Antonio Ascione, 44 anni, pizzaiolo, padre separato. Dopo anni di violenze e minacce, uccide l’ex moglie a coltellate. Condannato a 20 anni di carcere
Musile di Piave (Venezia), 24 Luglio 2024
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«Ho ucciso mia moglie, venite? Respira ancora, ma poco…» (il Gazzettino – 24 luglio 2017)
«Ho ucciso mia moglie, potete venire? Mandate anche l’ambulanza perché respira ancora, poco. Sono Ascione Antonio, lei si chiama Mennella Maria Archetta. Muovetevi». La telefonata la 112, smistata alla centrale di San Donà di Piave competente per territorio, arriva poco dopo le sette di ieri mattina. La voce di quello che, incapace di rassegnarsi alla fine del matrimonio, si è trasformato in un assassino non tradisce una particolare emozione. «Le ho dato tre coltellate». Due alla schiena e una nel costato sotto il seno, quest’ultima sarebbe stata quella letale. I sanitari del Suem 118, intervenuti con i carabinieri, si sono arresi solo dopo tre quarti d’ora. Hanno tentato l’impossibile per salvare la vita a quella che tutti chiamavano con il diminutivo di Mariarca, 38 anni, originaria di Torre del Greco (Na), come l’ex di 6 anni più grande. Ma gli sforzi per rianimarla purtroppo si sono rivelati inutili.
Non è chiaro se l’uomo abbia cercato di soccorrerla tamponando le ferite: pare che tra il materiale sequestrato dagli esperti della Scientifica, oltre al coltello da cucina impugnato dall’uomo, ci siano anche degli stracci intrisi di sangue. La tragedia si è consumata in camera. Mariarca è stata trovata agonizzate sul letto, seminuda. I due erano separati da oltre un anno, ma da un paio di settimane ospitava Antonio: non è escluso che dormissero insieme, ma solo perché non c’erano altre stanze oltre alla cucina e al bagno. Con lei vivevano anche i due figli, la femmina quasi quindicenne e il maschio di nove. Ieri non c’erano: finita la scuola sono andati dai nonni al mare in Campania…
«Quando parlava di Maria la chiamava sempre “mia moglie”» (il Gazzettino – 24 luglio 2017)
Addolorati, increduli ma soprattutto sconvolti per quanto accaduto. Loro sono i titolari del ristorante pizzeria Cucinamia, un elegante locale di via Mameli a due passi dalla centralissima piazza Marconi. Qui dallo scorso aprile Antonio Ascione lavorava come pizzaiolo. Un incarico svolto fin dal primo giorno sempre nel migliore dei modi. Sempre puntuale al lavoro, mai una parola fuori posto e mai un problema con i colleghi o con i clienti. Nulla, insomma, che potesse far presagire quanto accaduto ieri mattina, all’interno dell’appartamento di via Dante a Musile, dove il pizzaiolo ha ucciso a coltellate l’ex moglie Mariarca. Dal locale viene sottolineato come in questi mesi non ci sia stato nulla che potesse far immaginare una simile tragedia, anche perché nessuno sapeva che la coppia in realtà era separata: «Antonio non ci aveva mai detto che erano separati, non ne sapevamo nulla aggiungono i gestori del locale lei con i figli è venuta più di qualche volta a mangiare la pizza: sembravano uniti e quando parlava di Maria la chiamava sempre “mia moglie”»…
Ha ucciso l’ex moglie trascinato da «una sorta di delirio» dopo aver letto dei messaggi Whatsapp tra lei e il suo nuovo partner. Sono state depositate le motivazioni della sentenza con la quale Antonio Ascione, lo scorso 4 ottobre, è stato condannato a venti anni di reclusione (in virtù del rito abbreviato) per l’assassinio della ex moglie 38enne Maria Archetta Mennella. Il pizzaiolo secondo i giudici non ha agito «con animo freddo» la mattina del 23 luglio 2017, in cui si è consumato il delitto a Musile di Piave (Venezia).
Un verdetto che sarebbe potuto essere molto più pesante se la legge sull’inapplicabilità dell’abbreviato ai delitti puniti con l’ergastolo, approvata lo scorso novembre, non fosse giunta troppo tardi. La donna, di origini campane come l’ex marito, si era trasferita al Nord per trovare lavoro e per allontanarsi dal consorte. Ma lì è stata raggiunta e poi assassinata. Nelle motivazioni il giudice del Tribunale di Venezia Massimo Vicinanza usa toni durissimi: Ascione «ha provocato volontariamente la morte della moglie» che è stata colpita da numerose coltellate «quand’era ancora a letto, all’interno della sua camera, nelle prime ore del mattino, intorno alle 7, pochi minuti dopo essersi svegliata».
E ancora: «Ascione ha colpito la povera Mennella in modo a dir poco vigliacco...se l’azione delittuosa è stata caratterizzata dalla viltà, il comportamento successivo (l’invio di una lettera alla figlia con il pin del telefono della madre per consentire alla 15enne di controllare la nuova relazione della madre, ndr) si connota per riprovevolezza non solo morale, perché incide anche sul danno che già era stato provocato ai figli». A pesare sul verdetto è stato il fondamentale mancato riconoscimento di due aggravanti: i futili motivi e la premeditazione.
La famiglia della donna, difesa dall’avvocato di parte civile Alberto Berardi in collaborazione con lo Studio 3A, si è sempre lamentata dell’inadeguatezza della pena. «Il nostro sistema giuridico – hanno commentato i familiari della vittima – tutela in modo sproporzionato i colpevoli e troppo poco le vittime e i loro familiari. un sistema che spinge a farsi giustizia da soli». «Parlerò con il pm – annuncia l’avvocato della famiglia Mennella Alberto Berardi – per capire se ha intenzione e se vi siano i margini per impugnare la sentenza, che sicuramente sarà impugnata in sede civile».
«Ascione fu subdolo, vigliacco e violento»: le motivazioni della condanna all’assassino (Venezia Today – 7 gennaio 2019)
Dura la valutazione del giudice nei confronti del killer di Mariarca Mennella. I trent’anni di pena sono stati ridotti di un terzo per il rito abbreviato
Sono state depositate le motivazioni della sentenza (20 anni di reclusione) nei confronti di Antonio Ascione per l’assassinio dell’ex moglie Maria Archetta Mennella, che abitava a Musile di Piave. È stata esclusa l’aggravante dei futili motivi, perché Ascione, «una volta accertatosi della nuova relazione che lei aveva intrecciato con un collega di lavoro, e compreso che qualsiasi progetto di ripristino della relazione coniugale era impossibile, ha avuto l’impulso di uccidere e ad esso non si è sottratto»; e anche quella della premeditazione, perché «non ha mai agito con animo freddo e con la possibilità di ponderare il recesso del proposito, visto che proprio la lettura dei messaggi WhatsApp (tra l’ex moglie e il nuovo partner, ndr) lo avevano gettato in una sorta di delirio». Riconosciuta invece la sussistenza delle aggravanti del delitto commesso in danno del coniuge e della minorata difesa. Rigettate le attenuanti generiche invocate dall’avvocato difensore di Ascione.
Subdolo e violento. Duri i toni usati dal giudice del tribunale di Venezia, Massimo Vicinanza, secondo il quale Ascione «ha agito in modo subdolo, perché da un lato ha mostrato di accettare la scelta della moglie di porre fine alla relazione coniugale, dall’altro non ha fatto altro che controllarne la vita, l’ha spiata, insultata, minacciata, l’ha ricattata anche utilizzando i figli minori, arrivando addirittura a perorare il suo licenziamento e quello di chi lavorava con lei»: il killer pretendeva con insistenza che i titolari del negozio nell’outlet di Noventa di Piave dove Mariarca lavorava la licenziassero e lasciassero a casa pure due giovani colleghi, al punto che la direttrice del punto vendita aveva presentato un esposto al commissariato di polizia.
Minacce. La mattina del 19 luglio 2017 la vittima, in un massaggio whatsApp all’ex marito, si lamentava con lui scrivendogli: «uno, io non sono pazza; due, il mio privato non ti interessa; tre, hai violato la mia privacy leggendo le chat di wapp; quattro, mi hai mi minacciata con un coltello». Per inciso, Ascione è stato dichiarato colpevole anche del reato di minaccia aggravata, per il quale avrebbe avuto una ulteriore pena di sei mesi (nove meno i tre dell’abbreviato) «che sarebbe da porre in aumento con quella principale», recitano le motivazioni, se non fosse che «la pena da applicare per il concorso dei reati non può essere in ogni caso superiore ad anni trenta di reclusione, diminuita per il rito». È grazie alla scelta del rito abbreviato, infatti, che Ascione ha ottenuto lo sconto di pena arrivando alla pena di vent’anni di carcere.
Non solo. «Proprio con la figlia – prosegue il giudice – Ascione dopo il delitto ha tenuto la condotta peggiore, con l’invio di una missiva con la quale rivelava il pin del telefono della madre affinché la quindicenne potesse essa stessa controllare la nuova relazione della mamma: una lettera veramente ignobile, che contiene anche accuse alla povera Mennella, madre (assassinata) di chi di quella lettera era destinataria». Per il giudice «Ascione ha colpito la povera Mennella in modo a dir poco vigliacco, quando la donna stava ancora a letto, appena cessato il riposo notturno (…), ha abusato dell’ospitalità nella casa dell’ex moglie, piegandola a una sorta di perenne controllo, e ha persino avuto la pretesa di giustificare il proprio gesto inviando quella lettera alla figlia e mettendo in risalto quella che era stata la “colpa” della madre. Pertanto, se l’azione delittuosa è stata caratterizzata dalla viltà, il comportamento successivo si connota per riprovevolezza non solo morale, perché incide anche sul danno che già era stato provocato ai figli».
Pena e risarcimento inadatti, Insomma, le motivazioni inchiodano l’imputato alle sue responsabilità ma la pena inflitta è considerata da molti insufficiente. «Il limite sta nella legge – ha commentato l’avvocato di parte civile Alberto Berardi, che assiste i familiari della vittima con la collaborazione di Studio 3A -. Parlerò con il Pm per capire se ha intenzione e se vi siano i margini per impugnare la sentenza». Penalmente non può proporre ricorso, ma ha annunciato di volerlo fare in sede civile perché «anche il risarcimento disposto dal giudice è scarno» (50mila euro per ciascuno dei due figli minori, 30mila per la madre di Mariarca e 20mila per ognuno dei cinque fratelli, oltre a tremila euro per l’associazione “Bon’t Worry – Noi Possiamo Onlus”).
La famiglia: «Indignati». «Ascione non ha solo ammazzato in modo proditorio e brutale nostra sorella, ma le ha reso la vita un inferno, sia durante il matrimonio, sia dopo la separazione: la picchiava, non pagava gli alimenti per il mantenimento dei figli, causandole gravi difficoltà economiche, la controllava, la opprimeva, come uno stalker. Tutte circostanze che vengono ben evidenziate nelle motivazioni della sentenza. Ciò che indigna è che a una persona del genere, a fronte di tutto ciò che ha commesso, siano state concesse tutte queste agevolazioni». Così commentano le sorelle e il fratello di Maria Archetta Mennella.
L’uomo, nel 2017, uccise la ex Maria Archetta Mennella nella sua casa di Musile. La sorella della vittima: «È una pena troppo bassa»
È confermata la pena a vent’anni di reclusione per Antonio Ascione, accusato dell’omicidio di Maria Archetta Mennella, mentre sono stati triplicati i risarcimenti per i familiari della vittima, tra cui i due figli minori. La sentenza è stata pronunciata oggi, 12 dicembre, dalla prima corte penale della Corte d’Assise d’Appello di Venezia, presieduta dal giudice Antonio Liguori. Ascione, pizzaiolo di Torre del Greco, il 23 luglio 2017 uccise l’ex moglie di 38 anni, anche lei torrese, nella casa di Musile di Piave dove la donna si era trasferita con i figli dopo la separazione dal marito.
La sentenza. I giudici hanno mantenuto interamente l’impianto della sentenza di primo grado, risalente al 4 ottobre 2018, respingendo sia il ricorso dal pm titolare del procedimento (ovvero il riconoscimento dell’aggravante dei futili motivi), sia quello della difesa: sono stati, cioè, confermati gli episodi delle minacce con il coltello pochi giorni prima del delitto e l’aggravante della minorata difesa della vittima, visto che Mariarca è stata accoltellellata mentre si trovava ancora a letto, all’alba. La vicenda processuale dovrebbe concludersi qui: la difesa, a meno di ripensamenti, non farà ricorso in Cassazione. Assunta Mennella, sorella di Mariarca, ha commentato: «Vent’anni sono pochi, per me chi uccide una persona dovrebbe andare in carcere a vita, senza neanche processo. Speravamo nell’ergastolo o in trent’anni, ma purtroppo la legge è questa».
Risarcimenti. Ci sono delle novità, invece, nella responsabilità civile, perché è stato accolto l’appello proposto dalle parti civili rappresentate dall’avvocato Alberto Berardi, con la collaborazione della società Studio3A-Valore: la nuova sentenza ha infatti triplicato le provvisionali immediatamente esecutive stabilite in origine, stabilendo un risarcimento di 150mila euro (contro 50mila) per i due figli della coppia, di centomila euro (contro 30mila) per la mamma di Maria Archetta Mennella e di 60mila euro (contro 20mila) per le sorelle e il fratello. Berardi ha espresso «soddisfazione per l’accoglimento completo dell’appello», ma ha anche evidenziato «l’amarezza dei nostri assistiti per una pena sproporzionata all’entità del crimine»: il rito abbreviato, infatti, ha permesso ad Ascione di beneficiare dello sconto di un terzo della pena.