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Il branco di Andria: Pasquale Tortora, Giuseppe Dibari, Vincenzo Coratella (suicida in carcere), Michele Zagaria e Domenico Margiotta. Tutti tra i 18 e i 25 anni. Rapiscono, seviziano, abusano e bruciano viva una bambina di 8 anni. Pasquale viene condannato a 30 anni con rito abbreviato. Gli altri sono condannati all’ergastolo, ma continuano a professarsi innocenti e chiedono la revisione del processo

Andria, 19 Agosto 2000

 


Titoli & Articoli

Bimba di 8 anni. «L’ abbiamo bruciata viva per divertirci» (Avvocati Senza Frontiere – 3 gennaio 2011)
«Giochiamo a bruciare la bambina».
La verità sulla morte di Graziella Mansi, 8 anni, uccisa ad Andria sabato scorso, è da correggere. Anzi, è tutta da riscrivere. Pasquale Tortora, il diciottenne chiuso da domenica mattina nel carcere di Trani, non era solo. I carabinieri e il magistrato ieri hanno fermato altri quattro ragazzi con l’ accusa d’ avere massacrato la piccola. Sono Michele Zagaria, Giuseppe Di Bari, Domenico Margiotta e Vincenzo Coratella, tutti di Andria, tutti di età compresa fra i 18 e i 20 anni. Due hanno già confessato: quella sera, hanno ammesso, c’ erano anche loro tra il parcheggio di Castel del Monte e il boschetto della morte. Anche loro si sarebbero impegnati ad adescare Graziellina, a farla camminare per quel pezzo di sentiero, ad aggredirla, a torturarla, a incendiarla finché, come ha raccontato Pasquale, «s’ è come sciolta» nelle fiamme.
I quattro sono stati interrogati separatamente, sono stati fatti dei riscontri incrociati, alla fine uno è crollato. E un secondo ha deciso, lui pure, di liberarsi del peso. Il racconto è da brivido: «Pasquale ha avvicinato la bambina alla fontanella – hanno detto ai carabinieri -. Noi lo prendevamo sempre in giro, perché diceva che s’ era innamorato di lei. E’ entrato nel bosco, teneva la bambina. A quel punto, noi siamo saltati fuori. Graziella aveva paura e questo ci faceva divertire ancora di più. Volevamo torturarla un po’ , ma solo per farle un po’ male. Non volevamo violentarla, era soltanto un gioco, volevamo divertirci con lei. Poi, è uscita l’ idea del fuoco. Ci pensavamo da giorni, a giocare nel fuoco. Bevevamo birra e ci esaltavamo a giocare, a tenerla. Abbiamo raccolto sterpaglia, intorno, abbiamo legato la bambina. E il fuoco l’ ha coperta».
Le accuse per la banda sono pesantissime: sevizie su minore, sequestro, omicidio premeditato. Roba da ergastolo. Aggravate dal concorso nel reato e da due parole che rendono quest’ uccisione, se possibile, ancora più agghiacciante: «Futili motivi». Perché la pedofilia, sembra, c’ entra sì e no. Ed è sicuro che non sia stata solo questa, o non lo sia stata per l’ insieme del gruppo, la ragione scatenante. «L’ hanno uccisa per gioco», ripetono gli investigatori. Forse per vedere che effetto faceva. Forse per cacciare la noia.
Dal comando dei carabinieri e dalla procura di Trani, solo un comunicato di poche righe «per non compromettere indagini ulteriori». A tarda sera, infatti, i quattro ragazzi erano ancora sotto torchio. Sono tutti di Andria, anche se uno pare abiti a Barletta, età fra i 18 e i 20 anni. Si conoscono da tempo, erano compagni di giochi e di bravate: piccoli balordi incensurati, uno solo con precedenti penali per furto, cresciuti in famiglie che vengono descritte come «difficili». E ieri notte, i familiari dei quattro hanno circondato la caserma dei carabinieri di Andria per chiedere la liberazione dei ragazzi. L’ ipotesi di un delitto di gruppo era emersa immediatamente, sabato, prima ancora che venisse trovato il corpo bruciato della bimba.
L’ aveva avallata lo stesso Tortora, che s’ era fatto avanti parlando di tre persone che avevano preso Graziella. Il suo racconto però era sembrato confuso, fino a incastrarlo. Il fatto che soffrisse di gravi disturbi psichici, poi, aveva diviso gli inquirenti: chi propendeva per il gesto solitario dello psicolabile Pasquale, chi pensava ci fossero complici.
Nel convalidare l’ arresto, anche il gip Antonio Lovecchio aveva ipotizzato che dietro la confessione di Tortora si nascondesse qualcosa d’ altro: come spiegare, altrimenti, che l’ assassino avesse bruciato da solo una bambina, viva, senza riportare una sola scottatura, un segno sui vestiti? Graziella, tra l’ altro, era una bimba vivace, abituata a vivere in strada e, all’ occorrenza, a difendersi.
L’ altro giorno, quando Pasquale ha fatto dal carcere i nomi di tre complici, due esistenti e uno inventato, i carabinieri stavano già facendo alcuni riscontri. Tortora conosceva i quattro, li frequentava.
Per non destare sospetti, i balordi avevano anche partecipato ai funerali della bambina. Ma portati in caserma, sono caduti l’ uno dopo l’ altro in contraddizioni, bugie, imprecisioni. Fino a confessare.

LA TESTIMONIANZA L’ urlo della madre: «Voglio ammazzarli tutti» ANDRIA (Bari) – «Come dice, c’ erano dei complici? Sono stati in cinque a massacrare la mia Graziella?». Fa solo in tempo a sussurrare queste parole, poi Giovina Antolino, la mamma della bambina uccisa ad Andria, corre subito ad abbracciare la fotografia di sua figlia. La guarda, la stringe al cuore, la bacia e l’ accarezza e dice: «Graziella, cosa ti hanno fatto? Dillo a tua madre, è vero che in quel bosco ti hanno attirata per gioco e ti hanno bruciata viva, mentre chiedevi il mio aiuto?». Piange a dirotto e prega, la signora Giovina. Ha ancora la forza di reagire a una tragedia che nessuno si aspettava in una città di 80 mila abitanti a 50 chilometri da Bari. Le sue lacrime rigano il portaritratti verde con gli angoli dorati attorno al quale da domenica si stringe tutta la famiglia Mansi: il padre Vincenzo, 31 anni, da sempre disoccupato; Vittorio, il nonno paterno, invalido, che vende noccioline ai turisti in visita a Castel del Monte; e la nonna materna, Concetta, quasi cieca e con una gamba amputata, ammutolita dal dolore.
Nella piccola casa al piano rialzato di viale Ovidio 147, rione Tirassegno di Andria, non ci sono invece le altre due figlie della coppia: Concettina, di 6 anni, e Vittoria, che ne ha 3. Loro non sanno ancora che la sorellina più grande è stata massacrata e data alle fiamme. Vivono a casa di una parente, al piano terra dell’ edificio che ospita i Mansi. Ma stasera le urla della mamma di Graziella si sentono anche dalla strada. «Ditemi chi sono? – grida – . Fatemeli vedere, perché li voglio ammazzare tutti con le mie mani. Voglio giustizia, ma non quella dei giudici. Voglio vederli morire come hanno fatto loro con la mia bambina: li devo sciogliere vivi nel fuoco». Mentre le mani non lasciano neanche per un attimo la foto di Graziella: la piccola in posa davanti al presepe della scuola. Il padre della bambina, invece, è sconvolto, incredulo. È in preda a un incubo. «Credetemi – dice – non potevo fermarla. Ve lo giuro. Non sapevo che, mandandola a riempire l’ acqua a quella fontana, sarebbe potuta accadere una tragedia simile». Poi si ferma per un attimo, si butta sulla branda della camera da letto e, in preda al dolore, continua a ripetere a sé stesso e ai familiari: «Pasquale Tortora io lo conoscevo, faceva il parcheggiatore abusivo davanti alla nostra bancarella. Si avvicinava a Graziella. Non mi ha mai insospettito, sembrava un ragazzo normale. Ma chi sono gli altri: ditemi i loro nomi. Forse sono quei quattro ragazzi che in città si trattenevano sempre con Pasquale? Quei quattro giovanotti che sabato notte hanno partecipato con noi alle ricerche di Graziella? Che urlavano nei boschi il nome di mia figlia portandoci in posti lontani dove la mia bambina non c’ era?». Resta una tragedia gigantesca, quella di Andria, ma la trama è cambiata: non un solo assassino, un diciottenne psicolabile, ma una banda di ragazzi. Che hanno ucciso per divertimento.
Sembrava tutto chiaro, tanto che il pubblico ministero, Francesco Bretone, al termine di un’ indagine-lampo aveva detto: «In questa storia c’ è un solo assassino che è Pasquale Tortora». La svolta di ieri dice che i presunti assassini sono cinque. Adesso Andria si prepara a una fiaccolata. Lunedì sera migliaia di persone ricorderanno Graziella con un corteo silenzioso che attraverserà le strade in cui la bambina viveva e giocava. Ora che la sua vita si è fermata all’ improvviso in un bosco, tra i pini dietro ai quali si accucciava quando giocava a nascondino con le sue sorelline.

IL RETROSCENA Il magistrato: hanno agito come la banda dei sassi
Come a Tortona: «È un delitto di gruppo, che per le motivazioni ricorda molto la vicenda di quella donna uccisa per i sassi lanciati dal cavalcavia», dice il sostituto procuratore di Trani, Francesco Bretone. Sbalordito, lui insieme con i due ufficiali dei carabinieri che hanno dato la svolta alle indagini: «Da non credere», è il commento del colonnello Livio Criscuolo e del maggiore Roberto Tortorella.
Nella notte a Trani si interrogano i quattro fermati, si continua a verbalizzare la nuova verità. E non è ancora tempo di spiegare come si è arrivati a bloccare e a fare confessare i complici di Pasquale Tortora: il tam tam d’ una conferenza stampa, annunciata per le otto di ieri sera, ora rinvia a un incontro con gli inquirenti fissato per oggi. Decisive sono state, pare, alcune indicazioni date dal ragazzo nella cella del supercarcere. Qualche indizio, e soprattutto quella spiegazione («Ho buttato Graziella nelle fiamme e la tenevo ferma con un piede») che non tornava: «Fin dal primo istante – dice il pubblico ministero – la circostanza non ci ha convinto appieno».
Mercoledì, il colonnello Criscuolo e il maggiore Tortorella erano in giro per ascoltare alcune persone. Si credeva che Pasquale coprisse un giro di pedofili. Invece: «La pedofilia a questo punto è un aspetto che sembra diventare marginale – dice il dottor Bretone -. Questo non è il delitto di uno o di più maniaci. È qualcosa di assai più terribile e atroce. È l’ impresa senza logica di cinque balordi che hanno deciso, per gioco, di bruciare una bambina». Insomma, gli inquirenti lavorano su uno scenario ancora più agghiacciante di quello emerso subito dopo il ritrovamento del corpo di Graziella.
L’ AUTOPSIA – E quei segni di violenza, individuati dal medico legale, che hanno condotto l’ autopsia? «È vero che l’ autopsia ha confermato la presenza d’ una lesione all’ apparato genitale, e questo non esclude che un tentativo di stupro ci sia stato, nonostante le mutandine della bimba fossero integre. Ma, ripeto, questo è un qualcosa che s’ aggiunge alla dinamica del gruppo, mosso innanzi tutto dal desiderio di fare un terribile “gioco” con Graziella Mansi». Si sta cercando di capire chi abbia avuto il ruolo d’ un leader, in questa banda di ragazzi: «Al momento, le responsabilità risultano equivalenti. Tutti e cinque i giovani avrebbero partecipato, seppure in modo diverso, all’ intera azione, dal sequestro fino all’ uccisione». E adesso, cinque giorni dopo, sembrano ancora esaltati dal loro gesto: «Non si tratta di sicuro di ragazzi normali», è l’ unico commento che si riesce a intercettare fuori dalla stanza.

PRIMO CASO – Bretone, figlio d’ un celebre romanista e fino a qualche tempo fa pretore a Crotone, è al suo primo caso d’ omicidio. È uno di quei magistrati che scelsero la prima linea del Sud e, una volta, vennero liquidati da Cossiga come «i giudici ragazzini che hanno dato qualche esame di diritto romano». Non vuole fotografi né operatori tivù, non ama le interviste. E se proprio deve commentare questa storiaccia, ripete con più forza quel che pensava domenica, quando sembrava «solo» un caso di pedofilia: «Mi auguro, come cittadino e specialmente come sostituto procuratore, di non dover più ripassare per momenti del genere».

 

ANDRIA – GRIDANO LA LORO INNOCENZA GLI ASSASSINI DI GRAZIELLA MANSI (POP il giornale popolare – 6 luglio 2020)
I quattro assassini, chiamati in correità dalla mente dell’atroce delitto, continuano a proclamarsi innocenti e rifiutano pentimento e premi. Anche il loro difensore è convinto della loro estraneità ai fatti sulla scorta di diversi particolari investigativi all’epoca trascurati.
Rimangono dubbi e perplessità sulla colpevolezza dei quattro ergastolani corresponsabili dell’atroce morte della piccola Graziella Mansi. La piccola, di appena 8 anni, era stata bruciata viva per una sadico gioco da Pasquale Tortora, 18 anni, parcheggiatore abusivo, in combutta con altri quattro balordi, Michele Zagaria, all’epoca dei fatti di 25 anni, Giuseppe Di Bari di 19, Domenico Margiotta di 21 e Vincenzo Coratella di 19, tutti di Andria in provincia di Bari. Tortora, reo confesso, era stato condannato a 30 anni di carcere con il rito abbreviato mentre gli altri quattro assassini, con sentenza definitiva, venivano condannati al fine pena mai.

La lapide che ricorda la morte orrenda della bambina pugliese.

Vincenzo Coratella, il 14 dicembre del 2008, a 27 anni, si impiccava in una cella del carcere di Lecce reiterando la sua innocenza come gli altri tre compagni ergastolani. Tortora, come abbiamo detto, aveva scelto il rito abbreviato e in dibattimento aveva confermato la sua piena confessione descrivendo minuziosamente l’orribile omicidio.
Ricostruiamo i fatti di quel maledetto 19 agosto del 2000 quando Graziella, intorno alle 19.30, stava giocando come di consueto davanti alla bancarella di frutta secca del nonno Vittorio, vicino il castello di Adria. Dopo pochi istanti la bambina si dirigeva verso una fontanella, poco distante, per riempire un contenitore d’acqua.

L’accendino ritrovato poco distante dal cadavere della bambina.

Passati una decina di minuti il nonno non vede tornare la bambina e dà l’allarme. Tutta la famiglia, parenti e amici si mobilitano per cercare Graziella ma la bimba sembra scomparsa come un fantasma.
La cercheranno nella vicina pineta di Castel del Monte dove, a notte inoltrata, saranno i carabinieri a fare la macabra scoperta. A poca distanza dalla carcassa di un’auto incendiata i militari scopriranno il corpicino carbonizzato della bimba. Qualcuno l’aveva legata e riposta sopra un letto di foglie a cui poi avrebbe dato fuoco con un accendino, ritrovato a un centinaio di metri.

Le indagini dei carabinieri portano subito a Pasquale Tortora che conosceva bene la bambina poiché posteggiatore abusivo vicino la bancarella di Vittorio Mansi. Il ragazzo l’aveva rapita con la scusa di farle vedere un cane nel bosco poi una volta condotta la bimba tra gli alberi si sarebbe divertito a spaventarla mentre Graziella lo supplicava di farla tornare dal nonno. Poi sarebbero spuntati gli altri quattro balordi, chiamati in causa da Tortora, che avrebbero contribuito all’omicidio stuprando e uccidendo la povera Graziella che gridava aiuto mentre i cinque aguzzini si divertivano nel vederla bruciare viva.

Pasquale Tortora.

 

All’epoca dei fatti sia il Pm Francesco Bretone, sia il Gip Antonio Lovecchio (scomparso a 65 anni il 19 marzo di sei anni fa) si erano convinti che, qualche ritrattazione a parte, i particolari dell’omicidio raccontati dai quattro complici di Tortora fossero talmente esatti e precisi che soltanto chi aveva partecipato alla mattanza avrebbe potuto raccontarli. Primo, secondo e terzo grado di giudizio confermavano l’ergastolo per i correi di Tortora ma qualcosa di quel tragico omicidio pare non torni ancora:”… Ho difeso gli imputati Giuseppe Dibari e Vincenzo Coratella – racconta l’avvocato Carmine Di Paola – e grido ancora a gran voce che i miei assistiti sono innocenti, al pari di Domenico Margiotta e Michele Zagaria, in quanto l’unico responsabile di tutte le condotte di cui fu vittima la povera Graziella è e rimane il coimputato Pasquale Tortora…”.
L’avvocato contesta i tempi ricostruiti dagli inquirenti nei quali i suoi assistiti si sarebbero allontanati dalla scena del crimine per poi essere inquadrati dalle telecamere di una banca del centro di Andria. Venti minuti per un percorso che ne richiede almeno il triplo e in assenza di traffico e pedoni. Poi ci sono le dichiarazioni claudicanti di Tortora a cui pare la difesa non abbia potuto effettuare il controinterrogatorio a fronte di una perizia psichiatrica.
I tre ergastolani, ancora oggi, si dichiarano innocenti e pare rifiutino pentimento e premi. Per i genitori di Graziella, Vincenzo Mansi e Giovanna Antolino, non ci sono dubbi:”…Sono loro i colpevoli e basta, che paghino per la morte di una martire…”.

 

 

Caso Graziella Mansi, «Pasquale Tortora unico responsabile dell’omicidio» (Andria Live – 23 giugno 2022)
«Il 19 agosto del 2000, a Castel del Monte, Pasquale Tortora ha fatto tutto da solo: lui ha ucciso Graziella Mansi. L’ha confessato nella prima dichiarazione resa ai carabinieri. In quell’occasione, non essendo preso da manie di grandezza, non ha tirato in ballo i quattro ragazzi che per anni lo avevano dileggiato ed emarginato in comitiva. Le versioni che ha fornito successivamente sono state una vendetta nei loro confronti». A parlare è l’avvocato penalista Carmine Di Paola. Ha difeso Giuseppe Di Bari e Vincenzo Coratella, due dei quattro chiamati in causa come corresponsabili da Pasquale Tortora nell’omicidio della piccola Graziella Mansi. Di Bari e Coratella, oltre a Michele Zagaria e Domenico Margiotta, hanno avuto come condanna definitiva la pena dell’ergastolo con isolamento diurno. Trent’anni, invece, per Tortora, giudicato con rito abbreviato.
Per Di Paola quanto è stato ricostruito nelle sentenze definisce un episodio dai contorni irrealizzabili. «I quattro non erano affatto presenti e non avrebbero potuto in meno di un’ora commettere il crimine, scappare da Castel del Monte, ritornare ad Andria (ognuno alle proprie abitazioni), cambiare gli abiti, raggiungere a piedi il centro del comune e farsi riprendere dalle telecamere di una banca» dichiara.
L’avvocato ricorda che dalla perizia psichiatrica disposta dalla Corte di Assise d’Appello nei confronti di Pasquale Tortora, era emerso che nelle versioni da lui fornite non era mai stata detta la verità. «È stato considerato attendibile pur avendo dichiarato tutto e il suo contrario».
Per Di Paola, oltre ad essere stata caratterizzata da una serie di errori, approssimazioni e valutazioni preconcette, la vicenda è stata condizionata dal contesto: «Si è trattato di un processo mediatico che oggi sarebbe stato decisamente più amplificato con i social. È stata fomentata una narrazione da “delitto del branco”».
Il penalista accenna al caso Mansi nel suo libro autobiografico dal titolo “Io, un avvocato”. Con lucidità ricorda alcuni passaggi di quello che è accaduto ventidue anni fa, consegnando al lettore anche la passione e il coinvolgimento con cui ha lavorato. «Vincenzo Coratella si è suicidato in carcere lasciando un messaggio con cui ha invitato i suoi compagni a lottare sempre e comunque per l’accertamento della verità – scrive -, Giuseppe Di Bari, invece, si è chiuso in sé stesso. È un 42enne che adesso rifiuta di parlare con i parenti e con i genitori – conclude – ha dichiarato di non poter pentirsi per una cosa che non ha fatto».

 


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