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Marcello Pistone, 48 anni, lavoratore saltuario, padre separato. Già denunciato più volte per maltrattamenti e stlking, uccide l’ex moglie ed il figlio di 2 anni a colpi d’arma da fuoco e si suicida

Bologna, 6 Febbraio 2011


Titoli & Articoli

“Li abbiamo visti giocare in giardino, poi quei colpi e il corpo steso a terra” (la Reoubblica – 7 febbraio 2011)

Il racconto dei vicini che ieri a mezzogiorno hanno visto i tre insieme passeggiare e scherzare. “Finché l’uomo ha abitato qui l’abbiamo visto con molte donne diverse, quasi sempre straniere”. Nel quartiere era conosciuto come “l’investigatore”. “Un tipo schivo e caratteriale”
A mezzogiorno, quaranta minuti prima della strage, erano tutti e tre nella piazzetta della corte interna degli edifici di via della Guardia. “Erano tranquillissimi. Giocavano col bambino” raccontano i vicini. Poco dopo “cinque colpi”. “Abbiamo pensato ai petardi che anticipano il Carnevale”. E invece è tutta un’altra cosa.
Se ne parla a bassa voce nella piazza racchiusa tra le palazzine a schiera dove per alcuni anni, al piano terra del civico 19, ha vissuto anche Pistone. Tra la banca e il bar, tra le biciclette dei bambini che sfrecciano e i genitori che li riprendono, molti ricordano quell’uomo “schivo e caratteriale”. Quasi nessuno sa il suo nome. “Noi lo chiamavamo “l’investigatore”, o “la guardia giurata”, perché lui diceva di esserlo, e perché è quello che sembrava” ricorda Gerardo Gualandi. A Mirna Pieretti consegnò persino un biglietto da visita: “Marcello Pistone, investigatore”. “Era un tipo chiuso. Solo “buongiorno e buonasera”. Diciamo che non era una persona socievole” spiega Emanuela Properzi. O peggio. C’è chi lo definisce un tipo “violento”, come una signora del civico 23: “Era un tipo strano. Portava a casa delle donne. Sempre diverse, quasi tutte straniere. Non so se fossero prostitute, ma certamente erano disagiate”.
Chiacchiere in piazza, come in un paesino di periferia, mentre i bambini origliano le conversazioni della Scientifica dalle grate che sovrastano il garage sotterraneo della strage. Anche della moglie marocchina si ricordano in tanti, anche se in giro si vedeva poco. Tanto poco che nessuno sa con esattezza se davvero vivesse con lui, se davvero fossero sposati, se davvero quello che lui portava in braccio fosse suo figlio. Di certo, quando era arrivata, lui era cambiato. “Le donne che facevano avanti e indietro dal suo appartamento non passavano più. Spesso lo vedevo a passeggio con quel bambino. Pensai che forse aveva messo la testa a posto” ricorda una vicina. Ma la pace dura poco. Le liti ricominciano, anche in pubblico. “In piazza una volta li abbiamo sentiti parlare a voce alta – racconta Gualandi – Lui giurava alla moglie, la ragazza marocchina, di essere cambiato, ma lei continuava a ripetergli: “Non ti credo più””. Sempre più spesso le urla arrivano a casa dei vicini. “Litigavano molto. A volte si sentivano anche dei colpi, che mi spaventavano” dice Francesca Pieretti, due piani sopra Pistone, al civico 19. Fino al culmine. “L’anno scorso, alla fine dell’estate 2010 – ricordano in molti – ci fu una scenata. Lui gettò dalla finestra le valige della moglie. Urla. Insulti. Arrivarono anche i carabinieri”. “Questioni familiari, aveva dei problemi con la moglie e con il figlio” dicono nel palazzo.
Da allora nessuno li ha più visti in via della Guardia. L’appartamento al piano terra, dove Pistone era in affitto, viene venduto e oggi ci abita una giovane coppia. Tutto fino a ieri mattina, quando “l’investigatore” ricompare in piazzetta con moglie e figlio. “Sembravano felici. Sicuramente tranquilli” assicura Gualandi: “Sono andati a fare un giro al mercato, e lui aiutava il bambino a camminare”. Poi qualcosa deve essere successo. Verso l’una, quando molti rientrano per il pranzo, si odono “cinque colpi, come di mortaretti”. Poco dopo Sergio Raimondi, inquilino del terzo piano, scende ai garage: “Ho aperto la porta che dà sui box e mi sono trovato davanti una persona a terra. Non ho visto la pistola, ma ho capito subito che si trattava di una morte violenta. Aveva del sangue sul viso” spiega con gli occhi lucidi. “Ho subito richiuso la porta. Sono risalito e ho chiamato la polizia”.
(di Silvia Bignami)

Pistone era già indagato per violenza ma i giudici non collegarono i casi (la Repubblica – 8 febbraio 2011)
La procura chiese per due volte l’arresto, ma senza mai ottenerlo. In ottobre l’uomo rimase in carcere una sola notte, la moglie decise di non querelarlo
Già una prima volta, a fine 2008, Marcello Pistone l’aveva fatta franca. Era riuscito ad evitare il carcere, malgrado le gravissime accuse di violenza sessuale, maltrattamenti in famiglia, calunnia e lesioni sulla moglie Azounid, che ha ucciso domenica scorsa insieme al figlio Rashid di due anni, per poi rivolgere la pistola contro di sé. Due mesi fa, a dicembre, la pm Alessandra Serra aveva chiesto il suo rinvio a giudizio per quei reati e la Procura era in attesa che venisse fissata la data dell’udienza preliminare. Lo è tuttora, ma adesso l’udienza non serve più. Anche Serra, come ad ottobre il pm Stefano Orsi, una volta concluse le indagini, a marzo 2009 aveva proposto il suo arresto. Allora però, come oggi, il gip fu, il 20 aprile, di parere diverso.
Il reato di stalking era entrato in vigore proprio in quei mesi, ma gli episodi contestati risalivano ad un periodo precedente. Non solo: le lesioni patite dalla moglie in due occasioni erano lievi (cinque e sei giorni la prognosi registrata nei certificati medici); in più, della violenza sessuale e della calunnia non c’erano prove sufficienti: si basavano soltanto sulle parole di lei. Che tra l’altro spesso denunciava l’ex marito e spesso ritirava la denuncia, continuando a incontrarlo. Certo, restava il grave reato di maltrattamenti in famiglia, ma i due nel frattempo si erano separati e vivevano sotto tetti diversi, e perciò il giudice ritenne che il rischio di reiterazione, ossia la pericolosità di Pistone, non fosse ipotizzabile. O almeno non fosse tale da consigliare il carcere. Peccato che nel corso del tempo Azounid abbia più volte integrato quel quadro di violenze, come dimostrano le denunce della moglie, entrate nel fascicolo ancora pendente.
Il copione è identico a quello di pochi mesi fa, con la prova provata che la giustizia funziona a compartimenti stagni. Ad ottobre 2010, la bocciatura alla richiesta di cattura arriva dal giudice d’udienza. Pistone, arrestato in flagranza di reato, mentre inveisce e grida davanti al negozio di alimentari in cui lavora la moglie, finisce alla Dozza. Ma ci rimane soltanto una notte. La mattina dopo viene processato per direttissima. L’accusa è grave, ma la giudice nel fascicolo di udienza ha solo le relazioni di servizio che riguardano l’episodio del giorno prima, “la sceneggiata in strada”. Dei precedenti non sa nulla, nè era tenuta a sapere, trattandosi appunto di una “direttissima”. Certo Pistone è alla sbarra per stalking, ma in fondo uno stalking “soft”. La moglie stavolta non l’ha nemmeno querelato, passo indispensabile per l’arresto. Anche se, secondo la procura, per questo scopo potevano bastare le querele precedenti, Ma c’è anche da dire che Pistone non ha fatto nulla di pericoloso, è incensurato (salvo una condanna per non aver passato gli alimenti alla prima moglie). E le altre denunce, il procedimento di un anno e mezzo fa, le stesse vecchie querele, non compaiono nelle carte del processo. Ovviamente neanche sulla fedina penale dell’imputato. Così, quando il pm Orsi chiede la custodia cautelare in carcere, il Tribunale preferisce altre misure: Pistone dovrà evitare di avvicinare la moglie per almeno sei mesi.
 (di Paola Cascella)


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