Tanja Dugalic, 33 anni, operaia, mamma. Uccisa con una raffica di colpi in strada dal marito denunciato ed evaso dai domiciliari
Lonigo (Vicenza), 7 Settembre 2018
Titoli & Articoli
Vicenza, evade dai domiciliari, uccide la moglie e fugge: poi si suicida (TgCom24 – 7 settembre 2018)
L’uomo di 40 anni aveva il divieto di avvicinarsi alla donna e alla sua abitazione
E’ morto l’uomo che ha ucciso la moglie in provincia di Vicenza, per poi darsi alla fuga. Zoran Luivanovic, 40 anni, serbo come la vittima, Tamiya Dugalic, 32, si era dileguato dopo l’omicidio, avvenuto a Lonigo, nella zona industriale. E’ stato poi rintracciato nell’area di servizio di Arina (Venezia) dell’autostrada A4, dove ha rivolto contro di sè la stessa arma che aveva usato per assassinare la donna. L’uomo si è sparato un colpo in bocca. I medici che sono intervenuti nell’area di servizio hanno tentato di tenerlo in vita e lo hanno trasferito, in elicottero, all’ospedale di Padova, dove è stato dichiarato il decesso.
Divieto di avvicinamento e domiciliari – All’uomo era stato notificato il divieto di avvicinarsi alla donna e alla sua abitazione di Orgiano, dopo una serie di soprusi e aggressioni. Il serbo aveva dunque dovuto lasciare la casa di famiglia, trasferendosi a una decina di chilometri di distanza, a Lonigo. Ma le aggressioni e le violenze verso la ex compagna erano continuate, tanto da far scattare i domiciliari, misura che il serbo non aveva rispettato. I carabinieri non avevano infatti più notizie di lui da metà luglio.
Uccisa in auto – Secondo le prime ricostruzioni, l’uomo stava accompagnando la moglie al lavoro in auto quando tra i due è scoppiata l’ennesima lite. Luivanovic si è fermato, è sceso dal veicolo, si è avvicinato al lato passeggero e ha esploso contro la donna tre colpi di pistola, due al petto e uno alla testa, per poi fuggire a piedi. All’omicidio hanno assistito almeno due persone: una delle due è scappata e l’altra, sotto shock, non ha avuto la forza di chiamare le forze dell’ordine. A dare l’allarme è stato un operaio di una fabbrica vicina, che ha notato il cadavere insanguinato a terra e i bossoli dei proiettili.
Vicenza, uccide la compagna a colpi di pistola e scappa. Poi si uccide (la Repubblica – 7 settembre 2018)
L’uomo, Zoran Luivanovic, di origini serbe, era già stato arrestato per violenze ed evaso dai domiciliari. Dopo la fuga, si è sparato un colpo in bocca
È finita con un colpo di pistola in bocca la fuga dell’uomo che stamattina ha ucciso la compagna nella zona industriale di Lonigo, in provincia di Vicenza. Zoran Lukijanovic, 40 anni, di origine serba, ha rivolto l’arma contro di sé nell’area di servizio di Arino (Venezia) dell’autostrada A4. Alla vista di una pattuglia della Polstrada ha sparato due colpi in aria, a scopo intimidatorio, prima di esplodere il terzo contro di sé. I medici che sono intervenuti hanno tentato invano di tenerlo in vita, tentando il trasferimento con un elicottero all’ospedale di Padova, dove poi è morto.
L’uomo era fuggito facendo perdere le tracce, dopo aver sparato tre colpi di pistola alla compagna Tamiya Dugalic, 32 anni, anche lei serba. L’omicidio è avvenuto all’interno dell’auto con il quale la stava accompagnando al lavoro. Durante il viaggio tra i due è scoppiata l’ennesima lite. L’uomo si è fermato, è sceso dalla macchina, si è avvicinato al lato passeggero e ha esploso contro la donna tre colpi di pistola, due al petto e uno alla testa, con una 7.65 semiautomatica. Quasi una esecuzione. Poi ha gettato il cadavere a terra ed è fuggito a piedi.
All’omicidio hanno assistito almeno due persone. La prima è scappata spaventata dai colpi di pistola, la seconda, sotto choc, non ha avuto la forza di chiamare subito le forze dell’ordine. A dare l’allarme è stato un operaio di una fabbrica vicina che ha notato il cadavere insanguinato a terra e i bossoli dei proiettili. Del caso si sta occupando il pm Maria Elena Pinna.
L’uomo era evaso lo scorso luglio dagli arresti domiciliari, misura disposta dall’autorità giudiziaria per violenze contro la moglie. La donna è stata soccorsa da un’ambulanza del Suem 118, giunta dal vicino ospedale di Lonigo, ma per lei non c’era più nulla da fare. Sul luogo dell’omicidio sono presenti diverse pattuglie dell’Arma che hanno istituito posti di blocco in zona e nei comuni circostanti.
A Lukijanovic era stato in precedenza notificato il divieto di avvicinamento alla moglie e all’abitazione di questa, ad Orgiano, dopo una serie di soprusi e aggressioni. Il serbo aveva così dovuto lasciare la casa familiare, spostando a una decina di chilometri di distanza, a Lonigo. Nonostante il provvedimento cautelativo, le aggressioni e gli atteggiamenti violenti contro la compagna erano proseguiti, facendo scattare gli arresti domiciliari. Misura che l’uomo non ha però rispettato: l’Arma non aveva più sue notizie da metà luglio.
Femminicidio di Lonigo: Minacce, aggressioni poi l’ultimatum: «Torna o ti ammazzo» (Benedetta Centin e Andrea Priante su Corriere della Sera – 8 settembre 2018)
Zoran Lukijanovic, dalla cella alla riabilitazione fallita: i segnali della tragedia in agguato c’erano tutti
LONIGO «Devo tornare con lei, mi sento perso» ripeteva come un nastro rotto. Per lui il fallimento del matrimonio, l’impossibilità di ricucire lo strappo con l’ex moglie, era un’ossessione. Zoran Lukijanovic, nato in Serbia 41 anni fa ma con cittadinanza italiana, faceva l’autotrasportatore. Aveva sposato Tanja Dugalic in municipio a Orgiano, nel 2005. «Una coppia solare», racconta chi aveva assistito alle nozze. La loro bambina era nata nel gennaio del 2012 e quel giorno lui era tornato in Comune, stavolta per offrire pasticcini e Prosecco a tutti i dipendenti. «Mai visto un uomo così felice», ricordano.
L’inizio della crisi. Poi, però, la coppia era entrata in crisi. Lui, che ultimamente lavorava per una ditta di trasporti di San Bonifacio (Verona), era sempre in giro per l’Europa con il camion. Lei, a casa da sola. Quando Zoran tornava a Orgiano, i litigi si facevano sempre più frequenti, e già dal 2015 i servizi sociali avevano iniziato a interessarsi alla famiglia Lukijanovic. Il camionista non riusciva a rassegnarsi. «Senza di lei non poteva stare, si sentiva una nullità», racconta un’amica di Tanja. Fino a pochi mesi fa lavoravano nella stessa azienda di Lonigo, specializzata nella realizzazione di stufe. «Mi diceva che lui la picchiava», confida.
La denuncia. E infatti l’operaia lo denuncia per la prima volta il 17 ottobre dello scorso anno. Ma nella querela rivela che i primi episodi di maltrattamenti risalivano addirittura a una dozzina di anni fa. Insulti, all’inizio. Poi una sfilza di aggressioni e minacce, più frequenti col passare del tempo. Il documento con il quale la procura di Vicenza ne chiede il giudizio immediato è angosciante: il 6 ottobre 2014 l’afferra per il collo gettandola a terra; il 6 febbraio 2017 le urla: «Io ti uccido, mi hai distrutto la vita»; il 22 settembre le dice: «Ogni giorno penso a cosa devo fare. Muori una buona volta!»; il 2 ottobre: «Ti dico che uno di noi due deve morire. Non mi frega niente per la mia vita, ma non andrà bene neanche a te»; il 19 novembre: «Ti uccido con un coltello mentre dormi, ti avveleno il cibo…».
Il divieto di avvicinamento. È a quel punto che la donna ottiene un provvedimento che vieta all’uomo di avvicinarsi. E lui esplode: l’11 febbraio minaccia di farla finita se lei non avesse accettato di riprendere la relazione. Poi l’aggredisce colpendola con una testata al volto che le frattura il setto nasale e le stacca un dente. Tanja viene portata al pronto soccorso, mentre suo marito, sei giorni dopo, finisce in carcere. Ci resta fino a 5 aprile, quando ottiene i domiciliari a Lonigo. «Il giorno dell’arresto di Zoran – ricorda l’amica della vittima – l’ho incontrata. Mi disse che quell’uomo le faceva ancora paura…». Aveva ragione: la furia di Lukijanovic non si ferma.
A luglio torna alla carica, stavolta con una serie di messaggi alla moglie, che nel frattempo – il 16 giugno – ha ottenuto la separazione: «Se non torniamo assieme mi ammazzo e ammazzo te». Quanto basta per spingere la procura di Vicenza a chiedere un aggravamento della misura cautelare: il camionista doveva tornare in carcere. Ma è allora che l’uomo evade dai domiciliari e inizia la sua latitanza, durata fino a ieri mattina, quando ha ucciso l’ex moglie.
Il difensore dell’uomo. L’avvocato Paolo Pellizzari, che difendeva il killer dalle accuse di maltrattamenti e lesioni, è convinto che il caso non sia stato affatto sottovalutato dalle autorità: «Lukijanovic aveva intrapreso un percorso di riabilitazione con uno psichiatra e uno psicologo, ed era seguito anche dai servizi sociali, grazie ai quali riusciva a vedere la figlia». Una bimba che, a causa di quel padre, ora è rimasta orfana. Le rimane soltanto la nonna materna, che ieri non l’ha lasciata neppure un istante.
Dopo l’omicidio voleva rapire la figlia di 6 anni (Diego Neri su Giornale di Vicenza – 8 settembre 2018)
«Erano tanti anni che quell’uomo terrorizzava la mia famiglia. Mia figlia temeva che prima o poi l’avrebbe uccisa. È sconvolgente, nulla ha potuto fermarlo. Voleva anche rapire sua figlia, per fortuna non gli ho aperto». A raccontarlo ai carabinieri è stata la madre di Tanja Dugalic, la vittima del femminicidio di Lonigo.
Dopo aver ucciso la moglie, Zoran Lukijanovic, 41 anni, ha raggiunto a piedi la sua auto, posteggiata poco lontano, e si è messo in marcia verso Orgiano. Intorno alle 9 ha suonato al campanello della sua vecchia abitazione, dove c’erano la bimba di 6 anni, che lui non vedeva da tempo, e sua suocera. È stata lei a sentire il campanello, a scorgere con orrore il profilo del genero e a non aprire. Quindi avrebbe contattato la figlia, senza ricevere risposta; non sapeva che era già morta. Poco dopo Zoran si è allontanato, fuggendo verso la morte per completare quel folle piano che aveva in testa quando, armato di pistola, è tornato in Italia dalla Serbia, dove era latitante. Ed è passata ancora qualche decina di minuti quando i carabinieri si sono presentati in via XXV Aprile per mettere in sicurezza nonna e bambina. In giro c’era un killer armato, temevano potesse fare una strage.
La crisi in famiglia, che ha origini antiche, ha ricostruito la suocera dell’assassino, era scoppiata quando sua figlia, nel 2013, per un grave problema di salute, aveva scoperto di non poter più restare incinta. Lui, arrabbiato perché non poteva dargli un maschio, era diventato talmente aggressivo e violento da costringere Tanja a lasciarlo. Una decisione che il killer non aveva voluto accettare.
Le denunce della vittima: «Zoran è cambiato, ora mi controlla. Voglio che finisca» (Andrea Priante su Corriere del Veneto – 11 settembre 2018)
Così a ottobre Tanja descriveva ai carabinieri il marito che l’avrebbe uccisa
«Zoran è cambiato», ripeteva Tanja Dugalic ai carabinieri che, nell’ottobre scorso, si ritrovarono questa 33enne in caserma, decisa a denunciare suo marito. Ai militari, la donna raccontò tutta la sua storia («Sono nata in Serbia e sono giunta in Italia nel 2005; lo stesso anno ho sposato Zoran Lukijanovic, abitiamo a Orgiano…») ma soprattutto confidò l’angoscia di vivere accanto a quell’uomo che undici mesi dopo, venerdì scorso, le avrebbe teso un agguato nella zona industriale di Lonigo (Vicenza) uccidendola con tre colpi di pistola, prima di suicidarsi.
Nella denuncia, che poi spinse il magistrato a emettere nei confronti del serbo un divieto di avvicinamento, Tanja spiegava ai carabinieri: «Ho deciso di rivolgermi a voi perché da anni sono vittima dei soprusi di mio marito, ai quali ho deciso di porre fine». Il linguaggio è quello sobrio e rigoroso degli atti giudiziari. Ma emerge la lenta discesa all’inferno della famiglia Lukijanovic. «I primi anni di matrimonio sono filati via lisci senza problemi, improntando il nostro rapporto di coppia nel reciproco rispetto. Poi, invece, Zoran è cambiato mostrando il vero volto del suo carattere – che fino ad allora era riuscito a mascherare – assumendo le sembianze di una persona avida, possessiva e violenta».
Il cambiamento. Fa risalire questo mutamento al 2007. «All’epoca facevo l’operaia e un giorno, improvvisamente, mio marito si era presentato sul posto di lavoro e mi aveva insultata pesantemente perché quella mattina avevo usato la sua auto per raggiungere l’azienda, come del resto avevo fatto anche in passato. Quella discussione mi aveva scosso, non solo per gli epiteti che aveva usato ma anche perché, da allora, ha iniziato a rivolgermi frasi sempre più ingiuriose».
I pedinamenti. Presto, le cose peggiorarono «ancora di più». «Controllava i miei spostamenti, rimproverandomi perché mandavo ciò che riuscivo a guadagnare ai miei genitori in Serbia. Mi accusava di ogni malefatta, anche quella di non avergli dato un figlio maschio, come se fosse dipeso dalla mia volontà...». Zoran la tormentava: voleva a tutti i costi un erede che tramandasse il suo cognome. Ne faceva un punto d’onore. Ma il destino aveva scelto diversamente. «Sono rimasta incinta nel 2011 e mio marito aveva sperato che si trattasse di un maschio. Quando ha saputo che era una femmina, aveva mostrato risentimento…». Non voleva saperne della bambina. «E la non accettazione di nostra figlia, ha eretto tra noi un vero e proprio muro, anche perché continuava a rimproverarmi di averlo distrutto e di non avergli dato quel maschio che desiderava».
Sempre peggio. Nell’appartamento di Orgiano, andava sempre peggio. «Nell’ottobre 2014, dopo aver accompagnato la bimba all’asilo, ho incontrato un’amica con la quale mi sono attardata a chiacchierare. Quando sono rientrata a casa, mi ha aggredita. Prima solo a parole, ma poi mi ha afferrata per il collo gettandomi a terra». Il parapiglia non era passato inosservato, e sul posto «giungevano i carabinieri di Sossano ai quali raccontavo l’accaduto. In seguito gli stessi militari avvicinavano mio marito per chiedergli conto dei fatti, e su loro consiglio ci calmavamo e io rientravo in casa». Ma ormai Tanja era terrorizzata. «Dopo quell’episodio ho preso contatto con il centro antiviolenza di Vicenza, anche perché Zoran faceva il camionista e durante la sua assenza per lavoro aveva iniziato a telefonare per insultarmi e minacciarmi. E lo stesso faceva nel fine settimana, quando tornava a casa…».
La richiesta d’intervento. La denuncia si chiude con una richiesta d’intervento, rivolta alle Autorità. Un appello che non restò inascoltato, visto che nei confronti di Lukijanovic fu subito emesso un divieto di avvicinamento. Ma il resto, è la cronaca emersa in questi giorni: lui che a febbraio la convince a incontrarlo e la massacra di botte, che finisce in galera, poi ai domiciliari e infine scappa in Serbia, dove è rimasto fino a giovedì, quando è rientrato per tendere l’agguato a Tanja, il mattino successivo. «Questa donna viveva in un clima di terrore intollerabile – riflette Elisabetta Borsatti, l’avvocato alla quale si era rivolta Tanja – una situazione di maltrattamenti che è andata peggiorando di giorno in giorno». Intanto, l’inchiesta si avvia alla chiusura. Lunedì è stata eseguita l’autopsia sull’uomo e ora si attendono gli accertamenti disposti dalla procura sull’arma da guerra utilizzata per l’omicidio.