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Dritan Demiraj, 29 anni, pasticcere, padre. Aspetta l’ex convivente alla stazione e l’accoltella in un sottopassaggio lasciandola morire dissanguata. Aveva già ucciso il nuovo compagno della donna, con l’aiuto di tre complici. Condannato all’ergastolo, in cella viene aggredito da un altro detenuto e ridotto in stato vegetativo. La Cassazione lo libera e lo fa rimpatriare in Albania. I parenti chiedono un risarcimento allo Stato italiano.

Mozzate (Como), 1 Marzo 2014

Era innamorato folle di quella donna


Titoli & Articoli

Uccise e torturò la ex e il suo compagno, condannato all’ergastolo: ora è un uomo libero
La decisione della Corte d’Assise: compromesso in modo irreversibile il suo stato mentale
È un uomo libero Dritan Demiraj, il 31enne che nel 2014 uccise in preda alla gelosia l’ex compagna Lidia Nusdorfi e il suo fidanzato, Silvio Mannina. Lo ha deciso la Corte d’Assise di Bologna che ha pronunciato sentenza di non luogo a procedere sulla base di una consulenza medico legale: i giudici hanno ritenuto compromesso in modo irreversibile il suo stato mentale. In seguito alla condanna, infatti, il fornaio albanese era stato trasferito nel carcere di Parma dove, il 6 aprile del 2016, era stato aggredito da un altro detenuto. Un’aggressione barbara in seguito alla quale era finito in coma e poi costretto sulla sedia a rotelle perdendo anche parte delle proprie facoltà mentali.
È stato sottoposto a perizia medico legale su richiesta del difensore, l’avvocato Massimiliano Orrù, dalla quale è emerso che il fornaio 31enne ha perso la memoria, non ricorda gli omicidi commessi né cosa sia accaduto dopo, né cosa lo circondi. Parla ma non si muove autonomamente. “È come un bambino che vive alla giornata – ha spiegato l’avvocato Orrù – una condizione che la medicina indica come irreversibile. Il non luogo a procedere prevede anche l’immediata scarcerazione e rimessa in libertà”.
L’agghiacciante vicenda venne alla luce quando, nel tardo pomeriggio del primo marzo, fu uccisa la donna, nel sottopassaggio della stazione ferroviaria di Mozzate (Como), località in cui Lidia si era trasferita da Rimini (la città in cui si è celebrato il processo) dopo avere lasciato il compagno. In un primo momento Dritan spiegò di essere stato tutta la notte al lavoro in panetteria e quell’alibi fu confermato anche dal datore di lavoro. Ma i carabinieri non ci credettero e l’uomo alla fine confessò.  Alcuni giorno dopo gli investigatori si resero conto che il nuovo fidanzato della donna era scomparso dalla circolazione dal 28 febbraio, giornata in cui aveva ricevuto un appuntamento (via Facebook) da parte di Monica Sanchi, nuova fidanzata di Dritan. Il quale, ad aprile 2014, confessò di avere ucciso anche Silvio, dopo averlo picchiato e torturato.

Rimini, condannato per due omicidi. Ora chiede i danni allo Stato
Dritan Demiraj ha gravi lesioni al cervello per un pestaggio che ha subìto in carcere
Un ergastolano con le capacità di un bambino, e per questo reso libero dalla Giustizia. Il duplice omicida Dritan Demiraj lascerà l’Italia, la sua famiglia sta già organizzando il suo ritorno in Albania, dove stanno cercando una sede adatta ad accoglierlo. Non solo. Ma dal momento che a ridurlo così è stato un pestaggio in carcere, il suo avvocato, Massimiliano Orrù, si dice pronto a chiedere i danni allo Stato per le condizioni in cui hanno ridotto il suo cliente.
Una storia ‘nera’ degna di un film, quella che vede protagonista il pasticciere albanese, autore di due efferati delitti. Quello dell’ex compagna, Lidia Nusdorfi, massacrata a coltellate alla stazione di Mozzate (Como), e del fidanzato della donna, Silvio Mannina, prima brutalmente torturato e poi gettato in una palude. Tutto per una vendetta legata a un tradimento. Nella mattanza, Demiraj aveva trascinato con sé anche la donna che frequentava in quel momento, Monica Sanchi (condannata a 30 anni e inchiodata in un letto d’ospedale per una malattia degenerativa), e lo zio, Sadik Dine, assolto in primo grado e condannato all’ergastolo in Appello.

Senza memoria e privo di forze: l’ex killer rientra in Albania
I giudici di primo grado gli avevano dato l’ergastolo per l’omicidio della ex compagna, Lidia Nusdorfi a Mozzate e dell’ultimo uomo che lei frequentava, Silvio Mannina di Castano Primo
Un ergastolano libero di tornare a casa, ma che da anni non ha più memoria delle sue vittime. Dritan Demiraj, il killer del lago Azzurro che uccise due persone a sangue freddo, sta per essere espulso. Dopo la feroce aggressione in carcere è stato dichiarato incapace di intendere e di volere, e la giustizia ha dovuto lasciarlo andare. Da tempo occupa un letto nel reparto di Geriatria dell’ospedale di Parma, ma non ha più titolo per stare in Italia e la sua famiglia lo vuole in Albania, dove potrà occuparsi di lui. Chi l’ha visto lo descrive come un uomo rannicchiato su se stesso e con la mente di un bambino che riconosce a stento medici e genitori. Non cammina e parla con grandi difficoltà, quanto alla sua memoria è ormai del tutto inesistente.
I giudici di primo grado gli avevano dato l’ergastolo per l’omicidio della ex compagna, Lidia Nusdorfi a Mozzate (Como) e dell’ultimo uomo che lei frequentava, Silvio Mannina di Castano Primo, nel Legnanese (Milano). Una vendetta albanese per il tradimento della donna. Era stato nel carcere di Parma che la sua nemesi si era materializzata in un ex pugile romeno. Quale conto in sospeso ci fosse tra i due detenuti non si è mai saputo, ma un giorno Dritan aveva incrociato quel bestione nei corridoi e quando gli agenti della Polizia penitenziaria glielo avevano tolto dalle mani, Demiraj era già in coma. Era arrivato in ospedale in condizioni talmente gravi che i medici l’avevano dato per spacciato. Invece era sopravvissuto, il suo corpo aveva in parte resistito e dopo mesi si era svegliato dal sonno della morte. Non la sua mente. A causa dei colpi ricevuti in testa, il cervello aveva subito lesioni tali da ridurlo poco più di un bambino.

E’ morta Monica Sanchi, la complice del killer
E’ morta in una clinica di Misano Monica Sanchi 40 anni, complice degli omicidi di Lidia Nusdorfi e Silvio Mannina. Quattro anni fa ammise le sue responsabilità nella complicità con Dritan Demiraj dell’uccisione di Lidia, ex compagna di lui e Silvio, ultimo amante di Lidia,. Nel 2016 fu condannata a 30 anni mentre il suo complice Demiraj all’ergastolo. La vicenda risale a venerdì 28 febbraio 2014. Silvio Mannina arrivò alla stazione di Rimini da Bologna, dove abitava. Giunto all’appartamento di Dritan, l’uomo sarebbe stato ammanettato e torturato, prima di essere strangolato con un cavo attorno al collo. Il corpo era stato sepolto in una buca scavata alla cava del lago azzurro di Santarcangelo di Romagna, ritrovato dagli inquirenti solo successivamente. Lidia Nusdorfi venne accoltellata il giorno dopo, il 1°marzo, alla stazione di Mozzate, in provincia di Como. In entrambi i casi decisiva fu la complicità di Monica Sanchi per attirare prima Mannina e poi Lidia nei luoghi dove poi sarebbero stati uccisi da Dritan. Per entrambi non sarà la giustizia terrena a fare espiare la pena per i due delitti. Per un destino che li ha uniti nel delitto ora li sta unendo anche nella conclusione tragica delle loro vite.
Monica Sanchi è deceduta colpita da un tumore alla spina dorsale. Era già da tempo ricoverata in una clinica, ai domiciliari non potendo stare in carcere. Mentre Dritan Demiraj, condannato all’ergastolo è uscito dal carcere dopo che la Corte d’Appello di Bologna, nel 2017, ha deciso per il “non luogo a procedere” constatata l’incapacità dell’uomo di stare in giudizio. Su Demirai è stato infatti accertato un “deficit di memoria e di comprensione” che lo ha reso «come un bambino che vive alla giornata, una condizione che la medicina indica come irreversibile». E’ ridotto in questo stato dopo un’aggressione subìta in carcere a Parma, nell’aprile del 2016: calci e pugni alla testa per 15 minuti, che lo avevano mandato in coma.

Omicidio Mannina, “Non sono un assassino: Dritan mi ha rovinato la vita”
Parla lo zio del killer dopo la sentenza della Cassazione che ha annullato l’ergastolo
Sadik Dine, il pescatore albanese zio del killer Drita Demiraj, è un uomo libero. Ancora più ‘libero’ dopo che la Cassazione ha annullato la sentenza di ergastolo che gli era stata inflitta in Appello per gli omicidi di Silvio Mannina e di Lidia Nusdorfi, accogliendo in toto il ricorso che era stato presentato dal suo avvocato, Massimiliano Orrù. Sulla testa di Dine c’è solo la condanna a cinque anni per occultamento di cadavere, quello di Silvio Mannina.
Signor Dine, ma lei è davvero innocente? «Io non sono un assassino come pensano gli altri. Io sono innocente, non ho ammazzato nessuno, gli assassini sono altri. Se fossi stato come mi dipingono, avrei già confessato, avrei già detto tutto, ma io non ho ucciso nessuno».
Lei non sente di avere le mani sporche di sangue? Ha pur sempre aiutato suo nipote Dritan a sbarazzarsi del corpo di un uomo, del povero Silvio Mannina… «Io ho aiutato mio nipote a nascondere il cadavere, è vero, è questa la mia colpa più grande e mi dispiace moltissimo per quel ragazzo, non c’entrava nulla, lui era già morto quando sono arrivato là. Mi dispiace per la sua famiglia, lo ripeto e chiedo ancora perdono e scusa, ma non per aver ucciso Silvio. Non l’ho ucciso io, gli assassini sono gli altri tre».
Torniamo indietro a quel maledetto 28 febbraio 2014. Che cosa è accaduto?
«Ero a casa mia quando è arrivata Monica Sanchi. ‘Ti vuole tuo nipote’, mi ha detto. Sono andata con lui a casa sua, sono entrato in camera da letto e Dritane ha esclamato: ‘Zio, aiutami, guardami cosa ho fatto, ho ucciso un uomo’. Sul letto c’era un ragazzo, Silvio Mannina, era già morto. Dritan era fuori di testa, sono stato costretto ad aiutarlo a portare via il corpo di quel poveretto».
Come costretto?
«Ho avuto persino paura che Dritan potesse fare del male a me ed alla famiglia, non ragionava più, era un momento terribile, mio nipote non era più in sé. L’ho aiutato a sollevare il corpo, a metterlo nel tappeto e poi nell’auto, fino al lago».
Avrebbe potuto però tirarsi indietro, lasciare lì Dritan..
«Lo so, ma per me Dritan era come un figlio,mi sono trovato in difficoltà, ho avuto paura della sua reazione violenta».
Lidia Nusdorfi, però, avrebbe potuto essere salvata se lei avesse parlato?
«Io non sapevo che cosa avrebbe fatto Dritan, non lo potevo immaginare. Era innamorato folle di quella donna, mai e poi mai avrei immaginato che l’avrebbe ammazzata».
Ma il volto di Silvio Mannina non la perseguita?
«Ce l’ho sempre davanti agli occhi, non riesco a dimenticare quel corpo senza vita, ma io non l’ho ucciso, era già morto quando sono arrivato a casa di Dritan. Capisco il dramma di sua madre, di sua sorella, io sono stato incastrato da mio nipote, mi ha distrutto la vita».
Perché distrutto la vita, lei è libero? «Mi hanno tolto i miei figli, non ho più un lavoro, è colpa di Dritan se sono finito in questa situazione terribile».
Ha mai pensato di fuggire? «Assolutamente no, io sono innocente, non ho ammazzato nessuno, la mia vita è qui».

Fu complice in due omicidi: pena raddoppiata per il minore che aiutò Demiraj


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