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Lulzim Hadai, 36 anni, muratore, padre. Uccide la moglie con 37 coltellate davanti alle figlie

San Giovanni Natisone (Udine), 18 Giugno 2013


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Messaggero Veneto
Accoltellò a morte la moglie: 30 anni
Trent’anni di carcere e la sospensione della responsabilità genitoriale per Lulzim Hadaj, il muratore albanese di 37 anni che la sera del 18 giugno 2013 uccise la moglie Irma, di 4 anni più giovane, con 37 coltellate, al culmine di una lite nella loro abitazione di San Giovanni al Natisone. Questa la sentenza pronunciata ieri dal giudice per le udienze preliminari Roberto Venditti al termine del processo che è stato celebrato con rito abbreviato condizionato. Pesante la quantificazione dei risarcimenti: 200 mila euro per ciascuno dei genitori della vittima, 280 mila euro per le figlie e 60 mila euro per la sorella e il fratello di Irma, pari a 1.080.000 euro complessivi.
L’uomo, dalla sera del delitto in custodia cautelare in carcere, era accusato di omicidio volontario aggravato dal vincolo coniugale e crudeltà. Il pubblico ministero Barbara Loffredo aveva chiesto una condanna a 30 anni. La sera del delitto, marito e moglie avrebbero discusso per una visita fatta dall’uomo con le figlie quel pomeriggio a una cugina, appena diventata mamma. Irma, dopo aver mandato le due bambine in giardino per evitare che assistessero alla discussione, aveva espresso la propria contrarietà. Ne era nata una discussione e l’uomo, rimproverato dalla moglie, era andato su tutte le furie. Afferrati due coltelli da cucina, uno con la lama da 18 cm, l’altro di 21, si era avventato sul corpo di Irma Hadaj colpendola con 37 coltellate, come ha rilevato l’autopsia eseguita dal medico-legale Carlo Moreschi. Molte furono mortali: al cuore, ai polmoni, alla giugulare, altre più superficiali. Le due figlie di 12 e 10 anni, sarebbero rientrate in casa subito dopo. Le bambine, assistite dall’avvocato Enrica Lucchin, si sono costituite parte civile insieme ai nonni materni e alla sorella, mentre il fratello si è affidato all’avvocato Valentino Tornaboni. Le parti civili hanno chiesto la condanna ritenuta di giustizia, rimarcando l’aggravante della crudeltà. L’avvocato difensore Daniele Sussman detto Steinberg del foro di Milano, ha puntato su una perizia di parte, depositata nella prima udienza, per sostenere che l’uomo sarebbe stato al momento del fatto incapace di intendere e volere e avrebbe reagito a una provocazione.
Ieri la difesa ha presentato due relazioni dei servizi sociali che si riferivano al percorso affrontato da Hadaj dopo il 2010 quando, in seguito alla condanna per maltrattamenti in famiglia, Hadaj si era allontanato dall’abitazione coniugale per qualche tempo ed era stato invitato dai servizi sociali a frequentare un terapeuta.
«Abbiamo evidenziato – ha premesso il difensore – le risultanze dell’accertamento tecnico irripetibile disposto dal pm dal quale era emerso come su uno dei coltelli ci fossero le impronte delle moglie e sul palmo sinistro della mano di Hadaj ci fosse un taglio a conferma del fatto che era stata lei a minacciarlo e lo aveva ferito».
Di tutt’altro tenore la richiesta della pubblica accusa e quella delle parti civili, rappresentate dagli avvocati Lucchin e Tornabuoni. «In questi mesi tutto ciò che i familiari della vittima hanno chiesto è stato di mettere in sicurezza le bambine – ha commentato l’avvocato Lucchin dopo la lettura della sentenza – nessun risarcimento e nessuna condanna restituiranno loro chi hanno perduto, non basterà a lenire la sofferenza e nemmeno la rabbia. Al momento – ha aggiunto l’avvocato, le bambine, affidate alla zia, sono seguite da alcuni psicologi e stanno cercando di superare il trauma». Obiettivo arduo. Per entrambe, il dolore e la rabbia hanno eretto una barriera che solo il tempo, l’amore dei familiari e un’adeguata terapia, potranno abbattere.


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