Tiziana Falbo, 37 anni. Uccisa dal compagno che l’ha prima strangolata e poi le ha conficcato un cacciavite in gola
Montalto Uffugo (Cosenza), 14 Novembre 2010
Titoli & Articoli
Strangolata in casa dopo una lite (il Mattino di Padova – 16 novembre 2010)
Il convivente prima fugge, poi confessa alla Polstrada
E’ stata strangolata dopo una lite. Una lite furiosa che ha lasciato i suoi tragici segni sul pavimento della cucina. C’erano le tracce della colluttazione insieme al corpo di Tiziana Falbo, 37 anni, originaria di contrada Rocchi a Rende ma residente a Montalto Uffugo. C’erano i telefonini. Uno rotto, con la batteria staccata volata a qualche metro. E c’erano oggetti di casa tutti sparsi attorno al corpo senza vita. Una scena che si è mostrata in tutta la sua drammaticità agli occhi della madre della ragazza e del cognato, ieri mattina intorno alle 11.
A uccidere la donna, sarebbe stato il convivente Nicola Sorgato, 50 anni di Bologna, ma nato a Padova: lo ha confessato lui stesso. Fermato ieri mattina a Bologna dalla Polizia Stradale emiliana per una violazione al codice della strada, Sorgato è crollato subito. Alla vista degli agenti ha raccontato di essere tornato a Bologna, dalla sorella, perché aveva ucciso la sua convivente in Calabria con un cacciavite (particolare smentito dal fatto che il cadavere non presenta ferite bensì segni evidenti di strangolamento). Increduli, i poliziotti hanno immediatamente informato i carabinieri di Montalto Uffugo.
Quasi in contemporanea la scoperta del decesso da parte dei familiari che, una volta aperta la porta dell’appartamento si sono trovati davanti agli occhi il cadavere Tiziana Falbo. Ad avvertire i familiari erano state le colleghe di lavoro di Tiziana che da anni era impiegata al call center Pitagora di Rogliano. Proprio tramite il lavoro la giovane donna aveva conosciuto Nicola Sorgato. Quel compagno che per stare con lei aveva lasciato a Bologna moglie e la figlia, e che da tempo lei aiutava economicamente visto che non lavorava più da un anno. Con la nuova automobile, una Fiat Punto Evo grigia, acquistata con tanto sacrificio dalla donna, Nicola Sorgato la accompagnava ogni giorno agli uffici del Pitagora. Per quanto lui non fosse accettato dai familiari perché non lavorava, i due non sembra che fossero in rotta. Anzi, proprio domenica allora di pranzo, verso le 13, la madre di Tiziana, era andata a trovarli e li aveva visti ripulire casa e sistemare i mobili insieme. E questa l’ultima volta che la vittima è stata vista in vita. Poi più nessun segno. Tiziana non ha più risposto alle telefonate dei parenti fin dalla sera di domenica. Un particolare che non aveva destato apprensione. Come invece è successo ieri mattina tra i colleghi di lavoro. Non vedendola arrivare, come sempre puntuale, si sono allarmati. E per non terrorizzare la madre di Tiziana, hanno chiamato il cognato Franco.
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In memoria di
“LA GRAVITA’ DI UNA PENA MITE” di Gianpiero Calabrese – Lettera a Tiziana (Qui Cosenza – 19 dicembre 2012)
“Da anni svolgo la professione di avvocato, professione che ritengo fra le più importanti e delicate atteso che qui (come in altre forse più importanti professioni quali quelle mediche) vi è un contatto, una relazione con il proprio assistito che va oltre il semplice e puro rapporto professionale. Voglio dire che quando, come nel mio caso, si è avvocato penalista le tematiche, le questioni le problematiche non solo squisitamente professionali ma anche quelle morali e sociali sono fortissime e come tali il loro peso è di difficile sopportazione.
Ebbene ultimamente ho dovuto rappresentare in sede di Giudizio abbreviato la famiglia della vittima una ragazza di 37 anni che è stata brutalmente assassinata dal compagno solo perché la povera ragazza aveva deciso di chiudere la relazione. Tralasciando i fatti processuali, e quanto direttamente collegato a questo ed alla decisione del Giudice, rimango, però, esterrefatto dall’entità della pena comminata: 16 anni di reclusione. La vita umana vale 16 anni? Perché una pena così bassa? a) Perché il giudizio abbreviato è un giudizio “premiale”, ovverosia lo Stato Italiano, il legislatore, per incentivare l’assassino a scegliere un rito veloce, consente una riduzione secca della pena dall’ergastolo a 30 anni da una reclusione non inferiore a 21 anni a 16 anni. Il legislatore per evitare lo svolgimento di “lunghi e costosi” processi in Corte di Assise “incentiva” l’assassino a scegliere un diverso tipo di giudizio; l’abbreviato. In definitiva lo Stato Italiano, evita costi e lungaggini a discapito ed a spese della vittima che è due volte offesa e uccisa, la prima volta dal suo effettivo assassino, la seconda da quello Stato che dovrebbe tutelare o quanto meno rassicurare su una giusta “punizione” del suo carnefice. Povera Tiziana. b) Per il Giudice dimentica l’esatta applicazione delle norme del c.p.p. e del c.p. difatti ormai l’art. 133 c.p. che recita: “Gravità del reato; valutazione agli effetti della pena” non è per nulla considerato, valutato ed applicato. Non si valutano per determinare la gravità del reato: la natura; i mezzi, l’oggetto; il tempo, la gravità del danno, l’intensità del dolo, e quindi si giunge a condannare Nicola Sorgato a 16 anni per aver ucciso Tiziana Falbo, prima strangolandola e poi conficcandole un cacciavite in gola. Povera Tiziana uccisa due volte. Poiché il sottoscritto ha dovuto spiegare il perché di tutto questo alla famiglia della povera Tiziana, a quella madre che ha trovato la figlia morta a terra; ha dovuto farsi carico di questo pesante fardello, al sottoscritto spetta chiedere scusa anche a Tiziana. Scusa Tiziana”.
La lettera di Paolo, collega e amico di Tiziana, a InQuantoDonna
Ero collega di lavoro di Tiziana, ma quel maledetto giorno ho perso anche un’amica. Non mi do pace per la profonda ingiustizia di questa vicenda e voglio esprimervi la mia riconoscenza per averle restituito un briciolo di testimonianza pubblica.
Le parole sono drammaticamente misere quando cercano di fissare nella memoria il significato di tutta una vita. Ma solo quelle abbiamo. Ne scrissi alcune pochi giorni dopo la sua morte, per cercare di trasmettere il senso della nostra impotenza ai colleghi e amici di Tiziana.
“Vi sono circostanze enormi, al cospetto delle quali le parole affondano. Vi sono momenti nei quali non dovremmo violare il silenzio, unica descrizione degna del dolore. Le parole sanno essere di sconcia inadeguatezza, di fronte all’irreparabile. Ciò nondimeno vi userò per un istante questa violenza, parlandovi dell’indicibile, perché questa è l’unica forma di consolazione di cui dispongo. So che lei, bonariamente, lo avrebbe tollerato.
Voglio pensare a Tiziana senza confonderne il ricordo con il dramma di queste ore. La sua esistenza è stata altro, ed è profondamente estranea all’immonda cronaca del suo omicidio. Tiziana deve essere preservata da questo schifo. La sua vita è stata spezzata, lo so. Ma non accetto di sentir parlare di una vita tragica, o peggio incompiuta. Non si può fare la contabilità dei suoi 37 anni e parlare di speranza tradita, come se lei fosse vissuta invano, come se quei suoi anni non li avessi arricchiti e dilatati di tutta la passione di cui era capace; come se non li avessi condivisi con noi e con tanti altri che come noi le vogliono bene. Non è giusto farle questo torto, noi non dobbiamo permetterlo.
Tiziana ha vissuto una vita piena, è stata una donna anche felice, ha sperato e creduto, non diversamente da tutti noi che vivremo ancora altro tempo. Voi tutti, come me, sentite con stupore il grande vuoto della sua assenza. Tiziana ci manca incredibilmente perché, senza consapevolezza, ci ha segnato. Questo lo può fare solo un’anima grande. Ed è in questo che si misura una vita, non in anni.
Ho avuto il privilegio di conoscerla, di godere del suo sorriso, di affezionarmi a lei, di esserne ricambiato. In Tiziana batteva un grande cuore. Nel mio ci porterò lei. Porterò Tiziana con me, insieme a tutti voi.”
L’assassinio non si porta via solo la tua vita – e quella dei tuoi familiari – si porta via anche il senso che hai avuto nel mondo. La donna che sei stata viene sostituita con l’immagine di te come vittima. Un caso di cronaca. Come se la tua vita fosse predestinata. E tu non estranea al tuo destino. Che oscenità.
C’è qualcosa che non funziona nel sentimento sociale dinnanzi a questi fenomeni. Qualcosa che si è perso, o forse che non si mai fatto abbastanza strada. L’omicidio è anche un atto contro l’umanità tutta, ed è il più grave che si possa concepire. La pena non potrà mai essere inumana a sua volta. Ma certo non dovrà essere neppure una farsa, come in questo caso. Chi in Italia parlò dei delitti e delle pene regalando al mondo una lezione di civiltà, affermò anche che una società che punisce l’omicidio nella stessa misura di un piccolo reato smarrisce la propria coscienza. Non vi è coscienza nell’ammassare i carcerati in cella come bestiame, così come non ve n’è alcuna nel lasciare libero un assassino. Il senso di giustizia si ribella ad entrambe le cose, perché entrambe attentano alla dignità umana.
Ancora grazie per quello che fate.
Paolo