Franco Cioni, 73 anni, magazziniere in pensione. Soffoca la moglie con un cuscino e si autodenuncia. Condannato a 6 anni perchè considerato dai giudici un gesto d’altruismo
Vignola (Modena), 14 Aprile 2021
Titoli & Articoli
Quando la disperazione sconfigge la speranza (il Resto del Carlino – 15 settembre 2021)
Sperare. O di-sperare. Vien da pensare che ci sia un abisso, un mondo, separato da quel ‘di’. Ma forse non è così, perché nella vita si spera e ci si dispera anche in contemporanea, più o meno in contemporanea: succede che gli stati d’animo a volte si intreccino e si sovrappongano, cambino. Ieri mattina all’alba il signor Franco non ce l’ha fatta più e ha ucciso sua moglie. La disperazione ha sconfitto la speranza. Ci provava probabilmente da tanto tempo a tener botta e fino a ieri c’era riuscito. Resistere ed esistere: per giorni, mesi, anni. A fianco la moglie Laura malata, sempre più malata. “Non potevo più vederla vivere in quello stato” ha bisbigliato ai carabinieri dopo averla soffocata ed essersi costituito. La disperazione, dettata anche dalla solitudine, quella parolina che faceva cantare a Jim Morrison: “E’ come ascoltare il vento e non poterlo più raccontare a nessuno”. Franco e Laura, e basta. Nessun figlio, zero parenti. Cordidalità ma discrezione con i vicini di casa. Vivevano da poco a Vignola, chiusi in casa, come siamo tutti chiusi in casa da un anno e più: la pandemia di questi mesi ha reso ancora più devastante il cocktail solitudine-disperazione.
Con il Covid sono aumentate quelle che definiamo le tragedie della disperazione e della solitudine. Ci occupiamo in continuazione dei giovani, dei disagi dei nostri ragazzi fra Dad e videogiochi e facciamo bene; ma a volte ci si dimentica degli anziani, soli, spesso abbandonati.
A Vignola, nel momento in cui il suo ‘sperare’ è diventato inesorabilmente disperare, Franco ha alzato bandiera bianca. Si è arreso, anche alla giustizia che gli farà doverosamente pagare il suo conto, piccolo o grande che sia. Si poteva fare qualcosa di più? Chi poteva fare qualcosa di più? Per favore, non mettiamo in mezzo solo e soltanto istituzioni, servizi sociali, sindaci, medici o chissà chi: mettiamoci in gioco anche noi, ognuno di noi, che ormai non salutiamo neppure più il vicino di casa. Noi che siamo sempre più soli. “E’ sperare la cosa più difficile. La cosa più facile è disperare, ed è la grande tentazione” scriveva il grande Charles Peguy.
Uccisione moglie malata a Vignola: chiesta pena minima per 73enne (il Resto del Carlino – 22 settembre 2023)
Franco Cioni, 73enne, soffoca la moglie malata oncologica Laura Amidei, 68 anni. La pubblica accusa chiede 21 anni di carcere, la difesa chiede attenuanti generiche. Corte si riserva nel merito. Sentenza attesa per novembre.
Era l’aprile del 2021 quando l’allora 73enne Franco Cioni soffocò nel sonno la moglie Laura Amidei, 68 anni, da anni malata oncologica. Il terribile femminicidio – dramma della disperazione e della solitudine – era avvenuto in un’abitazione di via Degli Esposti, a Vignola.
Ieri la pubblica accusa, rappresentata dal procuratore capo Luca Masini, davanti alla Corte D’Assise ha chiesto per l’anziano 21 anni di carcere: il minimo della pena. Il pm ha chiesto che vengano considerate prevalenti le attenuanti di particolare valore morale quindi la pena, ridotta di un terzo scenderebbe a 14 anni di carcere.
Uccise moglie malata “per non farla soffrire”, condannato a 6 anni. Giudici: “Va considerato altruismo” (FanPage – 1 febbraio 2024)
Il caso dell’omicidio di Laura Amidei, 67 anni compromessi da una grave malattia, compiuto nel 2021 dal marito Franco Cioni. La Corte di assise di Modena: non si può non considerare il suo “altruismo”.
La notte del 13 aprile 2021 Franco Cioni tolse la vita della moglie Laura Amidei, soffocandola con un cuscino. Poi chiamò i carabinieri di Modena (l’omicidio per avvenuto a Vignola) e spiegò di averlo fatto per porre fine alle sofferenze che da anni costringevano la donna in un letto. Un gesto che la Corte di assise di Modena nel riconoscere al 74enne l’attenuante dei motivi morali e sociali, condannandolo a sei anni e due mesi, ha considerato d'”altruismo”.
Nelle motivazioni della sentenza di condanna all’imputato, difeso dall’avvocato Simone Bonfante, i giudici hanno chiarito di aver tenuto conto che l’omicidio avvenne con “modalità consone allo scopo”, cioè con un cuscino e mentre la donna, 67 anni compromessi da una grave malattia, stava dormendo. Non si può considerare il gesto isolatamente “rispetto a tutta la condotta anteriore osservata dall’imputato nella dedizione, nella vicinanza e nel sostegno umano assicurato alla propria consorte per tutta la sua lunga malattia”, spiega la Corte.
E dunque “l’altruismo” di Cioni – evidenziato anche dal medico che aveva in cura la donna, oltre che dalla sorella della vittima e dai conoscenti – “riflette un sentire sociale ormai sempre più presente in larghi settori della società civile che hanno vissuto o sono chiamati a vivere la drammaticità del fine vita di loro congiunti all’esito di malattie irreversibili, sempre più propensi a riconoscere nella condotta osservata dall’imputato la manifestazione di uno stato affettivo di amore pietoso che trova la propria legittimazione interiore nella lunga e assoluta compartecipazione emotiva per le sofferenze della vittima, ormai deprivata di ogni condizione di vita relazionale per l’incedere della malattia e l’ormai prossimo esito letale” mettono nero su bianco i giudici.
La Corte ammette che per la concessione di specifiche attenuati vanno valutati gli orientamenti espressi dalla collettività. “Si tratta a ben vedere – ragionano – di un contesto specifico per circostanze storiche”, come quelle ricostruite, “nel quale si riflette una diffusa coscienza sociale che si interroga sulla drammaticità di un gesto assunto in condizioni di assoluta solitudine personale dal coniuge legato da un incondizionato rapporto d’amore”. Coscienza sociale che “ha via via interrogato la giurisprudenza su queste tematiche e sulle tematiche confinanti del fine vita“.
Dopo l’auto-denuncia, Franco Cioni era stato arrestato e messo ai domiciliari. Nel corso delle udienze del processo aveva ammesso di avere ucciso la moglie per porre fine alle sue sofferenze: “Non potevo più vederla cosi”, aveva ammesso, sottolineando di aver dato atto ad una volontà della donna, che non voleva essere portata in una casa di riposo.