Monica Sassone, 37 anni, disoccupata. Strangolata, fatta a pezzi e gettata nel cassonetto dall’ex fidanzato
Torino, 11 Agosto 1998
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La volevo tutta per me… e taglia a pezzi la sua ex (la Repubblica – 14 agosto 1998)
“Era quel busto che mi faceva paura, signor commissario. Quel tronco senza più arti. La testa e le braccia di Monica le ho buttate nel cassonetto ieri pomeriggio, le gambe invece a notte fonda. Ma quel tronco mi terrorizzava. E così l’ ho chiuso in valigia, e poi nell’ armadio, per non vederlo più…”.
Sono le parole dell’ allucinante confessione resa in lacrime agli investigatori da Roberto Di Martino, 38 anni, tossicodipendente, pregiudicato per lesioni e violenza carnale, che martedì ha strangolato e poi tagliato a pezzi con coltello e seghetto Monica Sassone, 37 anni, sua ex convivente e compagna di una vita segnata dalla droga. “La volevo solo per me…” ha mormorato Roberto Di Martino durante l’ interrogatorio.
Il delitto è stato scoperto alle 11,30 di quella che a Torino verrà ricordata come una giornata di sangue: due donne sono state massacrate per gelosia, due tragedie diverse che hanno un movente in comune, un’ ossessiva passione che si trasforma in follia omicida. è successo in borgo San Paolo, storico quartiere operaio, al terzo e ultimo ultimo piano di una palazzina in una stradina secondaria, via Cantalupo, dove gli agenti, durante una perquisizione, oltre alla valigia e al suo raccapricciante contenuto, hanno trovato decine di riviste e libri di magia nera e di storie pulp e dell’ orrore.
Lì i genitori di Monica Sassone, il padre pensionato e la madre casalinga, avevano preso in affitto un piccolo alloggio con due camere, la cucina e il bagno proprio perché vi andassero ad abitare la figlia e il fidanzato. Era una vita difficile, però, quella di Monica e Roberto, entrambi disoccupati, scandita dagli arresti di lui e dai tentativi di lei di uscire definitivamente dalla droga.
L’ ultima scarcerazione, per Roberto Di Martino, risale a un anno e mezzo fa. Nel novembre del ‘ 97 l’ uomo patteggia anche una condanna a due mesi, con pena sospesa, per violenza carnale e lesioni. In quelle stesse settimane lei decide che è il caso di andarsene, di tornare dai genitori. Lui, invece, rimane nell’ alloggetto di via Cantalupo. Fino a martedì. Quando qualcosa, nella mente di Roberto Di Martino, si spezza.
Ed è lui, con la sua confessione, l’ unico che possa raccontare l’ orrore accaduto in quelle due camere. “Con Monica avevamo degli alti e bassi ma continuavamo a vederci – ha raccontato Di Martino agli agenti del commissariato San Paolo – spesso lei veniva a casa mia. è successo anche ieri. Non stavamo litigando. Eravamo tutti e due sul letto, chiacchieravamo. Saranno state le tre e mezza del pomeriggio. Ad un tratto mi è venuta voglia di ascoltare musica, sono andato in cucina per prendere lo stereo. Ma, invece, mi sono ritrovato in mano solo il cavo di alimentazione, quello di riserva. E poi non so cosa m’ è preso...”. Roberto Di Martino si avventa furiosamente su Monica, la strangola. Nessuno, nella palazzina, sente alcunché di sospetto. Nessun rumore sospetto. E l’ omicida non dice nemmeno perché abbia deciso di fare a pezzi il cadavere: solo per farlo sparire più agevolmente o altro?
“Ho messo il corpo di Monica nella vasca da bagno, poi ho preso un coltello da cucina e un seghetto. Ho iniziato dalle braccia e dalla testa. Le ho infilate in un sacchetto di plastica nera e portate giù, nel cassonetto, verso le 18. Per tagliare le gambe mi ci è voluta tutta la sera…”. Rimane solo il tronco, “quel” tronco: terrorizzato, Di Martino decide di nasconderlo in una valigia di cartone che chiude in un armadio, nell’ altra stanza. Poi esce di casa.
Intanto il padre di Monica, non vedendola rientrare, avverte la polizia e dà l’ indirizzo di via Cantalupo. Gli agenti aprono la porta con l’ aiuto dei pompieri. Ma nell’ alloggio non c’ è nessuno e, spiegano, “non eravamo autorizzati a fare una perquisizione”.
L’ indomani il padre della ragazza va di nuovo in via Cantalupo. Sul portone c’ è Roberto Di Martino per chiedergli notizie della figlia: “Non so nulla”, gli dice appena lo vede. L’ uomo, sempre più insospettito, va in commissariato. I poliziotti tornano sul posto. L’ assassino è ancora in strada: appena vede le divise si mette a tremare, poi rifiuta di aprire la porta di casa. Quando gli agenti minacciano di far intervenire i vigili del fuoco si arrende.
Pochi istanti dopo, l’ allucinante scoperta. La casa è tirata a lucido, vasca da bagno compresa. Ma nel cassonetto, in strada, vi sono ancora una maglietta e un golfino macchiati di sangue e l’ aspirapolvere usato per ripulire tutto. “Volevo che Monica fosse solo mia…” ripete Di Martino mentre lo portano in commissariato. Il suo avvocato, Carlo Cavallo, chiederà la perizia psichiatrica. E questa mattina la polizia perlustrerà la discarica di via Germagnano nel tentativo di trovare gli arti e la testa della vittima. (di Arturo Buzzolan)
La Stampa – 15 agosto 1998