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Pietro Cambedda, 63 anni, pensionato, padre. Uccide la moglie a picconate in faccia e la seppellisce nell’orto, poi finge di cercarla. Condannato a 30 anni con rito abbreviato

Settimo San Pietro (Cagliari), 20 Aprile 2009


Titoli & Articoli

Pietro Cambedda ha confessato di aver ucciso (a picconate) e seppellito la moglie (Blitz – 27 maggio 2009)
Elisabetta Bruno, la donna scomparsa un mese fa in provincia di Cagliari, fu uccisa dal marito, Pietro Cambedda. Il cadavere è stato ritrovato sepolto in un campo di fave di sua proprietà, in località San Pietro. La segnalazione è arrivata proprio dal marito che ha confessato l’omicidio.
Fu lo stesso Cambedda, il 19 aprile scorso, a denunciare la scomparsa della donna che, da quel momento, non diede più notizie di sè. Cambedda ha ammesso di avere ucciso Elisabetta Bruno a picconate, dopo una lite e per motivi passionali (la donna aveva scoperto che il marito teneva una relazione extra-coniugale). Cambedda è stato arrestato per uxoricidio e occultamento di cadavere ed è stato condotto nel carcere di Buoncammino.

Settimo: non era andata via ”L’ho uccisa io col piccone” (l’Unione Sarda – 28 maggio 2009)
Non era scappata: l’ha uccisa il marito, che poi ha confessato il delitto. ”L’ho colpita con un piccone e poi sepolta nell’orto”, ha detto Pietro Cambedda, 62 anni. La vittima, Elisabetta Bruno, era furibonda con l’uomo: la sua matrigna aveva una relazione clandestina con l’assassino
Una denuncia di scomparsa e tre appelli su televisioni e giornali il 24 e 30 aprile e il 5 maggio scorsi: ”Elisabetta torna a casa, siamo preoccupati”, aveva detto il marito.
Ma Elisabetta Bruno, di Settimo, 43 anni, non poteva ascoltare le richieste dei familiari: massacrata da tre picconate alla testa, era stata sepolta in una fossa scavata in un terreno alla periferia del paese. L’omicidio risale al 20 aprile, giorno della scomparsa della donna, ma il cadavere è stato trovato solo la notte tra martedì e ieri dai vigili del fuoco e dai carabinieri, che poco prima avevano fermato l’assassino: Pietro Cambedda, 62 anni, marito della vittima, ora richiuso nel carcere di Buoncammino con l’accusa di omicidio volontario aggravato. L’uomo ha confessato il delitto dopo sette ore di interrogatorio davanti ai militari di Sinnai che, con i colleghi di Quartu e quelli del nucleo di polizia giudiziaria, avevano puntato gli occhi su di lui fin dall’inizio.
I LITIGI La donna è stata ammazzata al termine dell’ennesimo litigio col coniuge, scoppiato – come tutti quelli dei mesi precedenti – per la presenza di un’amante nella vita del marito. Pietro Cambedda da qualche tempo aveva instaurato una relazione extraconiugale con Rosalba Canu, 54 anni, matrigna di Elisabetta Bruno e con la quale Giovanni Bruno (padre della vittima e morto per infarto lo scorso 18 maggio) si era risposato una volta rimasto vedovo. La tresca aveva avvelenato i rapporti familiari, e non poche volte i tre figli della coppia (due maggiorenni e un minorenne) avevano assistito a pesanti scambi di vedute tra i genitori. Spesso Cambedda riceveva messaggi via cellulare dall’amante e allora si spostava di stanza, ma la moglie lo seguiva e i due litigavano.
L’OMICIDIO L’ultimo episodio risale alla sera del 20 aprile: identica la scena, tragica la conclusione. Dopo la sfuriata reciproca, marito e moglie – stando alla ricostruzione resa ieri in conferenza stampa dai carabinieri – vanno insieme in un discount alla periferia di Settimo e, subito dopo, si dirigono verso un terreno di loro proprietà al confine con Sinnai. Qui Cambedda spiega alla moglie che, anche se “chiacchierata”, l’amante le piace. La frase scatena l’ira di Elisabetta Bruno, che salta addosso all’uomo con tutto il peso dei suoi 110 chili e lo afferra per il collo. Questi si libera e la colpisce con un piccone. Un primo colpo laterale, poi altri due frontali in sequenza: la donna stramazza al suolo. Il marito mantiene la lucidità necessaria a scavare una fossa, metterci dentro il cadavere della consorte e il suo maglione sporco di sangue, portare il piccone a casa dopo averlo lavato e girovagare ore per poter dire, poi, di essere andato in cerca della moglie.
L’ALIBI Ma il suo alibi vacilla da subito. I carabinieri (al comando del colonnello Gavino Asquer, del maggiore della Compagnia di Quartu, Alfredo Saviano e del comandante della stazione di Sinnai, Stefano Locci) sanno che quella notte Cambedda non è mai andato a Cagliari ma è rimasto sempre a Settimo: risulta dalle celle telefoniche alle quali era agganciato il suo cellulare. E non era vero che la donna quel giorno si era spostata da sola, perché alcuni testimoni li avevano visti insieme poco prima del delitto.
LA CONFESSIONE L’uomo viene convocato nuovamente in caserma martedì pomeriggio. Sono le 15,30: alle 22,30 confessa, a mezzanotte viene trovato il corpo. Ieri in carcere il colloquio col pm Maria Virginia Boi davanti all’avvocato difensore Massimiliano Dessalvi. Ora si attendono gli esiti dell’autopsia, ma il cerchio intorno a Cambedda si è chiuso. Resta da valutare invece il comportamento dell’amante, Rosalba Canu: al momento è indagata per favoreggiamento (la donna, difesa dal legale Carlo Monaldi, sapeva tutto ma ha coperto il compagno).
(di Andrea Manunza)

Il delitto di Settimo: scambio di smsL’assassino voleva fuggire con l’amante (l’Unione Sarda – 2 giugno 2009)
Gli sms inviati alla donna e le contraddizioni del suo racconto, hanno rivelato il progetto di Cambedda. Determinanti anche le testimonianze raccolte dai carabinieri
Pietro Cambedda aveva deciso di scappare. Insieme con l’amante Rosalba Canu, matrigna di Elisabetta Bruno, la moglie morta ammazzata neanche qualche giorno prima, il 62enne di Settimo stava progettando una fuga che gli consentisse di sfuggire a un arresto ormai imminente. Il suo racconto, quello riguardante le ore immediatamente successive al delitto, si era sciolto come neve al sole ai primi riscontri e, soprattutto, non aveva retto davanti alle tante testimonianze raccolte dai carabinieri di Quartu e Sinnai sui suoi spostamenti nel giorno dell’omicidio (tante persone l’avevano visto con la vittima, mentre lui diceva di essersi spostato da solo). Così l’assassino – che solo una volta messo alle strette avrebbe poi confessato le sue colpe – aveva preso la decisione: andare via e, magari, portare con sé la nuova compagna.
INTERCETTATO È questo uno dei motivi che hanno spinto il giudice per le indagini preliminari Alessandro Castello a convalidare il fermo e disporre la custodia cautelare in carcere per il falegname in pensione. Le risultanze delle indagini, quando ormai il caso è a un passo dalla chiusura, parlano chiaro: il timore che l’indagato potesse prendere i largo era molto più che reale. Quasi una certezza, venuta a galla grazie alle intercettazioni telefoniche disposte dalla magistratura nei giorni che avevano seguito la scomparsa di Elisabetta Bruno.
LE FAVE Proprio una serie di messaggi tra lui e Rosalba Canu hanno consegnato agli investigatori la prova della sua colpevolezza. In alcuni sms, che i due si erano scambiati a distanza di giorni dal delitto, parlavano della possibilità di scappare (la Canu, difesa dal legale Carlo Monaldi, è accusata di favoreggiamento) ma, soprattutto, di un particolare che di lì a poco avrebbe definitivamente incastrato Cambedda: le fave da lui stesso raccolte nell’orto di famiglia il giorno del delitto. Un errore che gli è costato il carcere. Durante un interrogatorio, l’amante del falegname aveva detto ai carabinieri che l’uomo «il giorno della scomparsa di Elisabetta Bruno mi aveva portato a casa delle favette, raccolte nel campo dove è stato trovato il cadavere». Particolare fondamentale, perché l’omicida nei confronti precedenti davanti ai militari aveva sempre negato di essere andato nell’orto quel giorno. Infatti in seguito la stessa Canu aveva spiegato come «qualche giorno prima del ritrovamento del cadavere, Pietro si era dimostrato nervoso perché aveva saputo che io avevo raccontato delle favette. Le aveva lasciate all’ingresso di casa mia. Lui aveva negato, ma io ho detto la verità».
INCASTRATO Negli sms, Cambedda aveva scritto all’amante che quella rivelazione l’aveva messo in grandi difficoltà. Poi il progetto di fuga e la successiva convocazione in caserma a Sinnai. È il 27 maggio scorso, sono le 15,30: messo alle strette, l’uomo crolla dopo sette ore di interrogatorio e alle 22,30 confessa. Ammette il delitto, spiega cosa è successo (anni e anni di liti sfociate nelle quattro picconate alla testa all’ombra degli ulivi coltivati nel loro terreno alla periferia del paese) e indica il punto in cui è sepolto il corpo della moglie.
IN CARCERE Ora Cambedda, seguito passo passo nella vicenda giudiziaria dall’avvocato Massimiliano Dessalvi, è controllato a vista in una cella di Buoncammino: il timore è che tenti il suicidio.
(di Andrea Manunza)

Faceva sesso con la suocera. La moglie lo scopre e lui la uccide (Blitz – 14 giugno 2010)
Pietro Cambedda, 63 anni, è stato arrestato un anno fa. Ora si trova nel carcere cagliaritano di Buoncammino in attesa di essere processato (il 4 ottobre) per l’omicidio della moglie Elisabetta Bruno. Lo stesso Cambedda aveva confessato di essere l’autore dell’omicidio. La donna era stata colpita con quattro picconate e poi sepolta in un orto alla periferia di Settimo San Pietro, cittadina alle porte di Cagliari.
In una lettera scritta dal carcere, Cambedda ha raccontato quali sono state le motivazioni dell’omicidio. Tutto è partito quando l’uomo ha incontrato Rosy – Rosalba, matrigna della moglie. Suo suocero si era infatti trasferito con la seconda moglie vicino alla sua abitazione. E da quel momento, le due famiglie iniziano a frequentarsi. Scrive Cambedda: «Mia moglie cercava di trascinarmi a casa del padre, ma io avevo avversione e antipatia per la moglie, che non sopportavo. Aveva abbandonato nove figli e la prima moglie, la madre di Betti. Mia suocera è morta di fatica a 50 anni». E così Cambedda e la matrigna della moglie iniziano a vedersi. «Ma io la cacciavo, scrive nella lettera. Veniva soltanto per umiliare mia moglie. Quando non c’era Betti, mi faceva vedere le sue grazie, mi parlava di tutti gli uomini che si tirava dietro. Cose che io e tutto il paese sapevamo già. Si diceva che facesse sesso anche con un medico». E da quel momento l’attrazione tra i due diventa fatale. E una sera i due finiscono a letto. «Ero un po’ su di giri, le chiesi di darmi una notte di sesso. Lei accettò con entusiasmo. I nostri incontri diventarono infiniti. Lei riusciva a neutralizzare il marito, ci si incontrava a casa sua la mattina, di pomeriggio, quasi ogni notte. Me ne innamorai in modo diabolico. Facevamo sesso senza stancarci mai. Diventammo gelosi l’uno dell’altro. Lei non voleva che dormissi con mia moglie. Cominciai a non stare più a casa, mi astenni dal fare all’amore con Betti».
Ben presto la moglie era venuta a sapere della relazione tra suo marito e la matrigna. E subito dopo il padre scoprì a letto i due amanti. La moglie intanto aveva iniziato a minacciare Cambedda: «Diceva che mi avrebbe ucciso. Spesso portavo sul viso i segni delle sue unghie. Un giorno le dissi che avrebbe vissuto meglio senza di me. Mi avvelenai con psicofarmaci ma lei, purtroppo, mi salvò la vita. Mi svegliai in ospedale. Scappai senza che i medici potessero fermarmi». Cambedda, dopo il tentato suicidio, aveva deciso di cambiare vita. Ma ben presto «lei tornò alla carica e la notte ripresi a dormire con lei. Ricominciò l’inferno. Perdetti l’uso della ragione. Rosy diventò una malattia. La mia vita, ormai, era fatta di litigi e stanchezza. Vita da barbone».

 

l’Unione Sarda – 23 luglio 2010

 

Settimo, uccise la moglie a picconate, condannato a 30 anni di carcere (la Nuova Sardegna – 4 ottobre 2010)
Trent’anni di carcere, è questa la condanna inflitta dal giudice di Cagliari, al termine del processo con rito abbreviato, al pensionato di Settimo San Pietro (Cagliari) che l’anno scorso uccise la moglie. La donna da tempo gli rimproverava una relazione sessuale con la suocera
È stato condannato stamane a 30 anni di carcere, con il rito abbreviato, il pensionato di Settimo San Pietro (Cagliari) che l’anno scorso uccise, durante una lite, la moglie che da tempo gli rimproverava una relazione sessuale con la suocera. Per Pietro Cambedda, 63 anni, il pm Maria Virginia Boi aveva chiesto questa pena, invitando il gup di Cagliari Giorgio Altieri a non riconoscere le attenuanti generiche (l’imputato era incensurato e aveva confessato), ma anzi a considerare l’aggravante della premeditazione. A ciascuno dei tre figli della vittima, Elisabetta Bruno, uccisa a 43 anni a colpi di piccone e sepolta in un giardino di proprietà della famiglia, il giudice ha riconosciuto un risarcimento di 300.000 euro (contro gli 850.000 a testa chiesti dall’avvocato di parte civile, Pierluigi Concas) e di 150.000 euro per ognuna delle quattro sorelle della donna.


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