Gian Luca Cappuzzo, 40 anni, medico, padre. Narcotizza la moglie e la uccide iniettandole del veleno, poi simula un suicidio tagliandole le vene. Condannato a 26 anni, dopo meno della metà esce in permesso premio e va a festeggiare. Studia giurisprudenza, lavora e pranza al ristorante, ma si ammala e muore prima di laurearsi, lo stesso giorno in cui uccide la moglie
Padova, 8 Febbraio 2006
Titoli & Articoli
Donna morta a Padova, è omicidio (TgCom24 – 11 febbraio 2006)
Nuovo interrogatorio per lʼex marito
Sembrava un suicidio, invece la donna trovata morta in un appartamento di Padova è stata uccisa.
Lo ha rivelato l’autopsia sul corpo di Elena Fioroni, la 31enne madre di due figli piccoli. La vittima sarebbe stata avvelenata. Gli inquirenti hanno fermato e interrogato il marito 35enne, medico, che però nega tutto. Previsto per domenica un nuovo interrogatorio dell’uomo accusato di omicidio premeditato pluriaggravato.
L’uomo, Luca Capuzzo, è stato sottoposto sabato per molte ore ad un pressante interrogatorio durante il quale non ha però mai ammesso nessuna colpa, ribadendo la sua assoluta estraneità sull’accaduto. La svolta delle indagini si è avuta dopo il risultato dell’autopsia dalla quale è emerso che alla donna sarebbe stata somministrata una sostanza tossica attraverso un’iniziezione effettuata poco prima della morte. Già nel primo sopralluogo dell’ abitazione la squadra mobile aveva avuto dubbi sulla morte della donna, madre di due figli, Gaia di 2 anni e Francesco di 4, separata da qualche mese dal marito.
All’origine di tutto pare ci sia un’iniezione fatta la sera prima dall’uomo alla moglie per lenire alla moglie un dolore allo stomaco. I due sarebbero stati assieme fino a tardi nella villa di Voltabarozzo (dove viveva solo lei assieme ad una colf) e Cappuzzo sarebbe stato l’ultima persona ad aver visto Elena Fioroni viva. Quanto è avvenuto in quelle ore è alla base delle indagini della squadra mobile di Padova, che ha anche compiuto una serie di perquisizioni alla ricerca di prove a supporto della tesi di omicidio.
Sembra ormai certo che due sms inviati dal cellulare della vittima alla madre e al marito rappresentino un tentativo di sviare le indagini. A scoprire il cadavere, com’è noto, è stata la colf che vive al piano superiore della villa e che l’ altra mattina ha trovato Elena Fioroni esanime, nella doccia del bagno.
Psicologa «suicida», arrestato il marito (il Giornale – 12 febbraio 2006)
La vittima si era da poco separata dall’uomo, che si dichiara innocente
Aveva i nervi molto fragili, si era separata da poco dal marito e quando la colf l’ha trovata morta, adagiata nella della doccia col cutter usato per tagliarsi le vene poco lontano, quasi nessuno ha avuto dubbi: suicidio. Ma fin da giovedì mattina, di fronte al cadavere di Elena Fioroni, psicologa di 31 anni, nella villetta di Voltabarozzo, a Padova, gli agenti delle squadra mobile, guidati dal commissario Marco Calì, avevano intuito che in quella morte c’era qualcosa di sospetto. Il forte odore di etere in bagno, quei messaggi sms spediti nel cuore della notte alla madre e all’ex marito, il rivolo di sangue dalla bocca. La sensazione si è trasformata in certezza per gli inquirenti, una volta arrivati i risultati dell’autopsia. Dal suicidio si è passati all’omicidio premeditato, tanto che il pm padovano, Orietta Canova, ha disposto il fermo per il marito, Gian Luca Cappuzzo, 35 anni, medico specializzando, l’ultimo ad avere visto viva Elena Fioroni. Lui però si dichiara innocente.
Il colpo di scena, nell’aria da giovedì, è arrivato ieri, dopo i primi risultati dell’autopsia e dopo l’interrogatorio di Cappuzzo da parte del pm. Gli inquirenti sono molto abbottonati. Per capire qualcosa, occorre partire dalla notte tra mercoledì e giovedì, quando il marito, secondo l’accusa, avrebbe dato esecuzione al suo piano omicida.
In quella villetta la donna, che aveva due figli piccoli, Gaia di 2 anni e Francesco di 4, viveva da sola, con la colf che occupava il secondo piano. Nella serata di mercoledì Elena Fioroni ha avvertito dei forti dolori allo stomaco. Forse è per questo che ha chiamato il marito, che è medico e che avrebbe quindi potuto aiutarla. Cappuzzo è andato in via Vittor Pisani e, secondo le prime ricostruzioni, è rimasto con la moglie diverse ore, durante le quali le avrebbe fatto un’iniezione. L’accusa, che sarebbe supportata dai riscontri autoptici eseguiti allIstituto di medicina legale da Santo Davide Ferrara e Giampietro Frison, sostiene che in quella siringa Cappuzzo avrebbe messo una sostanza tossica. Un miscela di sostanze divenute veleno. Una volta entrata in circolo, questa sostanza avrebbe provveduto a rallentare progressivamente il battito cardiaco, fino a provocare la morte della giovane donna.
Le indagini sono serrate. La squadra mobile ha effettuato diverse perquisizioni e controlli sul traffico telefonico della vittima e del presunto assassino. In particolare, sono finiti nel mirino due messaggi sms in cui Elena Fioroni avrebbe dato il suo ultimo saluto alla mamma e al marito. Una sorta di testamento via etere che però, secondo l’accusa, altro non sarebbe che una macabra messinscena dell’assassino, nel maldestro tentativo di sviare le indagini e di far passare per buona la tesi del suicidio.
Sul movente, sui motivi che avrebbero indotto il medico a trasformarsi in assassino, gli inquirenti non parlano. Probabile che la ragione sia da ricercare nella recente separazione, magari nel sospetto che la donna avesse un altro uomo. Oggi Cappuzzo sarà ancora interrogato dal pm Canova. L’avvocato Giovanni Chiello, che lo difende, ha spiegato che il suo assistito ieri non ha fatto alcuna dichiarazione spontanea. Lunedì prossimo, intanto, Cappuzzo comparirà davanti al gip padovano, Giuliana Galasso, per l’ udienza di convalida del fermo. Gli inquirenti sembrano davvero convinti di averlo incastrato. Restano da capire i motivi di un progetto così diabolico.
Con l’uretano un delitto “quasi” perfetto (Blog Libero – 17 novembre 2007)
IL MARITO-ASSASSINO GIAN LUCA CAPPUZZO SMASCHERATO DAL TOSSICOLOGO FERRARA .
Ha rischiato di essere archiviato come un suicidio, anche se con l’alone del dubbio. Così avrebbe potuto farla franca il marito Gian Luca Cappuzzo, dopo mesi reo confesso di quell’assassinio che per la pubblica accusa è stato premeditato, accuratamente organizzato per settimane, forse mesi, e poi crudelmente messo a segno. Se delitto perfetto non c’e stato, «È PERCHÈ BEN HA FATTO IL PUBBLICO MINISTERO (ORIETTA CANOVA) A RECEPIRE IL SUGGERIMENTO DEI TECNICI DI ESEGUIRE IMMEDIATAMENTE L’AUTOPSIA» ha avvertito il professor SANTO DAVIDE FERRARA, direttore dell’Unità operativa di tossicologia forense dell’Università di Padova. E’ stato proprio lui, «principe della tossicologia», a ipotizzare il delitto e a smascherare la morte violenta della psicologa Elena Fioroni prima che gli inquirenti facessero luce sul caso con il consueto lavoro di investigazione. Un omicidio diabolico, studiato dall’assassino con ricerche via Internet ed eseguito con il ricorso ad un veleno, L’ETILCARBAMMATO O URETANO, PER LO PIÙ SCONOSCIUTO AI MEDICI, DI RARA APPLICAZIONE IN CAMPO VETERINARIO, ormai desueto per i suoi effetti di mutagenesi e cancerogenesi. Una sostanza pericolosa che ha una caratteristica: la volatilità. Agisce. Uccide. E poi sparisce trasformandosi per il 95% in anidride carbonica ed etanolo e, in quel processo di poche ore, GONFIANDO COME UN MOSTRUOSO PALLONE IL CORPO UMANO APPENA SOPPRESSO, CHE TORNA A RECUPERARE LE SEMBIANZE ORIGINARIE IN UNA FASE SUCCESSIVA, NONOSTANTE UN ACCELERATO PROCESSO PUTREFATTIVO.
Il professor Ferrara e il dottor Giampietro Frison anche lui dell’Istituto di medicina legale di Padova, hanno spiegato nel dettaglio come è stato scoperto l’assassinio.
E per farlo, hanno proiettato alcune drammatiche foto del corpo della vittima scattate prima e dopo la perizia.
ELENA FIORONI, 31 ANNI, VIENE UCCISA LA NOTTE TRA l’8 E IL9 FEBBRAIO 2006 CON TRE INIEZIONI DI URETANO. Inizia subito l’esame esterno del corpo che si sta deformando davanti agli occhi attoniti dei medici legali. Ha raccontato Ferrara: «A DISTANZA DI POCHE ORE (DALLA MORTE) APPARIVA UN RETICOLO VENOSO PUTREFATTIVO PROVOCATO DALLA SOSTANZA TOSSICA, NONOSTANTE LE MIGLIORI CONDIZIONI DI CONSERVAZIONE DEL CORPO … AL MOMENTA DELL’ AUTOPSIA NON POTEVAMO NEANCHE SOGNARCI CHE SI TRATTASSE DI URETANO. MA, ESCLUSA LA PATOLOGIA NATURALE, GRAZIE ALLE NOSTRE COMPETENZE SIAMO STATI INDIRIZZATI VERSO UNA MORTE CAUSATA DA SOSTANZE TOSSICHE VOLATILI DA ALCUNI ELEMENTI COME IL RIGONFIAMENTO DEL CADAVERE, L’ODORE DOLCIASTRO CHE EMANAVA, LA PRODUZIONE DI BOLLE DI ANIDRIDE CARBONICA CON LA SEZIONE AUTOPTICA E LA NECROSI EMORRAGICA POLIVISCERALE»…. «SE L’AUTOPSIA NON SI FOSSE SVOLTA SUBITO, LA DIAGNOSI SAREBBE STATA COMPLESSA E L’URETANO NON SAREBBE PIÙ STATO TROVATO: BEN POCHI LABORATORI AL MONDO SAREBBERO RIUSCITI A IDENTIFICARLO. UN CASO DEL GENERE NON E MAI STATO SEGNALATO NELLA LETTERATURA SCIENTIFICA».
«Niente attenuanti, ergastolo per Cappuzzo» (Corriere del Veneto – 16 maggio 2009)
Il pubblico ministero chiede di rivedere la condanna a 26 anni in primo grado
Ergastolo, di nuovo. Anche in Appello. Con le aggravanti dell’uso del veleno e del comportamento non meritevole. Perché quella sera dell’8 febbraio 2006 Gian Luca Cappuzzo, condannato in primo grado dal tribunale di Padova per aver ucciso la moglie Elena Fioroni iniettandole nelle vene un siero micidiale a base di etilcarbammato, fece una messa in scena perfetta. E’ tornato per un attimo sulla scena del delitto, ha ripercorso velocemente le indagini condotte dalla collega padovana Orietta Canova e poi è giunto alla sua stessa conclusione: ergastolo.
Questa la pena che il sostituto procuratore veneziano Bruno Bruni ha chiesto per Cappuzzo nel corso del processo di fronte alla Corte d’Appello della procura di Venezia, che si è aperto alle nove di ieri mattina nell’aula bunker di Mestre. Per chiedere l’ergastolo, e di fatto sposare sia le indagini che le conclusioni del pm padovano Canova, Bruni è partito dalla sentenza in Assise che aveva condannato il 39enne medico specializzando, a 26 anni di carcere, riconoscendogli le attenuanti generiche che, bilanciando le aggravanti della premeditazione, dell’uso del veleno e del rapporto di parentela, gli consentirono di evitare l’ergastolo.
«Niente attenuanti» ha invece tuonato durante la sua requisitoria il pm veneziano, anzi a Cappuzzo devono essere riconosciute le aggravanti per l’uso del veleno e del comportamento non meritevole durante i primi passi delle indagini. Una scelta abbracciata anche dalla parte civile, la madre e il fratello di Elena Fioroni rappresentati in aula dal legale Roberto Boev, che ha chiesto un risarcimento di 250mila euro per la madre e di 10 simbolici euro per il fratello della vittima. Un’udienza che si è conclusa dopo le richieste dell’accusa e quelle della parte civile e che riprenderà il prossimo 17 luglio, quando a parlare sarà la difesa, affidata all’avvocato Giovanni Chiello. Che tenterà di smontare il piano accusatorio della procura, e chiederà un ulteriore sconto di pena per il suo assistito. Dopo di che la Corte entrerà in Camera di Consiglio per la sentenza che potrebbe forse chiudere il caso Cappuzzo.
(Nicola Munaro)
Cappuzzo fa ricorso contro la condanna (Corriere del Veneto – 18 giugno 2010)
Il medico uccise la moglie con un’iniezione di uretano: deve scontare 26 anni. Il difensore: l’uomo non era capace di intendere e volere e il delitto non fu premeditato
La parola fine la metterà, forse, la Corte di Cassazione. La vicenda processuale di Gian Luca Cappuzzo, il 40enne medico specializzando di Chirurgia prima che l’8 febbraio 2006 uccise la moglie Elena Fioroni iniettandole nelle vene un siero micidiale a base di etilcarbammato dopo averla narcotizzata, non si ferma alla sentenza d’Appello di gennaio e arriva quindi fino all’ultimo grado di giustizia. Il medico era stato condannato a 26 anni di carcere. Il ricorso in Cassazione è stato depositato nei giorni scorsi dall’avvocato difensore di Cappuzzo, il penalista Giovanni Chiello. I punti su cui la difesa ha fatto ricorso, impugnando il pronunciamento della Corte d’Assise d’Appello di Venezia, sono gli stessi portati avanti dalla difesa durante tutto l’iter processuale. Sia in primo che in secondo grado.
Nel documento fatto arrivare al Palazzaccio sul Lungotevere, la difesa sottolinea tre punti su cui i Supremi giudici saranno chiamati a pronunciarsi. E cioè: la perizia psichiatrica che ha sempre considerato il 40enne specializzando, capace di intendere e volere; la perizia sulle cause della morte; e soprattutto la premeditazione. In parole povere la difesa mira a dimostrare che Gian Luca non fosse in sé quella sera, e che mai avesse pensato e pianificato l’omicidio di sua moglie. Ma che tutto fosse dettato da un raptus dovuto alla follia di un momento.
«La causa della morte di Elena – aveva detto l’avvocato Chiello nell’arringa di fronte alla Corte d’Assise d’Appello – è dovuta all’overdose di etere vaporizzato. L’uretano, nelle quantità trovate dall’autopsia del professor Santo Davide Ferrara, non può essere nemmeno la concausa della morte. Dire che 5 grammi lo sono, su una persone di 70 chili, è un’eresia scientifica. Se poi avesse premeditato il tutto – concludeva Chiello – avrebbe agito in maniera più accorta». Tesi che sarà cavalcata anche in Cassazione. L’inferno di Gian Luca Cappuzzo era iniziato una notte di 4 anni fa, dopo un ultimo litigio, che aveva gettato fumo negli occhi del medico-marito. Spingendolo oltre ogni limite. Prima a narcotizzare la moglie, poi a ucciderla con un siero micidiale, tentando di inscenare un suicidio. Ora, se la parola fine dovrà essere messa chiudendo per sempre il processo, lo deciderà la Cassazione. (Nicola Munaro)
L’omicidio Fioroni arriva in Cassazione (Il Mattino di Padova – 1 febbraio 2011)
Sarà il 10 febbraio l’udienza in Cassazione per Gian Luca Cappuzzo, condannato per l’omicidio della moglie, Elena Fioroni. A gennaio del 2010 la Corte d’Assise d’Appello aveva confermato i 26 anni di reclusione inflitti dalla Corte d’Assise di Padova il 29 aprile 2008 al medico che la sera dell’8 febbraio 2006 uccise la moglie trentunenne con un’iniezione di veleno, nella villetta di Voltabarozzo..
Al momento non è ancora stato pagato il risarcimento stabilito in primo grado. Il ricorso in Cassazione era stato depositato dal legale di Cappuzzo, Giovanni Chiello. Un ricorso che punterà sulla perizia psichiatrica che ha sempre considerato il 40enne specializzando, capace di intendere e volere, sulla perizia relativa alle cause della morte e sulla premeditazione. La difesa mira a dimostrare che Gian Luca non fosse in sé quella sera, e che mai avesse pensato e pianificato l’omicidio di sua moglie. Ma che tutto fosse dettato da un raptus.
Per sviare le indagini, Cappuzzo quel giorno aveva simulato il suicidio della stessa, deponendo il cadavere nella vasca da bagno, tagliuzzandone i polsi con una lametta. E aveva perfino fatto partire falsi sms dal cellulare di Elena, quando era già morta. In Appello l pg Bruni aveva ritenuto che non sussistessero gli estremi per considerare le attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti: uso del veleno, premeditazione e rapporti di parentela.
Uccise la moglie, Cappuzzo condannato a 26 anni di carcere (il Mattino di Padova – 12 febbraio 2011)
Mano pesante dei giudici: la condanna ora è definitiva. Ma il medico non ha mai confessato il delitto. Nel 2006 uccise la moglie Elena Fioroni con alcune iniezioni letali e poi simulò un malore in vasca da bagno
La certezza ora c’è. Con la sentenza della Corte di Cassazione viene messa la parola fine all’omicidio di Elena Fioroni. La Corte di Cassazione ha confermato i 26 anni di reclusione già inflitti in primo grado e in Corte d’Appello a Gian Luca Cappuzzo, il marito medico che la sera dell’8 febbraio 2006 uccise la moglie trentunenne Elena Fioroni con un’iniezione di veleno, nella villetta coniugale di Voltabarozzo. Il verdetto inappellabile lo indica come colpevole.
Cinque anni in carcere Cappuzzo li ha già scontati: ne restano 21. Tanti. Ma per buona condotta potrebbe uscire ben prima.
La sua è stata una relazione sentimentale vissuta in modo possessivo e totalizzante. E una condizione esistenziale «debole e immatura che lo hanno reso incapace di gestire il conflitto relazionale con la moglie e di confrontarsi, accettandola, l’idea del fallimento coniugale e familiare». Ecco il mix mortifero di ingredienti che lo hanno portato ad assassinare Elena. Lo si legge nelle motivazione dei giudici della Corte d’Assise del gennaio 2010: loro sono entrati nel merito a differenza della Cassazione che ha valutato solo le questioni di diritto. E’ nel peso dato alle attenuanti generiche che si è concessa una chance a Cappuzzo, evitandogli l’ergastolo (previsto per l’omicidio in presenza delle aggravanti contestate) e comminandogli una pena lunga ma comunque destinata a ridursi, come detto, tra indulto (tre anni condonati per legge), carcerazione preventiva e liberazione anticipata in caso di buona condotta.
«Per l’omicidio commesso da Cappuzzo la pena editale prevista è quella dell’ergastolo – scrivono i giudici – Tuttavia devono essere riconosciute in suo favore le circostanze attenuanti generiche equivalenti (alle aggravanti) in base a considerazioni attinenti alla personalità e al carattere dell’imputato. Elementi che ne delineano una capacità a delinquere di livello molto modesto. Risulta anzi che aveva sempre amato incondizionatamente la moglie. Poi qualcosa s’incrina. Secondo le testimonianze di amici e familiari si trovava in uno stato di profonda prostrazione psicologica a seguito della decisione di Elena di separarsi da lui». «L’omicidio di Elena Fioroni si presenta con tutte le caratteristiche del delitto passionale – rilevano i giudici – legato alla forte gelosia di Cappuzzo nei confronti della moglie e all’incapacità di accettare la sua decisione di separarsi».
Tra la fine del 2005 e il gennaio 2006 Elena informa Gian Luca di voler troncare il matrimonio. La uccide nel bagno di casa, dopo averla narcotizzata con dell’etere e delle benzodiazepine, iniettandole dell’etilcarbammato o uretano, un veleno micidiale. «L’acquisto dell’uretano e il fatto di averlo portato con sé la sera del delitto – precisa la Corte – sono da collegare alla sua decisione di usare la sostanza per uccidere la moglie». Cappuzzo ha scelto l’uretano ritenendo che tale sostanza per la difficoltà di rilevarne le tracce in sede autoptica, fosse funzionale alla simulazione di un suicidio. Quando uscirà dal carcere rivedrà i suoi figli. Ma faticherà a riconoscerli.
(di Carlo Bellotto)
«È andato al bar in piazza a festeggiare» (il Mattino di Padova – 29 luglio 2016)
Parla Fabio Fioroni fratello di Elena, uccisa nel 2006 da Gianluca Cappuzzo che gode di permessi di uscita dal carcere
«È andato a festeggiare al bar Nazionale, in piazza delle Erbe. Questo ha fatto durante il suo primo permesso. Sono sconcertato. Rideva, scherzava, brindava a destra e a sinistra, con una faccia che era tutt’altro che contrita».
Non riesce a trattenere la rabbia Fabio Fioroni, il fratello di Elena mentre racconta l’episodio. L’assassino di sua sorella nonché suo ex cognato, Gianluca Cappuzzo, ha ottenuto i primi permessi per uscire dal carcere. Cappuzzo era stato condannato a 26 anni di reclusione per aver ucciso nel febbraio del 2006 la moglie e madre dei sui due figli, Elena Fioroni appunto. L’ha prima anestetizzata con l’etere, poi l’ha avvelenata con un miscuglio di benzodiazepine e infine ne ha simulato il suicidio distendendola nella vasca da bagno della loro villetta a Voltabarozzo e tagliuzzandole i polsi. Ma quella messainscena non resse che pochi giorni alle indagini della Questura. Un fatto che sconvolse l’intera città.
In carcere Cappuzzo ha seguito un programma di reinserimento collaborando con la rivista del Due Palazzi “Ristretti orizzonti” e intrapprendendo il corso di studi in Giurisprudenza. Anche per la buona condotta ha iniziato a godere dei benefici di legge. E ora, a distanza di dieci anni da quel giorno maledetto per la famiglia Fioroni, Gianluca Cappuzzo può cominciare a godere di qualche giornata di libertà. È già tornato a casa (a Ponte di Brenta), tre volte, dove vive l’anziana mamma. Ma la cosa non va proprio giù ai familiari di Elena.
Ora che ha saputo che chi ha ammazzato sua sorella ha ottenuto il permesso di uscire dal carcere, qual è il suo primo pensiero?
«Mia mamma, sicuramente lei. È da dieci anni che vive con un dolore che nessuno può capire, nemmeno io. Non so davvero cosa potrebbe succedere se lei se lo trovasse di fronte una mattina qualunque in piazza, magari mentre va a fare la spesa. Non voglio neanche pensarci».
È sua mamma che si occupa dei due figli di Elena e Gianluca?
«Sì, lei e l’altra nonna, la mamma di Cappuzzo. Tre giorni a settimana ce li ha lei e chissà cosa gli racconterà del padre, certamente che non è un farabutto. Lui comunque ha perso la patria potestà e in teoria i figli non li può vedere. Ora che ha questi permessi dovremo stare attenti che non li incontri, magari quando tornerà a casa».
Oltre al grande dolore per la perdita di una sorella per lei e di una figlia per sua madre, cosa la fa arrabbiare più di tutto?
«Sicuramente il fatto che possa uscire dal carcere dopo aver scontato neppure metà della pena mi innervosisce molto. Ma la cosa che mi ha sempre dato un grandissimo fastidio è che lui non ci ha mai chiesto scusa per quello che ha fatto. Non si è mai detto pentito, e anzi durante il processo lui e il suo avvocato non hanno fatto altro che contrattaccare colpevolizzando la nostra famiglia e dando a Elena della poco di buono e mettendo in discussione la sua onorabilità. Come si fa a far uscire uno dal carcere una persona del genere? Uno che non ha neanche avuto il coraggio di chiedere scusa?».
Siete stati risarciti da Gianluca Cappuzzo?
«Assolutamente no. Abbiamo sostenuto noi tutte le spese processuali e non abbiamo visto neanche l’ombra di un risarcimento. Non che volessimo i suoi soldi, anzi i soldi di un assassino come lui non li voglio neanche prendere in mano. Li avrei dati tutti in beneficenza. Quello che dico è che se non altro sarebbe stato un segnale positivo. Un segnale, che come le scuse per quello che ha fatto, da lui non è mai arrivato».
Padova, il medico-omicida prepara la tesi e ha il permesso per andare al Bo (il Mattino di Padova – 18 agosto 2017)
Gian Luca Cappuzzo si sta per laureare in Giurisprudenza. È stato condannato a 26 anni per l’assassinio della moglie Elena. Ha lavorato nel call center dell’Azienda ospedaliera e collabora con la rivista del carcere “Ristretti Orizzonti”. Poi fa l’ortolano nel carcere Due Palazzi e studia Giurisprudenza. Anzi, ormai è pronto per appendere al chiodo il diploma di una seconda laurea, oltre a quella di Medicina conquistata seguendo le orme del padre medico. Così, detenuto modello e studente impeccabile, ha ottenuto in questi giorni il permesso di uscire dal carcere Due Palazzi per frequentare la biblioteca universitaria del Bo. Obiettivo: preparare la tesi in Diritto Costituzionale.
È Gian Luca Cappuzzo, 47 anni, una carriera da aspirante chirurgo bruscamente interrotta dall’omicidio di cui è stato riconosciuto colpevole: quella della giovane moglie Elena Fioroni, 31 anni appena, prima aggredita e anestetizzata con etere e benzodiazepine, poi infilata in una vasca da bagno per simulare un suicidio, infine assassinata con tre iniezioni di etilcarbammato o uretano, sostanza cancerogena impiegata nella preparazione dei pesticidi. Di più: «neutralizzati» dal papà con gocce di antidepressivi nel biberon pure i due figlioletti di 3 e 4 anni per evitare che potessero assistere al delitto della loro mamma.
È la sera dell’8 febbraio 2006 e in una villetta di Voltabarozzo in via Pisani 6/a si consuma quell’orrore.Dopo 11 anni la vita continua per Gian Luca Cappuzzo. Una nuova vita – secondo educatori e magistrati – fatta anche di rivalutazioni della propria esistenza e dei propri “errori”. Elena non c’è più. E mai più ci sarà. Gian Luca, che nel passato ha già coltivato qualche permesso per visitare l’anziana madre, ora sta cercando di concludere il percorso di studi forse utile per comprendere meglio il suo vissuto. O forse per intraprendere una nuova professione una volta scarcerato. L’obiettivo potrebbe non essere lontanissimo, meno di 10 anni.
Il 29 aprile 2008 la Corte d’Assise di Padova condanna Cappuzzo a 26 anni di carcere per omicidio volontario pluriaggravato con una pena condonata di tre anni per legge (ma quasi due anni sono già trascorsi in detenzione preventiva), mentre la buona condotta garantisce la conquista di 45 giorni di liberazione anticipata ogni sei mesi di pena scontata. Il delitto era stato confessato da Cappuzzo solo il 27 giugno 2006 dopo quattro mesi e mezzo di silenzio: a metterlo alle strette la consulenza medico-legale firmata dal professor Santo Davide Ferrara che aveva smascherato il piano omicida.
«Voleva lasciarmi e io l’ho uccisa» aveva raccontato l’imputato. «L’omicidio di Elena Fioroni si presenta con tutte le caratteristiche del delitto passionale legato alla forte gelosia di Cappuzzo nei confronti della moglie e all’incapacità di accettare la sua decisione di separarsi» avevano scritto i giudici nella motivazione della sentenza di primo grado confermata in Cassazione. Un femminicidio in piena regola quando quella parola non stava ancora scritta da nessuna parte.
(Cristina Genesin)
«Orgoglioso di studiare in carcere, mi ha cambiato la vita» (il Gazzettino – 2 marzo 2018)
«Facendo l’università, anche se in carcere, non mi sono sentito un detenuto e ho reso orgoglioso chi ha sempre creduto in me, come la mia famiglia. I detenuti non cambiano da soli, serve un confronto come questo. Grazie per avermi dato un futuro». Armand, albanese sulla trentina, studente di Scienze Politiche, parla in piedi nella sala conferenze del carcere Due Palazzi. È il suo intervento a chiudere la cerimonia dell’inaugurazione dell’anno accademico del carcere e a portare il pensiero dei quarantadue studenti-detenuti. Tra loro (anche se ieri non erano presenti) il medico Gian Luca Cappuzzo, condannato a 26 anni per l’omicidio della moglie Elena Fioroni, che sta per laurearsi in Giurisprudenza, e il serial killer Donato Bilancia, tredici ergastoli per diciassette omicidi, che sta studiando Progettazione e gestione del turismo culturale.
Ad ascoltare la testimonianza di Armand, e inaugurare così il nuovo anno di corsi tra le mura del penitenziario di via Due Palazzi, il rettore del Bo Rosario Rizzuto; la prorettrice alla continuità formativa scuola-università-lavoro Daniela Lucangeli; il direttore del Due Palazzi Claudio Mazzeo; la dottoressa Francesca Vianello, referente per il polo universitario in carcere; il questore Paolo Fassari; il prefetto Renato Franceschelli; il colonnello Oreste Liporace, comandante provinciale dei carabinieri; Enrico Sbriglia, provveditore alle carceri del Triveneto, il sindaco Sergio Giordani e la dottoressa Lara Fortuna, magistrato del Tribunale di Sorveglianza. «La nostra e vostra università ha esordito Rizzuto vuole assumersi l’impegno di far crescere i suoi studenti e nelle aree di difficoltà com’è questa l’impegno deve essere doppio. Vi dico bravi, perché avete scelto di disegnarvi un futuro e di guardare avanti facendolo con la cultura, che è una nobilitazione dell’animo. Ogni vostra laurea, e sono già trenta, ci rende orgogliosi e porta sempre più alla frontiera l’ateneo che fu di Galileo e che è della scienza, della medicina, della fisica e delle lettere. Che è uno strumento di crescita della società». «La cultura è sinonimo di libertà, che a sua volta non è mai gratuita», ha aggiunto il provveditore Sbriglia. «È un motivo d’orgoglio avere una succursale dell’ateneo in carcere, dove non è facile studiare e studiare in maniera approfondita», ha detto il direttore Mazzeo prima di annunciare, assieme al rettore e al sindaco Giordani, l’apertura per il prossimo anno accademico del corso in Scienze motore, da una parte, e il progetto di raccolta differenziata in carcere, dall’altro. «Crediamo molto nel carcere aperto e per questo la mia amministrazione ha investito 120 mila euro in servizi al Due Palazzi», ha annunciato Giordani. A chiudere ci ha pensato la professoressa Lucangeli con una lezione sulle emozioni: «Studiare è una cura e fa bene, combatte ciò che genera detriti ha spiegato – A voi auguro di riconoscere le emozioni come perdono e gratitudine: sono regali che fate a voi stessi e agli altri. E soprattutto, difendetevi dalla noia».
(N.M.)
Gian Luca Cappuzzo, da recluso a una nuova vita da medico a Padova (il Mattino di Padova – 3 aprile 2018)
Il tribunale di Sorveglianza boccia il ricorso della Procura contro i permessi di studio a lui concessi. Valuta positivamente il suo comportamento e anche il progetto di tornare all’attività sanitaria
Coltiva il sogno di tornare a fare il medico. Anzi, più che un sogno, è un progetto cullato da tempo quello di riprendere l’attività sanitaria, come confermato dal provvedimento del tribunale di Sorveglianza che ha rigettato il ricorso della procura di Padova contro i permessi chiesti (e ottenuti) da Gian Luca Cappuzzo, classe 1970, “il dottore” com’è chiamato dai compagni reclusi del carcere padovano Due Palazzi, e non è un semplice soprannome.
Un dottore con laurea e abilitazione all’esercizio della professione medica, una carriera stroncata durante la specializzazione in Chirurgia da un clic di manette quando, l’11 febbraio 2006, venne arrestato per un’accusa gravissima: omicidio volontario pluriaggravato. L’accusa di aver architettato e poi attuato con tre iniezioni intramuscolari di un veleno oggi quasi sconosciuto, l’assassinio di Elena Fioroni, moglie e madre 31enne dei suoi due bambini. All’inizio un sospetto poi una certezza confermata con la sentenza definitiva di condanna a 26 anni di carcere (prima ancora dalla confessione) e accompagnata dalla radiazione dall’Ordine dei medici di Padova dove risultava iscritto.
Il carcere cambia. E gli esseri umani diventano diversi dietro le sbarre. Così per Cappuzzo è iniziata una nuova stagione di vita che si è tradotta in un percorso di revisione personale e di studi ormai al traguardo finale. Il detenuto ha chiesto, ottenuto e già usufruito di permessi per frequentare la biblioteca di Giurisprudenza e per poter anche pranzare in un ristorante vicino. Nonostante il via libera già ottenuto, la procura di Padova si è opposta in linea di principio a quelle autorizzazioni, impugnando l’articolo 30 dell’ordinamento penitenziario che disciplina i permessi.
Il tribunale di Sorveglianza non è stato d’accordo. E ha bocciato il ricorso, dando il via libera a Gian Luca Cappuzzo per chiedere altre uscite dal carcere nel futuro, pur se la richiesta dovrà essere presentata di volta in volta.
I motivi? Secondo i giudici della Sorveglianza Cappuzzo è un detenuto modello, con un comportamento irreprensibile, regolare, corretto. Un detenuto che ha rielaborato il proprio passato, comprendendo la gravità di quanto compiuto tanto che, in questi anni, è stato coinvolto attivamente nelle molteplici attività proposte all’interno del Due Palazzi (dalla scuola, alla redazione della rivista Ristretti Orizzonti, alla gestione della biblioteca) e ha partecipato a molti incontri con le scuole. Cappuzzo, in realtà, usufruisce di permessi fin dal 2015 e non solo per visitare la madre e i familiari. Si è recato fuori provincia e pure fuori regione.
E il tribunale ha apprezzato il fatto che tutto ciò si sia risolto «senza alcun clamore mediatico». Così come è stata valutata positivamente la sua frequentazione della biblioteca di Giurisprudenza (con pranzo in un locale pubblico), senza mai essere inciampato in qualche problema. È nello stesso provvedimento della Sorveglianza che si fa precisa menzione, una volta espiata la pena, al progetto del dottor Cappuzzo di riprendere l’attività sanitaria.
Non è un orizzonte troppo lontano: tra otto anni, forse anche qualcuno di meno, il dottor Cappuzzo potrà uscire grazie alla liberazione anticipata (45 giorni previsti ogni sei mesi di reclusione in caso di buona condotta) e qualche altro anno di sconto grazie all’indulto. L’ultimo indulto votato dal Parlamento risale al 2006 e si estende fino ai reati commessi entro il 2 maggio dello stesso anno: per tre mesi rientra il delitto compiuto dal medico. Insomma per il 2025, forse prima, Gian Luca Cappuzzo sarà di nuovo un uomo libero. E potrà indossare di nuovo il camice bianco. Resta un ostacolo: l’ammissione all’Ordine dei medici. Dopo la condanna, Cappuzzo fu radiato dall’Ordine padovano. Trascorsi 5 anni dalla radiazione, si può chiedere la reiscrizione che viene decisa (o respinta) dal consiglio dell’Ordine provinciale al quale è indirizzata la domanda.
La Licenza. Gian Luca Cappuzzo, l’ex medico padovano condannato a 26 anni (il Gazzettino – 30 maggio 2018)
Gian Luca Cappuzzo, l’ex medico padovano condannato a 26 anni di carcere per avere assassinato dodici anni fa la moglie Elena Fioroni, oggi uscirà dal carcere grazie a un permesso premio. Trascorrerà l’intera giornata al Bo, per raccogliere materiale per la sua tesi. Dietro alle sbarre infatti ha studiato giurisprudenza. Inoltre avrà la possibilità di pranzare in un ristorante del centro storico a sua scelta.
L’OMICIDIO. Cappuzzo è in carcere dal 9 febbraio 2006, giorno in cui gli uomini della Squadra mobile andarono ad arrestarlo a casa. Sta scontando una condanna definitiva a 26 anni. Cappuzzo, oggi 46enne, ha lavorato nella biblioteca del Due Palazzi a fianco del team di Ristretti Orizzonti, guidato da Ornella Favero, poi si era iscritto all’Università per conseguire la seconda laurea e oggi lavora nello Spaccio agenti all’interno del penitenziario. L’omicidio della moglie fu studiato con cura. Cappuzzo, all’epoca trentasettenne, medico specializzando nel reparto di Chirurgia dell’Azienda ospedaliera, uccise la moglie Elena nella villetta a Voltabarozzo. La donna era stata anestetizzata con un tampone di etere, poi avvelenata con tre iniezioni intramuscolari di benzodiazepine, un ansiolitico, e di etilcarbammato, una sostanza cancerogena usata anche nei pesticidi. Poi il marito aveva adagiato il corpo nella vasca da bagno, le aveva tagliato i polsi e poi aveva spedito anche due sms dal suo telefono, cercando di spacciare l’omicidio per suicidio. Scoperto dopo poche ore dall’allora capo della Squadra mobile Marco Calì, era accusato di omicidio aggravato dal rapporto di parentela, dall’uso di sostanze venefiche e dalla premeditazione. È stato condannato in primo grado a 26 anni di carcere, pena confermata in Cassazione nel 2011. Ornella Favero direttrice della rivista Ristretti Orizzonti lo ha descritto così: «Nonostante il reato violento che ha commesso non è una persona per natura violenta. È sempre disponibile con gli altri, non è aggressivo».
IL PERMESSO PREMIO. Il tribunale di sorveglianza di Padova ha concesso a Gian Luca Cappuzzo di trascorrere una giornata fuori dal penitenziario per raccogliere materiale per la sua tesi di laurea in giurisprudenza. Oggi uscirà dal carcere alle 9 per rientrare alle 18. Queste nove ore le trascorrerà nella biblioteca del Bo a studiare e a consultare libri. All’ora di pranzo potrà andare a mangiare in un ristorante del centro storico a sua scelta. Per l’arco dell’intera giornata non sarà controllato dai poliziotti penitenziari, e potrà muoversi come un uomo libero. L’ex medico, alla fine di novembre dell’anno scorso, ha chiesto e ottenuto dal Tribunale di sorveglianza un permesso premio. Cappuzzo avrebbe dovuto trascorrere una intera giornata da uomo libero. Andare all’Università per raccogliere materiale per la sua tesi di laurea in Diritto costituzionale e mangiare in un ristorante del centro storico. Ma la Procura, con il sostituto procuratore Benedetto Roberti, ha di fatto impugnato il provvedimento emanato dal Tribunale di sorveglianza. Il pubblico ministero ha sottolineato come …Non fosse il caso a livello istituzionale consentire all’assassino della moglie di girare liberamente per la città…. E così Gian Luca Cappuzzo ha dovuto rinunciare a quel permesso premio. Ma comunque un permesso, alcuni giorni più tardi, è riuscito a ottenerlo lo stesso. Una licenza per passare qualche giorno di festa in famiglia fino alla Vigilia di Natale. Oggi sarà di nuovo libero.
(Marina Lucchin)
Uccise la moglie col veleno, i figli ora gli chiedono i danni: 250 mila euro (il Gazzettino – 25 maggio 2019)
Il precetto di pagamento gli verrà consegnato in carcere. I 250 mila euro del risarcimento, deciso dalla Corte d’assise di Padova, serviranno per mantenere i due figli, orfani della madre, che lui ha ucciso tredici anni fa. Ma in tutti questi anni Gian Luca Cappuzzo non ha versato neanche un euro al tutore dei due ragazzi, nominato dai giudici.
L’aspirante chirurgo, che l’8 febbraio 2006, quando era uno specializzando, anestetizzò la moglie Elena Fioroni con l’etere, l’avvelenò con un cocktail di farmaci e ne simulò il suicidio tagliandole le vene dei polsi, sta scontando una condanna a 26 anni per omicidio. I due figli, che al tempo della tragedia avevano quattro e tre anni, vivono con la madre dell’ex aspirante chirurgo. Ma i familiari di Elena Fioroni adesso vogliono il risarcimento da mettere da parte per i ragazzini e hanno dato mandato all’avvocata Paola Bordin Boev di procedere al precetto di pagamento.
“In tutti questi anni il dottor Capuzzo non ha versato un euro del risarcimento deciso dai giudici. E’ la madre di Elena Fioroni che sostiene in misura prevalente il mantenimento dei nipoti. E il risarcimento dovrà salvaguardare il futuro dei due ragazzini”, afferma l’avvocata Bordin Boev.
Lui, trentacinquenne, medico e attivista politico, lei, trentunenne, giovane donna di famiglia benestante, due bimbi piccoli nati dopo il matrimonio. Chiuso nel carcere padovano, Cappuzzo ha anche lavorato nel call center dell’Azienda ospedaliera, ha imparato a coltivare le piante nell’orto comune, ma ha pure iniziato a studiare Giurisprudenza. Una serie di impegni che hanno confermato l’intento riabilitativo del carcere e che gli hanno fatto conquistare dei permessi premio. I suoi studi stanno volgendo al termine, così il tribunale di Sorveglianza gli aveva concesso un anno fa un permesso premio di nove ore, dalle 9 alle 18, durante le quali ha potuto svolgere alcune ricerche, essenziali per la tesi di laurea, nella biblioteca di studi giuridici al Bo. E la pausa pranzo, Cappuzzo ha potuto passarla in uno dei ristoranti del centro a sua scelta. Un permesso contro il quale la procura di Padova aveva presentato ricorso. Negli ultimi dieci anni, l’ex aspirante chirurgo, radiato dall’Ordine dei medici, ha iniziato ad accumulare gli “sconti” previsti dalla legge, 45 giorni ogni sei mesi di pena anticipata. Grazie all’indulto e alla buona condotta, Cappuzzo potrebbe uscire prima del termine della pena.
“Per l’omicidio commesso da Capuzzo la pena editale prevista è quella dell’ergastolo”, scrivono i giudici nelle motivazioni della condanna. E aggiungono: “Tuttavia devono essere riconosciute in suo favore le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti in base a considerazioni attinenti alla personalità e al carattere dell’imputato. Elementi che ne delineano una capacità a delinquere molto modesta”.
Per gli inquirenti il movente del delitto erano stati i soldi. Lei aveva una rendita mensile di 4 mila euro, lui 900 euro da medico specializzando. E tra i vari legami ci sarebbe stata una procura generale con cui Cappuzzo poteva fare quello che voleva sul patrimonio di lei. Perdendo la moglie avrebbe perso tutto, la casa di Voltabarozzo, i figli, gli agi cui era abituato. Lei era la ricca, che pagava i conti del marito, i suoi capricci da bambino troppo cresciuto.
Elena Fioroni voleva la separazione. Durante il processo un’amica della vittima, ex moglie di un noto regista cinematografico, raccontò ai giudici: “La notte del 5 gennaio Cappuzzo aveva svegliato Elena e portata fuori casa dicendole che la madre di lei era stata colta da un malore. Invece la portò su un argine e, minacciandola con la pistola, le disse che l’avrebbe ammazzata e e si sarebbe ammazzato se fosse andata avanti con la separazione. Elena però non ne poteva più di quel rapporto di cui era da sola di fronte alle difficoltà”.
Le amiche della vittima avevano raccontato ai giudici che Elena Fioroni si sentiva sola e dopo la nascita della figlia era sprofondata in una vera depressione, tanto da trascorrere un mese nella casa di cura Parco dei Tigli. Sola a casa con i figli con i quali, diceva, il marito si mostrava freddo. Poi, con il supporto di uno psicoterapeuta, era ritornata a vivere serena come prima e non voleva più il peso di un matrimonio finito.
(Lino Lava)
Cappuzzo è malato, ai domiciliari (il Gazzettino – 5 gennaio 2021)
L’ex medico Gian Luca Cappuzzo, 48 anni e condannato in via definitiva alla pena di 26 anni di reclusione per avere ucciso nel febbraio del 2006 la moglie Elena Fioroni, è uscito dal carcere. Da prima di Natale si trova in regime di detenzione domiciliare a casa di una zia di Dolo in provincia di Venezia. Il giudice di sorveglianza ha ritenuto non potesse più supportare la vita del carcere, perchè gravemente malato. Cappuzzo, già a partire dal 2016, gode di permessi premio come recarsi all’Università per raccogliere materiale utile alla sua tesi.
Gian Luca Cappuzzo è finito dietro alle sbarre l’11 febbraio del 2006 ed è stato condannato in via definitiva a 26 anni di reclusione. Da alcuni mesi le sue condizioni di salute si sono aggravate. L’ex medico è affetto da una importante patologia che richiede, come ha anche sottolineato nella sua relazione il medico del carcere Due Palazzi, un trattamento terapeutico prima e dopo l’intervento chirurgico. Cappuzzo aveva chiesto al giudice del tribunale di sorveglianza Tecla Cesaro, il differimento della pena. Ma questa sua domanda è stata rigettata. Il giudice invece ha concesso il regime di detenzione domiciliare, firmato il 18 dicembre, a casa di una zia a Dolo. La gravità della malattia e il pericolo anche di contrarre il Covid, hanno spinto il Tribunale a prendere questa decisione. Cappuzzo potrà continuare a lavorare per la cooperativa Solidalia di Vigonza e potrà uscire dall’abitazione della zia solo tra le 9 e le 11 del mattino per fare la spesa. Non può utilizzare nè i social e nè il telefono cellulare. E verrà sorvegliato dai carabinieri della stazione di Dolo. Nella sua cella della casa di reclusione è stato sempre un detenuto modello, tanto da accumulare 990 giorni di liberazione anticipata. L’ex medico potrebbe essere già un uomo libero alla fine del 2025, sempre se rispetta tutte le regole della detenzione domiciliare.
Cappuzzo è stato arrestato dalla polizia il 10 febbraio del 2006. All’epoca aveva 37 anni ed era un medico specializzando nel reparto di Chirurgia dell’Azienda ospedaliera. Decise di uccidere la moglie Elena, psicologa di 31 anni, la sera tra l’8 e il 9 febbraio nella villetta a Voltabarozzo. La donna era stata anestetizzata con un tampone di etere, poi avvelenata con tre iniezioni intramuscolari di benzodiazepine, un ansiolitico, e di etilcarbammato, una sostanza cancerogena usata anche nei pesticidi. Poi il marito aveva adagiato il corpo nella vasca da bagno, le aveva tagliato i polsi e poi aveva spedito anche due sms dal suo telefono, cercando di spacciare l’omicidio per suicidio. Scoperto dopo poche ore, era accusato di omicidio aggravato dal rapporto di parentela, dall’uso di sostanze venefiche e dalla premeditazione. In via definitiva è stato condannato a 26 anni di carcere. Solo un anno più tardi, nel gennaio del 2007, ammise di avere ucciso la moglie per gelosia quando aveva capito dell’amore di Elena per un maestro di sci. Un mese prima dell’omicidio, con l’inganno, aveva portato la moglie lungo l’argine minacciandola con una pistola se solo avesse osato lasciarlo e chiedere la separazione.
(Marco Aldighieri)
Uccise (per soldi) la giovane moglie che voleva lasciarlo: morto in ospedale il medico-killer Gian Luca Capuzzo (Corriere del Veneto – 7 febbraio 2024)
Il delitto nel 2006, nel Padovano. Specializzando in chirurgia, Capuzzo era stato condannato a 26 anni di carcere per aver anestetizzato, avvelenato e ucciso la 31enne Elena Fioroni, simulandone il suicidio. Era malato da tempo
È morto all’ospedale di Dolo, dov’era ricoverato da tempo, il padovano Gian Luca Capuzzo. Nel 2006, l’allora specializzando in chirurgia aveva ucciso la moglie, Elena Fioroni, simulandone il suicidio. Malato terminale di cancro, nell’ultima parte della sua esistenza Capuzzo era stato ospite di una zia, appunto in provincia di Venezia.
Il suicidio inscenato. L’aspirante chirurgo era stato condannato a 26 anni di carcere per il delitto, attuato nel pomeriggio dell’8 febbraio 2006: giusto domani saranno passati 18 anni. Quella sera, nella casa di famiglia a Voltabarozzo, Padova, viene trovata morta Elena Fioroni. Famiglia ricca alle spalle, 31 anni, Elena ha due bambini, nati dal matrimonio con Capuzzo. Lui, medico specializzando in chirurgia, quattro anni più della moglie, è figlio di un affermato primario morto due anni prima, nel 2004. La donna vienetrovata nella vasca da bagno, con tagli ad entrambi i polsi. «Elena era infelice. Si è tolta la vita», disse subito Capuzzo. «Una messinscena», ribatté la polizia. L’autopsia confermò poi la tesi della squadra mobile: Elena era stata tramortita con un tampone di etere, quindi avvelenata con tre iniezioni di benzodiazepine ed etil carbammato. Di fronte ai fatti di scienza, dopo quattro mesi il medico confessò il delitto: «Voleva lasciarmi…».
Il carcere, gli studi, i permessi. Nel 2008, per Gian Luca Capuzzo era arrivata la condanna a 26 anni di carcere per omicidio volontario pluriaggravato, sentenza confermata in Appello e Cassazione e affiancata dalla radiazione dall’Ordine dei medici. Scontata parte della pena, dal 2016 l’omicida aveva goduto dei primi permessi premio, con coda di polemiche. Detenuto al Due Palazzi, Capuzzo aveva iniziato a lavorare nel call center dell’Azienda ospedaliera e imparato a coltivare piante nell’orto comune. Soprattutto, però, il quasi medico si era dato agli studi di giurisprudenza: nel 2018, il giudice di Sorveglianza gli aveva concesso un permesso di nove ore, per completare ricerche essenziali alla tesi di laurea all’interno della biblioteca del Bo. Anche in quel caso, la scelta del tribunale aveva sollevato dubbi e discussioni. Poi la malattia e, ora, la morte.
(Roberta Polese e Renato Piva)