Nicola Piscitelli, 55 anni, vedovo, padre. Uccide la compagna con 12 coltellate alla schiena, poi va a costituirsi con in mano il coltello insanguinato
San Prisco (Caserta), 3 Agosto 2016
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Uccide la compagna e si costituisce con il coltello ancora in mano (la Stampa – 3 agosto 2016)
Un uomo di 55 anni di origini casertane si è presentato stamattina alla stazione dei Carabinieri di Santa Maria Capua Vetere. Impugnava l’arma del delitto ancora insanguinata
Ha ucciso la sua compagna e poi si è costituito alla stazione dei carabinieri di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) con il coltello ancora insanguinato. Ora è in stato di fermo Nicola Piscitelli, 55enne di Arienzo (Caserta). Secondo quanto ha raccontato ai militari davanti ai quali si è presentato, avrebbe ucciso la donna nel corso di una lite a Cava Tifatina nel comune di San Prisco (Caserta). Il corpo di Rosaria Lentini, catanese 59enne, è stato trovato all’interno di un sacco a pelo nel luogo segnalato dall’uomo.
Nicola Piscitelli, ha ucciso a coltellate la compagna e poco dopo si è recato alla stazione dei carabinieri di Santa Maria Capua Vetere in stato di agitazione e con l’arma del delitto ancora nelle mani con evidenti tracce di sangue su tutta la lama. I militari, giunti sul posto segnalato dal reo confesso, hanno ritrovato il corpo ormai senza vita di Rosaria Lentini. La donna era in posizione supina, all’interno di un sacco a pelo riversa sul terreno. Sul luogo sono ora in corso rilievi e accertamenti da parte dei Carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Caserta e della Compagnia di Santa Maria Capua Vetere.
“Mio fratello non è mai stato un violento” (la Repubblica – 4 agosto 2016)
“L’avevo sentito al telefono e ho avuto l’impressione che non ci stesse con la testa. Era molto irascibile”. Raffaele Piscitelli, il fratello di Nicola, l’uomo che ha confessato di aver ucciso con 12 coltellate Rosaria Lentini in una cava abbandonata di San Prisco, ancora non sembra credere all’accaduto. “Nicola non è un violento. Negli ultimi tempi gli attacchi di panico erano frequenti. E’ stato anche in cura per questo. Credo si sia trattato di uno scatto d’ira dovuto alla sua condizione mentale. E quando si è reso conto di ciò che aveva fatto si è consegnato ai carabinieri”.
Raffaele, 57 anni, primo di nove figli, vive in due bassi in una traversa di via dell’Annunziata, ad Arienzo, nel centro cittadino. “Siamo poveri, ma non siamo dei delinquenti – ci tiene a sottolineare – viviamo con poco, ma abbiamo una nostra dignità”. Nicola era sposato. La moglie gli è morta un anno e mezzo fa. Ha sempre vissuto facendo piccoli lavori nel settore dell’edilizia, ma in maniera saltuaria. Dal matrimonio sono nati tre figli, due maschi e una ragazza a sua volta sposata.
“Uno dei figli di Nicola, vive con me che non sono sposato – dice Raffaele – lavora in campagna. Esce la mattina alle 6 e rientra la sera alle 20. Gli altri due vendono il cocco sulle spiagge del litorale laziale. Nicola è un bravo ragazzo – insiste il fratello – Non ha mai fatto niente di male e non ha precedenti penali. Quando l’ho sentito l’altro giorno ha chiuso il telefono improvvisamente, dopo avermi detto di non chiamarlo più. Non so cosa gli è successo. Forse è il lavoro che non c’è, le difficoltà economiche. Da alcuni mesi aveva deciso di abbandonare l’appartamento che ha in via Matteotti e di vivere un camper perché non ce la faceva più a pagare le tasse. La scelta di vivere da nomade la capisco. Le tasse dello Stato per una casa vanno e vengono. Tutti abbiamo delle difficoltà. Ma poi – si domanda Raffaele – come ha fatto ad arrivare su quella cava abbandonata che dista una quarantina di chilometri da Arienzo?”. Ci si arriva per un strada stretta e da un certo punto in poi un altro tratto lo si deve fare a piedi, perché una sbarra impedisce il passaggio alle auto. E’ un luogo isolato, spettrale, frequentato solo da tossicodipendenti e da coppiette.
“Con questa donna, Rosaria, si erano conosciuti su Facebook dopo la morte della moglie. Avevano anche litigato più di una volta, ma alla fine lei era sempre ritornata. Voleva stare con lui. Ma non mi spiego la violenza di mio fratello. Quando ho telefonato al figlio che vende il cocco sulla spiaggia per avvertirlo di ciò che aveva fatto il padre, è rimasto incredulo: “Non ci credo, mi stai prendendo in giro. Non può essere che mio padre abbia fatto una cosa del genere”, ha ripetuto più volte. All’altro figlio, quello che vive con me e che ora sta ancora lavorando in campagna, non gliel’ho detto ancora. Quando torna troverò il modo e le parole giuste per farlo, almeno spero”.
Nemmeno la madre, quasi novantenne, non sa niente. Vive a casa di un altro dei fratelli di Nicola, a Santa Maria a Vico. Fino a nove mesi fa, prima che i due bassi di Raffaele si allagassero, anche lei viveva con il primogenito. “Mia madre viveva con me in questo tugurio, ma non le potevo offrire di più – dice Raffaele mentre i suoi occhi diventano lucidi – Siamo una famiglia numerosa. Nove figli maschi, di cui uno morto anni fa. Mio padre è morto negli anni ’70. Ci siamo sempre arrangiati, ma lo abbiamo fatto con tanta dignità. Mia mamma non deve sapere di ciò che ha fatto Nicola, la sua salute è già precaria. Non reggerebbe al dolore. Non le diremo niente. Ora, però, Nicola non lo vogliamo abbandonare in carcere. Ho avvisato anche un altro mio fratello che fa l’infermiere a Milano. Tra qualche giorno andremo a trovarlo. Nicola ha bisogno di aiuto. Io sono il primo dei fratelli, Tocca soprattutto a me stargli vicino.”