.

Marcon, dieci anni fa il caso di Lucia Manca: presto il marito avrà i primi permessi (Corriere del Veneto – 4 aprile 2021)
La vicenda della 52enne bancaria diventò un caso nazionale. Renzo Dekleva si è sempre detto innocente: verso la fine dell’anno potrebbe iniziare a chiedere benefici
La moglie scomparsa, l’amante, le bugie, i doppigiochi, i colpi di scena. Poi, tre mesi dopo, il ritrovamento del cadavere. Infine, l’arresto e la condanna del marito. Quello di Lucia Manca fu uno dei «gialli» veneziani che più appassionarono l’Italia, tanto che Chi l’ha visto? (la trasmissione televisiva) dedicò innumerevoli puntate. E tutto iniziò 10 anni fa, la notte tra il 6 e il 7 luglio, quando — secondo la «verità giudiziaria» che è ormai una sentenza definitiva di condanna emessa dalla Cassazione nel 2015 — il marito Renzo Dekleva strangolò l’allora 52enne bancaria nella loro casa di Marcon intorno alle 20, probabilmente al culmine di una lite per la gelosia di lei nei confronti dell’amante di lui. Ma a rendere il caso un vero e proprio giallo fu quello che successe dopo. L’uomo infatti, pur con mezz’ora di ritardo, si presentò all’appuntamento che aveva con l’altra donna intorno alle 22 e rimase con lei un paio d’ore. Poi, arrivato a casa, caricò il cadavere nel bagagliaio dell’auto e lo portò sotto il viadotto di Cogollo del Cengio, nel Vicentino, poco dopo la fine dell’A31. Lo nascose in mezzo ai rovi — dove fu trovato tre mesi dopo da una squadra di operai — e se ne ritornò a Marcon alle 5 di mattina, per poi presentare denuncia di scomparsa il pomeriggio successivo.
Le indagini e l’arresto. L’ex informatore farmaceutico venne arrestato il 31 gennaio 2012 con l’accusa di omicidio volontario. Oggi ha 63 anni e ha scontato quasi metà dei 19 e 8 mesi nel carcere di Treviso. Di lui si sa poco: anche dopo la Cassazione ha continuato a dirsi innocente e anche per questo i legali dell’epoca hanno interrotto i contatti. Verso la fine dell’anno potrebbe iniziare a chiedere i primi permessi, gestendo le pratiche in autonomia con gli assistenti sociali del carcere.
I famigliari di Lucia, che si costituirono parte civile con l’avvocato milanese Gabriela Giunzioni, non se la sentono più di parlare. «Sono una famiglia molto schiva, questa vicenda è stata un dolore enorme che negli ultimi anni hanno voluto cercare di dimenticare», spiega il legale. Anche l’amante si è gettata tutto alle spalle. «Quello che dovevo dire l’ho detto dieci anni fa», taglia corto.
Le bugie del marito. A incastrare il marito furono in parte le sue bugie, ma anche dei dati oggettivi. Come il biglietto dell’autostrada su cui c’erano le sue impronte, che confermavano il viaggio notturno, da lui motivato con una giustificazione assurda: era andato a Folgaria (dove la coppia aveva la seconda casa) a recuperare una macchina fotografica con foto compromettenti. Il suo telefono aveva agganciato la cella di Rubano all’1.55, erano state trovate tracce biologiche di Lucia nel bagagliaio. É poi crollato il castello di menzogne, a partire da fantomatici amanti della moglie, fino a quelle dette all’amante, che venne a sapere della scomparsa della donna una settimana dopo, dai media. Dekleva le aveva detto che si stavano separando, che lei era tornata dalla famiglia a Milano.
Ai parenti disse che l’aveva cercata. Ai parenti di Lucia disse che l’aveva cercata, ma tutti capirono che stava recitando la parte del marito preoccupato: e non gli riusciva neppure troppo bene. E proprio alcune cose dette dall’amante — per esempio quando raccontò che la sera del delitto Renzo era arrivato da lei «spasemà» e poco curato, oppure quando rivelò che le avevo confessato il viaggio notturno a Folgaria — sono state fondamentali per rafforzare il quadro degli inquirenti. «Ha dimostrato coraggio e forza, che ho percepito come una dimostrazione di grande umanità nei confronti della vittima — ricorda il pm dell’epoca, Francesca Crupi — La tempestività delle indagini dopo la denuncia di scomparsa è stata risolutiva per capire che non si trattava di un allontanamento volontario e per cominciare a scandagliare tutte le condotte di Dekleva». (di Alberto Zorzi)


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