Luigi Marchetti, 39 anni, barista. Picchia, accoltella e strangola la fidanzata. Fugge per un mese, poi si costituisce. Condannato a 14 anni con rito abbreviato, dopo 8 esce dal carcere in permesso per buona condotta e lavora come falegname
Paspardo (Brescia), 1 Aprile 2002
Titoli & Articoli
Corriere della Sera – 7 aprile 2002
Massacrò la fidanzata, dopo 8 anni esce dal carcere con i permessi (Eco di Bergamo – 6 aprile 2010)
Lugi Marchetti, il barista di Pianico di 39 anni che nel 2002 uccise la fidanzata Moira Squaratti, di Paspardo, in Vallecamonica (Brescia), usufruisce di permessi per uscire dal carcere in cui sta scontando la pena di 14 anni alla quale era stato condannato per il delitto. L’omicidio avvenne nella notte tra il 31 marzo e il primo aprile nell’abitazione di Paspardo (Brescia) in cui i due giovani convivevano. Marchetti fu arrestato qualche ora dopo il delitto. In questo periodo di detenzione, a quanto è dato sapere, in carcere si è comportato bene. Ora, quindi, come prevede la legge, può usufruire dei permessi, per andare a lavorare come falegname.
Moira, che aveva 26 anni, venne accoltellata e strangolata nella notte tra il 31 marzo e il 1 aprile, tra Pasqua e Pasquetta. Per il giudice si trattò di omicidio volontario non aggravato dai futili motivi. A Marchetti sono state concesse le attenuanti generiche: così dai 24 anni previsti dal codice penale la pena è scesa a 21 anni e grazie alla scelta del rito abbreviato è calata ulteriormente a 14.
Il delitto fu scoperto il giorno successivo dal padre di lei: la giovane era stata picchiata, accoltellata e strozzata. Del fidanzato nessuna traccia. Una fuga protrattasi per un mese, prima in Sardegna e poi in Francia. Poi Marchetti cominciò a valutare l’idea del rientro in Italia: contattò anche un sacerdote, che lo convinse a costituirsi. Chiamò allora l’avvocato Giuseppe Frigo, tornò a Brescia e fu arrestato. Marchetti raccontò di non essersi reso conto di aver ucciso la fidanzata e di essere fuggito in preda allo choc. Spiegò di aver agito come se si fosse trovato «in un sogno», senza mai fornire un movente.
Quando Marchetti era in fuga, il padre di Moira, Giustino Squaratti, non esitò a perdonarlo. Un perdono “umano, cristiano” insieme alla richiesta di consegnarsi alle forze dell’ordine e spiegare cos’era successo. Marchetti s’assunse la responsabilità del delitto ma finora non si è mai rivolto ai familiari della ragazza. La famiglia di Moira, che seguì tutte le fasi del processo con l’avvocato Ivan Facchini, non si mai è costituita parte civile e nessun ricorso è quindi stato possibile.
Bruciato da alcol, cocaina e gioco Marchetti non ha mai chiesto scusa (il Giorno – 6 aprile 2010)
NEI GIORNI SUCCESSIVI al delitto, nessuno riusciva, tra i familiari di Moira Squaratti, a pensare che lui potesse esserne il responsabile. Nella famiglia della ragazza, la sua ragazza, che poi avrebbe colpito con un coltello da cucina, mentre lei cercava invano di difendersi, Luigi Marchetti era sempre stato «un ragazzo gentile, disponibile».
Il sempre, in realtà, andrebbe riferito, al massimo, fino ai mesi prima del delitto. Luigi Marchetti e Moira Squaratti, da un anno vivevano insieme nell’abitazione a pochi metri da quella dei genitori della ragazza. E lì venne trovato il fuoristrada dell’omicida nelle primissime fasi delle indagini.
Il giovane, 32 anni all’epoca del delitto, lavorava nel ristorante che con il fratello gemello e i familiari gestiva a Sovere. Dalla cassa di quel ristorante prese i soldi, circa 4.000 euro, per la fuga. Moira, durante i mesi di convivenza aveva però iniziato a capire meglio chi fosse il fidanzato, soprattutto quali vizi avesse. Alcol e carte su tutto, ma anche la cocaina. «Quella sera – confesserà Marchetti – però non ne avevo assunta».
In tanti, dopo il delitto, quando i profili delle due persone coinvolte sono apparsi in modo più chiaro, più netto, si sono chiesti perché lei lo amasse, con un carattere tanto diverso dal suo.
In carcere ricevette la visita di Giuseppe Romele, oggi vice presidente della Provincia di Brescia e parlamentare del Pdl, allora di Forza Italia. Gli disse d’aver agito «come in un incubo», d’aver capito che era morta «solo dopo averla toccata». E quell’aver agito come in un incubo diventerà un pilastro della strategia difensiva imperniata sulla « parasonnia dell’omicida», ovvero l’agire nel sonno senza rendersene conto. Nella conversazione in carcere Marchetti ribadì «d’assumersi tutte le responsabilità del delitto». Trascorse i primi giorni di carcere leggendo «De bello gallico», al parlamentare chiese libri sulla prima e seconda guerra mondiale e sigarette. Ai familiari di Moira non ha mai chiesto perdono.