Nataliya Holokvo, 43 anni, badante, mamma. Uccisa a coltellate dall’ex marito
Villa d'Adda (Bergamo), 17 Settembre 2008
Titoli & Articoli
“Nataliya aveva paura dell’ex marito, la minacciava” (Bergamo News – 17 settembre 2008)
La testimonianza e il ricordo di una stretta conoscente di Nataliya Holovko: “Una lavoratrice onesta, che non si chiudeva in casa, ma voleva imparare. Non aveva accettato di farsi mantenere, aveva voluto lavorare anche per mandare soldi alla sua famiglia in Ucraina. Da quando il suo matrimonio ha iniziato ad andare male temeva sempre di più Anacleto Roncalli“.
“Mi ha chiamato una conoscente, mi ha detto che hanno ucciso qualcuno nella casa di via Ca’ de Passeri. Ho subito pensato a Nataliya”: è in lacrime Chiara Varti (il nome è fittizio), amica di Nataliya Holovko , che chiamava Natasha, come le aveva chiesto la stessa colf ucraina uccisa a coltellate dall’ex marito mercoledì 17 settembre nel garage sotto casa. E’ in lacrime e chiede conforto ai carabinieri. Dall’omicidio e dall’allarme di una vicina ai carabinieri sono passate poco più di tre ore e Chiara non vuole crederci: “Alla fine è successa una cosa insensata, che però dovevamo temere, perché l’ex marito di Natasha aveva dato più di un segnale minaccioso, c’era di che preoccuparsi”.
Via Ca’ de Passeri è una via tranquilla, la strada che esce dal paese di Villa d’Adda e porta giù al fiume, al traghetto di Leonardo. Lì si è consumato l’omicidio, in quel garage non più utilizzato come box, ma come passaggio che porta all’ingresso di casa. Natasha viveva al primo piano, in un piccolo bilocale che aveva preso in affitto dopo essersi separata da Anacleto Roncalli.
“La conoscevo fin da quando era arrivata a Villa d’Adda, più di dieci anni fa – ricorda Chiara -. Fin dall’inizio ho capito che era una lavoratrice onesta, che voleva rifarsi una vita. In Ucraina aveva avuto due figli, Alexander (oggi 21 anni, ndr) e Nikita, di 16 anni, che viveva con lei qui. Alexander è un militare in Ucraina, si è sposato là, e la mamma gli mandava ancora dei soldi, teneva molto a lui. Era affezionatissima anche al suo Nikita, che aveva iniziato a lavorare a Milano, caparbio e onesto come sua madre”.
Dopo un primo matrimonio andato a monte in Ucraina, Natasha aveva cercato di rifarsi una vita in Italia. Durante un breve periodo a Milano aveva conosciuto Anacleto Roncalli, vedovo e padre di altri due figli. “Si era trasferita a Villa d’Adda e dopo qualche anno si era sposata con lui, circa sei anni fa – prosegue Chiara -. Il matrimonio sembrava iniziato bene, Anacleto aveva chiesto a me di aiutare Natasha a parlare meglio italiano. Ci vedevamo spesso e l’avevo conosciuta ancora meglio. I problemi sono iniziati quando, dopo due anni di matrimonio, Natasha ha detto al marito che voleva iniziare a lavorare, per essere più indipendente e per mandare soldi alla sua famiglia in Ucraina. Lui, in quella fase, ha iniziato a perdere la testa, a diventare geloso. Iniziava a seguirla, a controllarla in ogni modo. Intanto lei aveva iniziato a lavorare come colf in due famiglie, una a Mozzo e l’altra a Bergamo. E lui aveva perso completamente la testa. Fino ad un anno e mezzo fa, quando Natasha non lo sopportava più e aveva voluto la separazione”.
E’ in quel momento che le minacce di Anacleto Roncalli si fanno pressanti, quando Natasha prende un’altra casa, non lontano dall’abitazione del loro matrimonio, frequenta un’altra persona. Lui le scrive lettere minatorie, la accusa di avere un rapporto omosessuale con la sua amica Alla Smirnova, di Locatello, che invece è fidanzata con un muratore del posto, scrive sul muro di casa di Natasha offese di ogni tipo, le telefona, la segue ovunque. La aspetta fuori dal posto di lavoro, le dice che meriterebbe di fare una brutta fine, anche quando la incontra per caso fuori da un supermercato. E’ un crescendo che non si ferma. “Purtroppo l’ha uccisa – conclude Chiara -. Natasha ormai aveva una paura tremenda, temeva le sue minacce, era stata più volte dai carabinieri. Purtroppo non c’è stato nulla da fare. Io voglio ricordare una donna bravissima, che non si era accontentata di chiudersi in casa e di farsi mantenere dal marito. Una donna attiva, che aveva voluto imparare bene l’italiano, che continuava a pensare alla sua famiglia d’origine, alla terra dov’era nata. Una persona che saltuariamente lavorava anche per me e spesso non voleva nemmeno farsi pagare. Non capisco perché sia finita così…”