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Nicola Garbino, 36 anni, studente fuori corso ora ingegnere. Uccide “la prima ragazza che capita” con 12 coltellate perchè non riusciva più a mentire ai genitori. Riconosciuto pienamente in grado di intendere e di volere, gli vengono concesse le attenuanti generiche per il suo passato di sofferenza e viene condannato a 18 anni di reclusione. In carcere, mentre lavora in un call center, si laurea in ingegneria meccanica con 103/110

Udine, 17 Settembre 2013

Cercava una ragazza piccola di statura che non potesse sopraffarlo fisicamente. Dice che non ce la faceva più a mentire ai suoi genitori. In cura per problemi mentali, viene riconosciuto pienamente in grado di intendere e di volere, viene condannato a 18 anni di reclusione e finalmente in carcere si laurea in ingegneria meccanica.


Titoli & Articoli

Omicidio Gobbato, folle piano di rapimento: “Aspettavo una ragazza qualunque” (La Repubblica – 20 settembre 2013)
Perché l’ho fatto? Perché non ce la facevo più a raccontare bugie ai miei genitori. Ho sempre mentito sugli esami all’università.
A loro dicevo che avevo quasi finito, che stavo per laurearmi. E invece non era così. Avevo appena comunicato a mia madre e a mio padre che avrei lasciato gli studi e mi sarei messo a lavorare. Ma dovevo procurarmi dei soldi. Il sequestro serviva a questo“. E’ giovedì pomeriggio nella caserma dei carabinieri in via Trieste. Dopo le dichiarazioni spontanee rese in mattinata subito dopo il fermo, e dopo il sopralluogo sulla scena dell’omicidio di Silvia Gobbato, il killer reoconfesso Nicola Garbino risponde alle domande degli inquirenti.
Due ore di interrogatorio di fronte al pm Marco Panzeri e al comandante del Nucleo investigativo provinciale, Fabio Pasquariello. Il trentaseienne di Zugliano di Pozzuolo – studente iper fuoricorso di Ingegneria – fa mettere a verbale una confessione piena. E ricostruisce il suo folle progetto sfociato in un brutale omicidio per soldi. “L’idea mi è venuta due mesi fa – racconta -. Ho pensato che rapire e sequestrare una ragazza sull’Ippovia sarebbe stato il miglior modo per racimolare dei soldi”.
Garbino non è tecnicamente matto, ma secondo gli investigatori ha agito guidato da una “lucida follia”, una razionalità metodica che lo ha portato a “studiare il suo piano nei minimi dettagli”.
Un piano alimentato dal motore della “menzogna”, una costante nella vita dell’assassino e nel rapporto coi suoi familiari. Il progetto, dunque. “Nelle ultime settimane avevo già fatto due appostamenti. Sempre in quel punto dell’Ippovia”. Il pezzo di sentiero dove il killer aggredisce e massacra Silvia offre uno “slargo” che fa comodo a Garbino. C’è il viottolo dove viene trascinata la vittima. E’ anche una via di fuga. “Dalla postazione dove mi mettevo potevo osservare il passaggio sulla stradina – ricostruisce Garbino – “studiare” la vittima e controllare che non passasse nessuno. Quando arrivavo sul posto mi cambiavo: indossavo la tuta sopra i vestiti e un cappellino senza marchi (quello che gli hanno trovato addosso aveva il logo coperto dal nastro adesivo). Cercavo sempre di evitare le telecamere”.
Ma come avrebbe dovuto svolgersi il sequestro-lampo? “Avevo progettato di rapire la ragazza, di portarla nel boschetto e di  tenerla legata a un albero col nastro adesivo (che viene trovato nello zaino). Il tutto doveva durare non più di due ore” – spiega. Il tempo di costringere la vittima a telefonare alla famiglia per chiedere un riscatto (chissà chi glielo  avrebbe consegnato e dove). Poi l’avrebbe liberata. Sono le 13.30 di martedì. Garbino vede arrivare Silvia di corsa, il telefonino in mano.
“Ho cercato di bloccarla ma ha gridato – è il racconto dell’uomo -. Dopo averla colpita, l’ho trascinata e a un certo punto, esausto, sono caduto a terra”. L’omicida fatica a spostare il corpo di Silvia. “Ho visto il suo telefonino a terra, sono tornato sulla strada per recuperarlo e ho visto arrivare una persona”.
Il cadavere di Silvia resta lì, Garbino fugge: mezz’ora di corsa per nascondere il coltello e la tuta. “Sono rimasto lì un’ora e mezza, poi ho recuperato la macchina”. L’uomo rientra a casa verso le 20.30, non cena e starà chiuso nella villa di Zugliano anche il giorno dopo, mercoledì. Giovedì recupera il coltello, poi lo fermano mentre gira in bicicletta. Nell’interrogatorio il magistrato chiede a Garbino se è pentito della “cosa imperdonabile” che ha fatto. Lui nicchia, la parola “pentito” non la pronuncia, dice solo “mi dispiace per i miei genitori e per mio fratello (Gianluca, dirigente della Despar). Magari avrà dei problemi sul lavoro”. Nemmeno un accenno a Silvia e al dolore della sua famiglia. Nicola è sempre riferito a se stesso, ai suoi genitori e al fratello. Vivono tutti insieme nella casa di Zugliano. Una casa con sei televisioni dove, di fatto, ognuno si fa i fatti suoi. Una specie di “bolla” chiusa al mondo esterno.
“Non è vero che aveva bisogno di soldi, glieli davamo noi ” – confermano i genitori ai carabinieri. Garbino esce poco, niente fidanzate, zero amici.
Un 36enne che viveva come un bambino non cresciuto.Ogni tanto andava al cinema”, dice mamma Silvana. Nella camera del killer – sotto sequestro – gli investigatori hanno trovato: una parrucca da donna, un altro coltello da cucina (simile a quello usato per il delitto), una pistola giocattolo, la mappa del parco Cormor (dove c’è l’Ippovia). E delle ciocche di capelli. Sono state inviate ai laboratori del Ris guidato dal colonnello Giampiero Lago. Se si tratti di capelli umani o sintetici è ancora da verificare. Il sospetto è che Garbino possa avere tagliato una ciocca di capelli a Silvia dopo averla massacrata (viene in mente il caso Danilo Restivo). O che, ancora peggio, i capelli conservati possano appartenere in qualche modo ad altre persone. Tra gli uomini che hanno condotto le indagini serpeggia un’idea: e cioè che la storia del sequestro-lampo raccontata dal killer sia in realtà un paravento (o un pretesto) dietro il quale si cela in realtà un movente di natura sessuale.


Il killer di Silvia pianificava un colpo
da anni: «Volevo cambiar vita» (il Gazzettino – 14 luglio 2014)
Progettava il sequestro da almeno due anni, da quando non aveva potuto dare un esame all’università perché non aveva pagato le tasse.
Nicola Garbino, reo-confesso del delitto di Silvia Gobbato, la praticante avvocato uccisa il 17 settembre 2013 mentre faceva jogging lungo l’ippovia del Cormor, aveva fatto già almeno due tentativi di sequestro.
A rivelare i precedenti è stato lo stesso Garbino, studente fuoricorso di ingegneria, 37 anni, che ne ha parlato con lo psichiatra Vittorino Andreoli, incaricato della perizia per la Procura di Udine. Il giorno dell’omicidio, l’uomo era determinato a portare a termine il piano perché il 21 settembre avrebbe dovuto andare al matrimonio di una cugina, e avrebbe voluto dimostrare a tutti di essere in grado di cambiare vita. Voleva attuare un sequestro lampo e ottenere 50 mila euro per affrancarsi dalla famiglia, andando a vivere a Padova.
Lo psichiatra ha riconosciuto Garbino pienamente capace di intendere e volere oltre che di stare in giudizio, privo di una patologia mentale significativa. Garbino, secondo il perito è affetto da una serie di sintomi («depressione narcisistica, distacco affettivo, spunti interpretativi di tipo persecutorio») che «l’hanno paradossalmente aiutato a compiere l’azione con maggiore freddezza e determinazione». Per il perito, Garbino è una persona «fortemente pericolosa».
L’imputato sarà sottoposto a una nuova perizia nella forma della consulenza tecnica d’ufficio a cui la difesa ha condizionato il rito abbreviato.


«L’azione dell’omicidio era stata realizzata con coscienza e volontà» (Udine Today – 19 giugno 2015)
Depositate le motivazioni della sentenza con la quale Nicola Garbino, studente fuori corso di Zugliano, è stato condannato a 18 anni di reclusione per l’omicidio della giovane praticante legale Silvia Gobbato
«L’azione era stata realizzata con coscienza e volontà», dopo un piano «ideato, studiato nei particolari, provato nel corso dei sopralluoghi, programmato con attenzione» da un «criminale maldestro, inabile, inesperto», ma «pienamente imputabile». Così il gup del tribunale di Trieste, Laura Barresi, ha motivato la sentenza di condanna a 18 anni di reclusione pronunciata il primo aprile scorso nei confronti di Nicola Garbino, studente fuoricorso di Zugliano, imputato per l’omicidio della 28enne praticante legale Silvia Gobbato, di San Michele al Tagliamento.
La giovane era stata uccisa a coltellate il 17 settembre 2013 mentre faceva jogging lungo l’ippovia del Cormor, meta tra le preferite dai runner udinesi, preparandosi per la Maratonina della città che si sarebbe corsa di lì a poco.  Le motivazioni, 40 pagine, sono state depositate nei giorni scorsi. Nella sentenza – come riportato dall’Ansa – il giudice ripercorre il delitto, la scoperta del suo autore in Garbino «senza dubbio alcuno» e la personalità dell’imputato e il suo «passato di sofferenzacornice entro la quale si è consumato il dramma», sulla cui base il giudice ha ritenuto di concedergli le attenuanti generiche.


Omicidio Gobbato Si laurea in carcere ed è subito polemica (Messaggero Veneto – 30 marzo 2019)

Di giorno al lavoro nel call center, di sera sui libri. Dopo averne drammaticamente rapinata una, ha continuato la sua vita. L’assassino di Silvia Gobbato ha imboccato una nuova strada dentro il carcere. A distanza di quattro anni dalla condanna a 18 anni di reclusione per l’omicidio della 28enne originaria di San Michele al Tagliamento, Nicola Garbino – 42enne di Zugliano (Udine) – ha conseguito giovedì la laurea triennale in Ingegneria meccanica nel carcere Due Palazzi di Padova. L’omicidio risale a poco meno di sei anni fa. Era avvenuto nel primo pomeriggio del 17 settembre 2013, lungo l’ippovia del Cormôr, in località Plaino, dove la giovane donna, praticante legale nello studio udinese degli avvocati Ortis e Biancareddu, si era recata a correre in pausa pranzo. Nelle intenzioni di Garbino c’era il rapimento di una ragazza, magari minuta, per poi chiederne il riscatto. Nascosto tra le radure, aveva cercato di afferrare Silvia: ma lei si era messa a urlare, così lui l’aveva colpita per 16 volte. Dopo la fuga, il caso si era risolto due giorni più tardi: tornato al parco per recuperare le prove, era stato notato e fermato dai carabinieri, a cui aveva immediatamente confessato il delitto. Garbino, all’epoca dell’omicidio studente fuoricorso, si è laureato con 103/110. La laurea è stata una sorpresa anche per i parenti: i genitori sono venuti a sapere che il momento tanto atteso era arrivato solo al colloquio di sabato scorso. «L’ho fatto per loro, per renderli orgogliosi di me» ha riferito ancora l’uomo, a cui restano ancora 12 anni di carcere da scontare. Un pensiero alle persone a lui vicine, ma non alla ragazza che ha brutalmente ucciso. Quanto affermato dal 42enne non ha lasciato indifferente l’avvocato Gianni Ortis, titolare dello studio dove Silvia ai tempi lavorava come praticante.
«Da genitore, e non da avvocato, trovo agghiacciante leggere le parole di Garbino – afferma –. Un uomo che ha assassinato con un numero enorme di coltellate una donna, che è stato condannato a una pena mitissima per un omicidio premeditato, dice di voler rendere orgogliosi i propri genitori, ma non spende una parola su quanto ha commesso. È inaccettabile. Nessun genitore può essere orgoglioso di un figlio così». —

 


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