Giovanni Fabbrocino, 65 anni, possidente nullafacente paranoico. Uccide a martellate e coltellate la convivente, seziona il corpo e si suicida lanciandosi dal quarto piano
Portici (Napoli), 27 Luglio 2020

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Uccide la convivente a coltellate e tenta di sezionare il corpo, poi si suicida. “Lite su vacanza, lui era terrorizzato dalla pandemia” (il Fatto Quotidiano – 28 luglio 2020)
Giovanni Fabbrocini, 65 anni, incensurato, ha aggredito la convivente (da 5 anni) Maria Adalgisa Nicolai, 59 anni, stimata ricercatrice agraria e ha infierito sul corpo forse nel tentativo di nasconderlo in un secondo momento. Poi si è lanciato dal quarto piano. Nelle ultime settimane aveva vissuto con ansia i rischi del coronavirus
Decine di coltellate, colpi insistiti sulle articolazioni, forse nel tentativo di sezionare il corpo. Giovanni Fabbrocini, 65, una vita da incensurato, ha ucciso così la convivente, Maria Adalgisa Nicolai, 59 anni, ricercatrice di agraria alla Federico II. Un delitto originato, secondo le prime ricostruzioni, dal rifiuto di lui di andare in vacanza, come chiesto da lei: era terrorizzato da settimane dalla pandemia da coronavirus e per questo viveva da qualche tempo barricato in casa. Fabbrocini, dopo aver ucciso la convivente, si è lanciato dal quarto piano del palazzo di Portici in cui abitava la coppia.
Tutto, come ricostruisce il Mattino, è avvenuto poco prima di cena, quando i vicini di casa dei due hanno sentito il tonfo del corpo di Fabbrocini sulle impalcature per la ristrutturazione del palazzo. A quel punto è scattato l’allarme e i carabinieri hanno fatto irruzione nell’appartamento trovato la 59enne in una pozza di sangue. Sul suo corpo sono state trovate ferite in particolare sulle articolazioni del corpo.
La coppia, hanno riferito i vicini ai carabinieri, era molto riservata. Non era una storia di violenza domestica o maltrattamenti, per quello che è stato possibile ricostruire. Ma il rapporto si era deteriorato con il lockdown che aveva causato diversi litigi. L’ultimo ieri: Maria Adalgisa, secondo le testimonianze una donna allegra e apprezzata in ambito universitario, voleva andare in vacanza, Giovanni si era ancora una volta rifiutato di uscire da casa perché da tempo viveva con ansia i rischi del coronavirus.
Omicidio Portici, l’amore nascosto di Maria Adalgisa: lui l’accoltella e le strappa il cuore
La ricercatrice universitaria uccisa dal compagno che ha infierito sul corpo della donna e ha provato a sezionarla
Qualunque cosa accadesse lei aveva sempre lo stesso sorriso a riscaldarle il volto. Era una delle prime ad entrare al lavoro, una delle ultime ad uscire. Si muoveva tra i dipartimenti della facoltà di Agraria a Portici meglio che a casa sua. Aveva messo piede lì 30 anni fa e non aveva mai più lasciato quei corridoi che affacciano sui giardini della Reggia di Portici. Mingherlina, gracile, passi brevi e svelti per non perdere mai tempo prezioso da dedicare allo studio. Schiva, silenziosa, riservata ma generosa, era tra le più amate dagli studenti. Due mattine fa ha parlato con loro, sostenuto una sessione d’esame e poi ha riguardato gli appunti dai quali non si separava mai. Poche ore dopo Maria Adalgisa Nicolai è morta uccisa dal compagno.
Prima colpita con un martello alla testa e poi accoltellata al collo e al petto. Un coltello con il quale si taglia il pane: lama lunghissima e affilata. Giovanni Fabbrocino non solo ha infierito sul corpo della donna ma ha provato anche a sezionarla, quasi a volerle togliere una parte degli organi, accanendosi sul cuore che le ha strappato. Nella casa di via Libertà a Portici i carabinieri hanno trovato un lago di sangue. Il corpo di Maria Adalgisa era con la schiena sul pavimento e con i piedi stesi al muro. La maglia alzata, gli occhiali chiusi da vista accanto al corpo, e il coltello pulito poggiato sull’addome. Era stata massacrata senza pietà, lei che aveva condito i giorni della sua vita con gentilezza fuori dal comune.
La ricordano così il direttore del Dipartimento di Agraria Matteo Lorito e i colleghi che fino a due giorni fa erano con lei a parlare di quanto aveva scoperto, aveva appresto e che due sere fa sono stati avvisati da un messaggio in chat: «Maria è morta». Si occupava di alimenti e in particolare della loro qualità. Era specializzata nello studio del latte così come per restare ancorata alle sue origini: era di San Severo Lucano, un paese di 1.200 abitanti in provincia di Potenza. Una comunità agricola, contadina alla quale lei era molto legata. E infatti aveva espresso il desiderio al suo compagno, Giovanni Fabbrocino, di andare quest’estate a passare le vacanze con i suoi familiari. Da sola, perché era quello che voleva.
La loro era una storia particolare. Lei era molto attiva, lui no. Non lavorava perché proprietario di case e per questo viveva di rendita. Non aveva la patente e girava in taxi o si muoveva a piedi. Si erano conosciuti da adulti. Nessuno dei due era sposato, nessuno aveva figli, lei 58 anni, lui 65. Si facevano compagnia e qualche volta lui restava a dormire a casa con lei. Ma Maria Adalgisa di Giovanni non parlava quasi a nessuno. Non lo portava con sé alle cene di famiglia o con i colleghi; lo teneva «nascosto».
I vicini di casa parlano di loro come di una coppia fuori dal comune. Non si tenevano mai per mano, uscivano poco in strada, vivevano quasi sempre separati. Alcuni hanno riferito che lui era esaurito a causa del Covid e delle restrizioni che c’erano state e che accusava Maria Adalgisa di prendere sotto gamba il rischio di contagio. In serata il ministro dell’Università Gaetano Manfredi, già rettore della Federico II esprime tutto il suo rammarico. «Sono affranto — ha detto — . Maria Adalgisa era una stimata ricercatrice. Gli episodi di femminicidio vanno combattuti con fermezza e determinazione. Occorre un definitivo cambio culturale nella società, nei luoghi di lavoro, nella famiglia, ed un costante impegno. L’Università deve e può avere un ruolo centrale in questo necessario percorso».
Uccisa dal compagno, un mese prima di morire Maria Nicolai aveva chiesto aiuto
Maria Adalgisa Nicolai, uccisa e sventrata dal convivente Giovanni Fabbrocino lo scorso 27 luglio a Portici (Napoli), aveva chiesto aiuto a un’associazione che tutela le vittime di violenze un mese prima di venire uccisa. A Fanpage, in esclusiva, la testimonianza di Rosa Visciano, presidente della onlus Gazebo Rosa di Torre del Greco. “Tremava come una foglia, ci disse che si sentiva in colpa a parlare con noi lì ma non ne ce la faceva più, lui l’aveva già minacciata col coltello”.
Maria Adalgisa Nicolai è stata uccisa e sventrata dal compagno, morto suicida, nella casa in cui vivevano in via Libertà a Portici, nel Napoletano. Vicini e conoscenti hanno parlato di una coppia tranquilla, di un menage senza sussulti e di un passato senza denunce di violenza o maltrattamenti. Fanpage, tuttavia, ha incontrato le volontarie della onlus Gazebo Rosa, a cui la professoressa si era rivolta, non più tardi dello scorso 27 giugno, per chiedere aiuto. Rosa Visciano, presidente del centro di Torre del Greco e Veronica Polese, sociologa, ci hanno raccontato i particolari della infernale vita domestica di Adalgisa con il suo assassino Giovanni Fabbrocino.
Rosa e Veronica: “Ci teniamo che si sappia che non è così. È venuta a chiedere aiuto a noi e la sua non era una coppia tranquilla, come è stato scritto. E per quello che ci ha raccontato Maria, i vicini sapevano. Gli schiamazzi in casa si sono sentiti spesso anche se è stato detto che non era così. E poi un’altra cosa ci tengo a dire: Maria ci ha raccontato che da molto tempo non erano una coppia“.
Non stavano insieme?
Rosa. “Erano stati insieme in un tempo passato, molto prima, poi si sono lasciati e nel momento in cui si erano ricontrarti lui si era aggrappato a lei, pretendendo di vivere insieme”.
Com’era Maria Adalgisa?
Rosa e Veronica “Molto diversa da come appare nelle foto sui giornali. Era magra, piccola, aveva il viso emaciato, era molto impaurita aveva uno sguardo spento”.
Era turbata?
Veronica. “Appena entrata ha detto di ‘tremare con una foglia’ perché stava tradendo la fiducia di questa persona e proprio così ha dimostrato la sua dipendenza da questo soggetto che non riesco a chiamare ‘uomo’. Era magrissima e aveva i capelli molto crespi, ricci, incolti. Si vedeva che era una persona che non riusciva a occuparsi di se stessa“.
Rosa: “Non sapevo come farle abbassare le difese, così ho scherzato sul nome Adalgisa, un nome insolito, per farla ridere”.
Cosa vi ha raccontato?
Rosa: “È venuta a raccontarci che non ne poteva più. Aveva questa persona in casa di cui non riusciva a liberarsi. Quello che ci ha fatto comprendere che era in pericolo era il suo scrivere minuzioso e certosino quando parlava, quelle carte che per lei dovevano essere delle memorie da lasciare ai posteri”.
Che fine ha fatto questo ‘memoriale’?
Rosa: “Speriamo che sia nelle mani degli inquirenti”.
Come vi ha descritto Giovanni Fabbrocino?
Rosa: “Lei ci ha raccontato di un uomo molto disturbato, anche se lo aveva conosciuto e vissuto diversamente in passato. Ci ha detto che doveva prendere degli psicofarmaci e che per questo lei insisteva con lui, ma lui, che aveva letto sul bugiardino che potevano ‘portare alla morte’, rifiutava di prenderli. Era paranoico“.
Non era in cura, però
“Non è mai stato fatto un TSO, ma comunque la gente sentiva. Anche una chiamata anonima ai carabinieri avrebbe potuto far scattare un intervento psichiatrico. E se lo avessero fatto tutte le volte che lui ha perso il controllo quel giorno ci sarebbe stato uno storico d’interventi che forse avrebbe cambiato le cose”.
Maria vi ha parlato di violenze fisiche?
Rosa: “Violenze fisiche non ne ha descritte, ma quelle psicologiche erano pesantissime. A partire dal suo modo folle di organizzare le cose. Da questi dischi in vinile, per esempio, che lui le aveva chiesto di comprare. Nel periodo successivo al lockdown lui ha cominciato a distruggerli e a fare tantissimi pezzettini. Ha cominciato a distruggere tutto quello a cui teneva”.
Veronica: “Per non lasciarlo in eredità semmai fosse morto con il virus. Rosa: E a questo punto dobbiamo supporre che neanche Maria Adalgisa dovesse essere di qualcun altro”.
Lui l’ha anche minacciata?
Veronica: “Sì l’ha minacciata col coltello. È per questo che si è sentita spinta a venire da noi. Non aveva prove ma era la sua parola contro Fabbrocino noi abbiamo cercato di orientarla a una denuncia sicura. Era molto riflessiva e noi le abbiamo dato il tempo per riflettere”.
Temeva il giudizio?
Rosa: “Era pudica, diceva: ‘io ho vergogna perché so che quando lui urla i nostri vicini ascoltano‘. Lui faceva anche delle sceneggiate per ricattarla moralmente, fingeva di volersi gettare dal balcone”.
Quando avete letto la notizia cosa avete pensato?
Rosa e Veronica: “Non ci immaginavamo questo epilogo. Che la persona (Fabbrocino ndr) fosse molto disturbata lo avevamo capito e avremmo voluto aver il tempo anche di tentare di aiutare lui”.
Ora ci tenete a fare chiarezza, però.
Rosa e Veronica. “Il nostro rammarico è che su di lei sono state dette tante cose non vere. Dev’essere bonificata quest’impronta che le hanno dato: ‘Lei voleva andare in vacanza e lui aveva paura del virus’. In qualche modo è sempre colpa della donna. Maria voleva andare dalla sua famiglia”.
Come l’avreste aiutata?
Rosa: “Noi le avevamo messo a disposizione tutto, dagli avvocati alla difesa personale, all’ospitalità presso il centro, le stavamo preparando un piano di azione, ma lei avrebbe dovuto comunque ritrovare se stessa”.
Ma non è tornata
Veronica: “Non era pronta, aveva iniziato un percorso che non dura due ore, ma varia da persona a persona. N0n ci si può aspettare che la donna vada a denunciare appena ricevuta l’offesa, la violenza. Va a denunciare quando è pronta”.