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Rabin Badr, 40 anni, disoccupato. Uccide la convivente a colpi di mazza da baseball. Condannato a 30 anni di reclusione

Bressanone (Bolzano), 21 Agosto 2017


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Uccisa dal compagno, la difesa non fa ricorso
Rabih Badr resta in carcere in attesa delle analisi dei Ris sulle tracce di sangue. Gli avvocati hanno capito di non avere possibilità di chiedere la scarcerazione
Gli avvocati difensori di Rabih Badr, il marocchino in carcere con l’accusa di aver massacrato e ucciso nel suo appartamento di Bressanone, la convivente Marianne Obrist di 39 anni, ieri hanno rinunciato al ricorso davanti al tribunale della libertà per cercare di ottenere la revoca dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere dell’uomo. L’avvocatessa Amanda Cheneri che difende il presunto omicida assieme al collega Martin Fill, ieri ha puntualizzato che la decisione è legata al mancato deposito delle analisi genetiche sulle tracce di sangue rilevate sulla mazza da baseball rinvenuta e sequestrata sul luogo del delitto. In realtà, al di là dei possibili sviluppi dell’indagine sulla base dei risultati di laboratorio dei Ris, la rinuncia al ricorso al tribunale del riesame è dimostrazione che anche gli avvocati difensori di Rabih Badr si sono resi conto che al momento non sembrano esserci molti margini di manovra per ottenere la revoca dei provvedimenti cautelari. Come dire, in termini più tecnici, che i gravi indizi di colpevolezza in grado di giustificare la custodia cautelare in carcere ci sono tutti.
Il marocchino indagato per omicidio volontario, dunque, per il momento resta in carcere. Come noto la mazza da baseball è nel laboratorio dei Ris di Parma, il reparto scientifico dei carabinieri. Gli inquirenti intendono infatti ottenere la conferma che le tracce di sangue appartengano alla vittima. Per ora il marocchino in carcere non ha cambiato strategia e non ha modificato la propria posizione. Ai propri legali ha sempre detto di essere estraneo alle accuse ma davanti al giudice delle indagini preliminari si è avvalso della facoltà di non rispondere in attesa di poter conoscere nel dettaglio gli elementi accusatori in mano agli inquirenti.
L’indagine è affidata al sostituto procuratore Andrea Sacchetti che starebbe valutando, assieme al procuratore Bramante, la contestazione di due aggravanti destinate ad integrare l’attuale accusa di omicidio volontario. Il capo d’imputazione, dunque, è destinato a diventare più pesante. La Procura sembra decisa a contestare l’aggravante della crudeltà (la donna come detto sarebbe stata massacrata a colpi di mazza da baseball) e dell’arma utilizzata. Come noto il decesso di Marianne Obrist sarebbe da mettere in relazione ad un grave choc emorragico con perdita di molto sangue a seguito delle ferite inferte alla vittima.
Gli inquirenti sono al lavoro anche sul fronte del movente. C’è una pista ben precisa che viene seguita dalla Procura. Anche nei giorni scorsi sono stati sentiti diversi testimoni che avrebbero confermato i sospetti degli investigatori. Il movente sarebbe stato individuato nell’ambito personale. Ricordiamo che nell’ordinanza con cui il giudice Emilio Schönsberg ha disposto la custodia cautelare in carcere , è stato evidenziato un quadro indiziario pesante a carico di Rabih Badr. In primo luogo anche a seguito delle varie contraddizioni emerse nel corso delle prime battute delle indagini. Secondo gli inquirenti il comportamento di Rabih Badr è tutt’altro che limpido. Agli atti del procedimento penale ci sono le testimonianze di alcuni vicini di casa della vittima che hanno raccontato agli inquirenti di aver sentito la coppia litigare nel pomeriggio della tragedia.

Marianne, massacrata perché non voleva ubbidire
La tragedia – scrive il giudice – è anche figlia di un retaggio culturale che considera la donna sottomessa totalmente all’uomo
C’è uno spaventoso retaggio culturale dietro il massacro di Marianne Obrist, la donna uccisa a colpi di bastone e mazza da baseball dal suo convivente marocchino a Bressanone. E’ quanto emerge dalle motivazioni della condanna a 30 anni di reclusione inflitta dal giudice Peter Michaeler. In sostanza l’uomo, Rabin Badr di 35 anni, è stato condannato all’ergastolo ma ha evitato il carcere a vita (che in realtà in Italia non esiste più) solo grazie al rito abbreviato scelto dai suoi avvocati. Solo una questione procedurale, dunque.
In realtà gli elementi emersi durante l’inchiesta si sono dimostrati pesantissimi nonostante gli avvocati difensori abbiano sempre sostenuto l’insussistenza di una conclamata volontà omicida da parte dell’imputato. Inutilmente i due legali hanno sostenuto che il loro assistito avrebbe avuto unicamente l’intenzione di imporre una “lezione” alla sua donna che non sarebbe stata sufficientemente sottomessa. Già questo sarebbe stato un quadro vergognoso ma la realtà, spiegata dal giudice in sentenza, è molto più grave.
«Rabin Badr – si legge nelle motivazioni della condanna – ha agito con mente lucida. La ripetizione seriale dei colpi inferti non è espressione di una psicopatologia, ma è la reazione esagerata ad uno stimolo esterno, quello proveniente dalla compagna che osava difendersi». La spiegazione del giudice Michaeler è chiarissima: «Il movente di fondo della sua azione va, con ogni probabilità , ricercato nella sua diversità culturale, nell’ambito della quale la donna è un essere completamente sottomesso all’uomo».
Secondo la ricostruzione del dramma emersa dal processo, Marianne Obrist avrebbe pagato con la vita la sua decisione di non sottomettersi a questa logica. E nel momento in cui ha deciso di ribellarsi ai pestaggi subìti nei giorni precedenti, Marianne è andata incontro ad una fine orribile. Le indicazioni contenute in sentenza sono raccapriccianti. Nell’appartamento del delitto sono stati rinvenuti anche resti di carne umana della vittima che sarebbe stata seviziata pure in punto di morte. Anche nel processo – sottolinea il giudice – l’imputato avrebbe cercato di fornire una giustificazione del suo comportamento accusando la vittima di intrattenersi sessualmente con altri uomini.
«Accusa del tutto infondata – si ricorda in sentenza – perchè Marianne Obrist da tempo era costretta dal convivente marocchino a vivere segregata dal mondo». Al punto che Badr non l’avrebbe mai lasciata uscire da sola e quando incontrava qualche conoscente rispondeva lui per lei. Marianne sarebbe stata costretta a rimanere in silenzio. Più volte – sottolinea ancora il giudice – la vittima era stata vista con lividi sotto gli occhi ma lei avrebbe sempre negato per vergogna. Dopo aver conosciuto Badr, la donna – scrive il giudice – fu costretta a interrompere le amicizie e a chiudere l’indirizzo facebook. Tra il resto l’accusa di tradimenti sessuali – si legge in sentenza – è anche completamente priva di qualsiasi riscontro probatorio.
Le considerazioni finali del giudice sono molto pesanti anche sul fronte della quantificazione della pena. Intensità del dolo, gravità del danno , modalità dell’azione e comportamento prima e dopo il massacro portano al massimo della pena. «Badr – scrive il giudice – ha voluto uccidere, ha usato modalità esecutive brutali ed efferate, tanto da meritarsi l’aggravante della crudeltà e delle sevizie, ha soggiogato la convivente per anni “estirpandole la libertà”». In conclusione il giudice non ritiene possa essere considerata un’attenuante «neppure la diversità culturale (per descrivere con un eufemismo il fondamentalismo culturale)».


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