Dario Fusini, 66 anni, commerciante, padre. Uccide la moglie e il padre a colpi di pistola (strage di Negrar)
Negrar (Verona), 21 Novembre 2012
Titoli & Articoli
Verona: uccide moglie e suocero, poi si suicida (Lettera43 – 21 novembre 2012)
Tre colpi di pistola alla moglie, altri tre al padre e infine un solo proiettile contro sé stesso, dopo aver chiamato il 113.
In un’ora e mezza Dario Fusini, 66 anni, ha cancellato mercoledì 21 novembre le sue angosce in un raptus di violenza, le cui cause ha tentato di spiegare in due lettere, una ai familiari, l’altra alle forze dell’ordine, lasciate sopra il tavolo della casa di Negrar dove ha freddato la moglie Luciana Roveda, sposata in seconde nozze. Avevano entrambi dei figli, due la donna, ed un maschio Dario Fusini, nati dai precedenti matrimoni.
REGOLARE IL POSSESSO DELL’ARMA. Luciana Roveda è stata uccisa nella taverna di casa, una bifamiliare signorile nella quale conviveva da una decina d’anni, pare in armonia, con il nuovo consorte. I vicini di casa non hanno sentito il rumore degli spari.
Poi l’uomo sarebbe andato a Verona dal quasi centenario suocero, Luigi Fusini, e lo avrebbe ucciso. Infine avrebbe rivolto l’arma contro sé stesso dopo aver raccontato al 113 quanto successo: «Qui c’è un cadavere, e fra un po’ ce ne sarà un altro…», queste le drammatiche parole riferite al centralino del 113 di Verona. Luciana Roveda era una casalinga, Fusini un commerciante. Dell’uomo non risulterebbero in passato alcuna segnalazione alle forze dell’ordine: deteneva regolarmente la pistola semiautomatica cal.45 usata per la strage.
LASCIATE DUE LETTERE. I carabinieri del reparto operativo di Verona hanno trovato la donna riversa supina sul pavimento, vestita, e con tre ferite allo stomaco. Due lettere sono state travate nella stanza: qui Dario Fusini ha spiegato di aver pianificato il suo gesto facendo riferimento a problemi gravi di salute che avrebbero minato il suo fisico, ma anche la moglie e il padre.
Le missive sono state raccolte dalla sezione investigazione scientifica dell’Arma, assieme ad altri reperti che saranno oggetto del fascicolo che è presisto venga unificato assieme a quello della polizia e consegnato al magistrato.
Tragico patto di amore e morte. Uccide moglie, padre e si spara (Corriere del Veneto – 22 novembre 2012)
Dario (66 anni) e Luciana (74) erano d’accordo, hanno portato Luigi con loro. Un ex commerciante di Negrar e una casalinga avevano preparato tutto da giorni
La prima telefonata, Dario l’ha fatta poco prima delle 10 del mattino, ai carabinieri. «Ho ucciso Luciana, mia moglie. Andate a casa nostra…». La seconda ad Antonella, la figlia che la sua compagna aveva avuto da un precedente matrimonio. «È successa una cosa gravissima, vieni subito» le ha detto senza scendere nei dettagli, senza spiegarle che intorno alle 9.15 aveva ammazzato sua madre. Trascorrono alcuni minuti. Le pattuglie partono a sirene spiegate dirette alla villa sulle colline di Negrar, una «perla» incastonata nella Valpolicella, dove viveva una coppia di pensionati: Dario Fusini, ex commerciante di 66 anni, e Luciana Roveda, casalinga di 74. Intanto la figlia telefona ad alcuni amici della madre, preoccupata. È in quel momento che arriva la terza chiamata, l’ultima, questa volta alla polizia: «Qui c’è un cadavere, e tra un po’ ce ne sarà un altro…».
Un’ora di sangue e pallottole, pianificata da tempo. Dai primi accertamenti, pare che moglie e marito, innamoratissimi da vent’anni, avessero scelto di farla finita. Con loro, avevano deciso, doveva morire anche il padre di lui, Luigi Fusini, disabile di 99 anni con un passato da imprenditore geniale e innovativo. In quel modo, forse, erano convinti di risparmiargli la sofferenza di sopravvivere senza suo figlio. Un terribile patto d’amore, sembra dettato dalla paura che gli acciacchi dell’età impedissero di mantenere il loro stile di vita fatto di serate con gli amici, viaggi, e mattinate trascorse a nuotare nella piscina di casa. Temevano di invecchiare, Dario e Luciana. Così, ieri mattina, sono andati nella taverna al piano interrato della villa. Luciana Roveda era vestita in modo elegante, truccata. «Era come se si fosse preparata per andare a una festa», l’avrebbe descritta poche ore più tardi il pubblico ministero che coordina le indagini, Simona Macciò. Si era fatta bella, Luciana. Il giorno prima era stata dall’estetista e per oggi aveva un appuntamento con lo specialista che avrebbe dovuto farle delle iniezioni al volto, per nascondere i segni del tempo. Non ne ha avuto bisogno. Si è seduta sulla sedia, davanti al tavolone in legno massiccio. Dinanzi a lei il marito, che ha preso la mira con la pistola che usava per allenarsi al poligono, e ha sparato. Due, forse tre colpi, che l’hanno raggiunta al petto. A quel punto, l’ex commerciante è salito in auto per raggiungere Verona, dove viveva suo padre. Alle spalle si era lasciato il corpo della moglie, riverso sul pavimento della taverna, e due buste. Nella prima, un messaggio destinato alle forze dell’ordine nel quale si spiegano brevemente i motivi del gesto. La seconda conteneva invece due lettere per i figli. «Siamo spacciati», ha scritto Fusini. Eppure i carabinieri non hanno trovato ricette mediche che lasciassero supporre malattie gravi. Quando camminava avvertiva un po’ di fastidio dovuto alla protesi all’anca che gli avevano impiantato. Lei aveva fissato per gennaio un intervento chirurgico, ma nulla di serio.
Eppure, sembra che proprio quei piccoli disturbi col passare del tempo fossero divenuti insopportabili, per la coppia. Al punto da decidere che tanto valeva morire, prima che la vecchiaia prendesse il sopravvento. Ma prima di farla finita e di morire con la «sua» Luciana, martedì mattina il pensionato doveva portare a termine il piano. Mentre raggiungeva l’abitazione del padre ha telefonato ai carabinieri e alla figliastra, per avvisarli che nella villetta era accaduta «una cosa gravissima». Poi è entrato nell’appartamento del padre, al secondo piano di una villetta nella periferia di Verona. Luigi Fusini era in camera e suo figlio ha atteso il momento giusto per ucciderlo. Quando la badante che assisteva l’anziano è andata in bagno, lui ha aperto il fuoco. Tre colpi, che non gli hanno lasciato scampo. A quel punto ha telefonato alla polizia. «Venite subito…». Il resto è un copione già scritto: i tentativi di richiamarlo, le auto con i lampeggianti accesi in un’inutile lotta contro il tempo, le grida della badante. Infine, l’arma rivolta contro se stesso. E l’ultimo sparo. (di Andrea Priante)