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Marco Cantini, 46 anni, imprenditore edile, padre. Dopo mesi di violenze, uccide la moglie, cui aveva già tolto la figlia, e la getta in un pozzo. Dopo 10 anni di processo, viene condannato a 23 anni di carcere per omicidio volontario e, a distanza di 15 anni dalla morte della donna, viene condannato ad altri 2 anni per maltrattamenti

Passogatto di Lugo (Ravenna), 21 Agosto 2008


Titoli & Articoli

Marco Cantini, i maltrattamenti “Uccidere la moglie il suo desiderio” (il Resto del Carlino – 17 giugno 2023)
Nelle motivazioni della condanna in appello, l’omicidio di Yanexy a Lugo
Un “calvario“ quello che “la giovanissima moglie cubana“ aveva dovuto “attraversare a causa delle condotte umilianti, deprivanti, prevaricatrici, minacciose e a volte fisicamente violente“ di lui. Il marito “infine la uccise e la gettò in un pozzo“. Nessun dubbio per i giudici: “Non pare vi sia un paradigma più tipico e crudo in tema di maltrattamenti“.
Ecco perché il 9 marzo scorso la corte d’appello di Bologna ha confermato la condanna a due anni di reclusione per i maltrattamenti che il 50enne imprenditore edile lughese Marco Cantini aveva inflitto alla consorte, la 21enne di origine cubana Yanexy Gonzales Guevara, fino a ridosso dell’omicidio. La giovane era scomparsa il 21 agosto 2008. Il suo cadavere era stato recuperato 12 giorni dopo da carabinieri e vigili del fuoco. Per la sua morte, il 50enne è già stato condannato in via definitiva a 23 anni e mezzo di carcere: l’omicidio trova comunque ampia collocazione nelle motivazioni, appena depositate, per la condanna relativa ai maltrattamenti.
Secondo la corte, presieduta dal giudice Luca Ghedini, l’appello delle difese “va rigettato“ dato che devono essere condivise le “approfondite, articolate e coerenti valutazioni“ del giudice di primo grado, il gup del tribunale di Ravenna Janos Barlotti, che “ben ha descritto il calvario“ della vittima a opera del marito il quale “giunse a esaudire in modo cruento quello che aveva più volte manifestato come il suo più grande desiderio“. Ovvero “liberarsi a ogni costo“ della 21enne tanto da “essere condannato in via irrevocabile per l’uxoricidio“. E “anche tale epilogo getta una luce accusatoria“ sull’imputato dato che “la morte violenta inferta a Yanexy“ ha rappresentato per Cantini “la definitiva liberazione dal fardello del coniuge“.
Lei era “una ragazza di quasi vent’anni più giovane di lui, proveniente da un Paese lontano ed economicamente dipendente, impossibilitata a vivere i propri naturali desideri“ come visitare la famiglia rimasta a Cuba (è tutelata dall’avvocato Alice Lusa) o fare venire la madre in Italia per farsi aiutare con la figlia (oggi 17enne tutelata dall’avvocato Gian Luigi Manaresi)
Secondo i giudici, “già nel novembre 2007 il Cantini aveva iniziato a coartare e svilire in ogni modo la personalità e le aspirazioni della moglie“. E lo aveva fatto attraverso “la costante denigrazione delle sue capacità di accudire la figlia“ con l’obiettivo di “escludere la donna sempre di più dalla famiglia“, fino ad arrivare a “compiere azioni estremamente ciniche e preordinate“. Vedi il “regalo di un biglietto di andata e ritorno per Cuba seguito dalla disdetta del volo di ritorno“ peraltro “impedendole di partecipare a un’udienza“ per l’affidamento della figlia. La giovane cubana fu così costretta ad “acquistare il biglietto di ritorno attraverso la permuta della casa della madre con un’abitazione più piccola“. Nessun dubbio sui contestati maltrattamenti seguiti a quell’episodio: “Le vessazioni proseguirono per mesi e mesi non certo per i 15 giorni dedotti in appello“.
Sul punto la difesa si sarebbe limitata “a considerare atomisticamente solo i pur gravi quattro episodi di violenza trascurando una visone globale“ degli elementi. L’imputato “giunse pure a chiedere al medico di prescrivere sedativi a Yanexy“: ma il dottore gli disse che nella giovane “vi era ben poco di psichiatrico“. E cioè “era solo depressa e in difficoltà“.
Sempre Cantini arrivò a offrire “forti somme alla 21enne a patto che se ne andasse“. E per costringerla ad andarsene, “iniziò a privarla degli alimenti e a staccare luce e gas“. Una strategia chiara: “Renderle la vita impossibile non potendo più lavarsi, riscaldarsi, cucinare o conservare gli alimenti in frigorifero“. Nel complesso, “angherie, privazioni morali e materiali, sopraffazioni di natura sociale, economica e culturale“. Tanto che lei si era vista costretta “a chiedere l’aiuto di amici e amiche“. Un crescendo culminato dentro a quel pozzo a poche centinaia di metri dalla loro abitazione di Passogatto di Lugo.


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