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Deborah Rizzato, 25 anni, operaia tessile. Uccisa con sette coltellate alla schiena dall’uomo che l’aveva violentata dieci anni prima e continuava a perseguitarla, mentre lei continuava a denunciarlo, invano

Biella, 22 Novembre 2005

 


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L’uomo bloccato a Genova. «Sono il cugino della Franzoni». Tre ore dopo sorrideva alle telecamere come un matto o un simulatore
«Oh, ma lo sapete chi sono io? Sono il cugino di Annamaria Franzoni, abito a Cogne. E ho delle bombe in macchina: saltiamo tutti in aria…». L’uomo era indignato: due auto speronate mentre cercava di sfuggire contromano a un vigile motociclista, 3 feriti leggeri, «mi portate dentro solo per questo?». Ma la foto segnaletica era la sua: Santangelo Emiliano, classe 1973, ricercato per l’omicidio di Rizzato Debora, 24 anni. Che aveva firmato l’ultima denuncia contro di lui, per minacce, lo scorso 22 ottobre, e il foglio della denuncia era ancora sulla sua auto rubata dall’assassino. Così, nonostante i suoi calci, hanno bloccato l’uomo a terra. Ha cercato di saltar giù dall’ambulanza: «Mi voglio ammazzare». Tre ore dopo sorrideva alle telecamere. Come un matto, o un simulatore. «L’omicidio? – aveva detto prima -. Non so, di ieri non ricordo nulla». Così, a Genova, è finita la fuga del presunto assassino di Treviano, nel Biellese, fermato mentre guidava l’auto di Debora.
Ma non è certo finita la storia incredibile, 10 e più anni di persecuzione, che ha intrecciato la sua vita a quella della sua vittima, mozzata da 7 coltellate alla schiena. Adesso grida tutta la famiglia di Debora. La madre, Gina: «Lo sapevano tutti chi era lui». La sorella, Simona: «Sola, Debora l’hanno lasciata sola. Qualche nostro amico le faceva da guardia del corpo. Ma gli altri? I medici, i magistrati? Quante denunce. Solo domenica notte avevamo ricevuto le ultime telefonate di quell’uomo. E l’altro ieri, il giorno dell’omicidio, l’ultima lettera: “Alla signorina Debora Rizzato…”. Forse l’ha messa lui nella cassetta. Le telefonate le abbiamo registrate. E quelle lettere? Anche sulla carta di uno studio legale, ma firmate da lui. E sms sul cellulare di Debora. “Io ti ammazzo, a te a tua madre” (a fine ottobre); “ti inseguo, ti faccio sparire la macchina” (e così poi ha fatto); “non presentarti con tua madre al processo, vi riderò in faccia” (come ha riso ora). Debora diceva: smetterà. Ma era disperata. Abbiamo copiato e portato ogni parola alla polizia, per anni: niente. All’ultimo processo, in agosto, Debora esce dal tribunale e trova la macchina rigata, le ruote a terra. Ora voglio guardarlo negli occhi. Deve pagare. Ci hanno anche detto che gode di una pensione sociale, di semi-invalidità o qualcosa del genere: ma come è possibile, se non era mai stato dichiarato pazzo? Comunque mia sorella è stata lasciata sola».
La biografia di Santangelo è un romanzaccio nero: denunce dal 1995 al ’97, galera per 3 anni e 2 mesi (violenza su Debora e altre ragazze), poi altri 9 mesi in cella, altre denunce a Ivrea, Biella, Vercelli, Torino; fuga dagli arresti domiciliari, ancora verso Genova. Reati sessuali: contro 2 «cubiste», contro una ragazza e la madre, e contro quelle 4 minorenni: Debora, B., altre due. B., 15 anni, figlia di un professionista, ha una relazione con l’uomo: vanno in un albergo, lui gira un filmino porno. Sono «fidanzati», dice a tutti: per la legge, su una minorenne, questa è violenza carnale. Il nome di Debora, in tutto ciò, entra solo come vittima marginale. Però è lei che calamita quell’ossessione di morte. C’è un processo fissato per il 26 gennaio. A Biella: minacce e violenza privata, imputato Emiliano Santangelo.

 

La storia di Debora, uccisa dall’uomo che l’aveva violentata dieci anni prima (FanPage- 3 agosto 2017)
Debora Rizzato, operaia di 24 anni, è stata uccisa con sette coltellate alle spalle dall’uomo che l’aveva violentata quando aveva 14 anni. Dopo lo stupro la persecuzione durata dieci anni e culminata nell’agguato omicida. Aveva denunciato le molestie del suo aguzzino più volte, ma i carabinieri dicevano di avere “le mani legate”.
I paesi della fredda vallata biellese, in Piemonte, sono centri residenziali che vivono di piccola imprenditoria, popolati di mobilifici, opifici e fabbriche tessili. In quella zone, negli anni Novanta, girava un corpulento ragazzo dagli occhi scuri, noto per importunare le ragazze del posto. Era aggressivo, violento, molesto: Emiliano Santangelo, era finito nei guai anche per piccolo reati, ma in zona tutti sapevano che la sua ossessione era diretta a una ragazza in particolare: Debora Rizzato.
Violentata a 14 anni. Bionda, occhi chiari, delicata, era una ragazzina dolce e gentile che abitava a Cossato (Biella). Era poco più di una bambina quando, dopo averla molestata più volte, Santangelo l’aggredì e la violentò. Era il 1995, la famiglia Rizzato sporse denuncia, mentre l’uomo continuava a minacciare la ragazza: “Ritira la denuncia o ti ammazzo”. Poi venne condannato a tre anni di reclusione, che scontò. Quando si lasciò alle spalle le porte del carcere era più disturbato e violento di prima. Fu ricoverato all’ospedale San Maurizio Canavese con la diagnosi di disturbo di personalità multipla, poi andò in cura presso il centro di igiene mentale di Ivrea. Uscito tornò nella casa di Carema, nel Torinese dove viveva a pochi passi da quella della madre.
La persecuzione “Devi stare con me”, urlava a Debora, mentre andava blaterando in giro che fosse la sua ragazza. Intanto, lei era diventata una donna e aveva trovato lavoro in uno stabilimento tessile in località Fila di Traviano, a 30 chilometri da casa, in montagna. Si guardava le spalle, Debora, cercava di difendersi come poteva dal suo stalker, che, oltre a molestare lei, minacciava anche la sua famiglia. A ogni episodio Debora andava in caserma a informare i carabinieri, ma a fronte di un ‘archivio’ zeppo di denunce, si sentiva rispondere sempre la stessa cosa: “Non possiamo intervenire, abbiamo le mani legate”. Bisognava che succedesse qualcosa e alla fine qualcosa successe.
L’agguato.
Il 22 novembre 2005, di buon mattino, Debora guidò fino alla fabbrica, scese dall’auto e si guardò intorno come faceva sempre. Il parcheggio era deserto e tranquillo, allora imbracciò la borsa e si incamminò verso l’ingresso. Nascosto in un’auto presa a prestito per l’agguato, c’era lui: Emiliano Santangelo, il suo aguzzino. Scese dall’auto e si avventò su Debora, che non ebbe il tempo di accorgersi che l’uomo era dietro di lei, armato di coltello. Pochi minuti dopo era riversa sull’asfalto in una pozza di sangue. Quando i passanti chiamarono i soccorsi, scambiandola per una vittima della strada, ormai era troppo tardi. I carabinieri non impiegarono molto a identificare e incriminare il suo assassino: conoscevano il suo nome da quando l’aveva stuprata dieci anni prima. In paese quella morte non meravigliò nessuno, tutti sapevano che Santangelo era profondamente disturbato e ossessionato da quella ragazza. L’allora ministro della Giustizia, Roberto Castelli, porse le scuse dello Stato alla famiglia di Debora.
L’epilogo Santangelo fu condannato per omicidio. Si è tolto la vita nel carcere di Biella, a 33 anni, dopo un anno di detenzione.

 


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