Kristina Gallo, 27 anni, mamma. Uccisa dal compagno con cui aveva una relazione tossica
Faenza (Ravenna), 26 Marzo 2019
“L’omicidio di Kristina Gallo è un caso incredibile di segregazione morale e materiale, soprattutto perché tutti sapevano ma nessuno ha fatto niente”
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Omicidio Kristina Gallo: l’altra donna, il telefono sequestrato e le vessazioni dell’ex compagno condannato a 30 anni (il Corriere della Sera – 5 luglio 2023)
Bologna, la famiglia di Kristina: «Ringraziamo i carabinieri e la Procura per aver continuato a cercare elementi di prova senza arrendersi»
Quando è morta Kristina Gallo non era sola e non può essere morta per cause naturali. Perché Kristina, ora c’è una sentenza di primo grado che lo stabilisce, è stata uccisa e il suo compagno Giuseppe Cappello, 45 anni, ieri è stato condannato in abbreviato a 30 anni di carcere con l’accusa di omicidio aggravato dallo stalking.
«Non siamo mai stati rancorosi e siamo rimasti sempre composti – commentano i genitori e il fratello di Kristina tramite i loro legali – ma oggi vogliamo ringraziare i carabinieri e la Procura per aver pervicacemente continuato a cercare elementi di prova senza arrendersi».
Le indagini. Un verdetto nient’affatto scontato quello pronunciato dal gup Sandro Pecorella, perché le indagini per il delitto della donna, trovata morta il 26 marzo 2019 nella sua casa, erano ripartite un anno dopo in salita, a causa di una prima richiesta di archiviazione della Procura sulla base di una perizia medico-legale che parlava di possibile morte naturale.
A quella richiesta si era opposta la famiglia di Kristina, assistita dai legali Cesarina Mitaritonna e Francesco Cardile, con una nuova perizia del medico-legale Donatella Fedeli che parlava di una possibile asfissia meccanica e dell’impossibilità che la donna, che non aveva problemi cardiaci, fosse finita da sola nella posizione innaturale in cui era stata rinvenuta cadavere: a pancia in su, nuda, con il corpo dal bacino in giù sotto un letto troppo basso. I Ris avevano poi stabilito che non poteva essere caduta in quella posizione. Chi l’aveva spostata?
Le indagini del nucleo investigativo dei carabinieri, coordinate dal procuratore aggiunto Francesca Caleca, sono ripartite da qui. È stato ricostruito che la donna, che aveva affrontato periodi difficili che le avevano fatto perdere l’affidamento della figlia ma stava tentando di riprendere in mano la sua vita, da tre anni frequentava Cappello, il quale l’aveva soggiogata in una relazione morbosa fatta di vessazioni e controllo ossessivo, nascondendole di avere un’altra vita con una convivente.
Kristina lo aveva scoperto nell’ultimo periodo e una volta era andata sotto casa dei genitori dell’imputato infuriata, cercando di riavere il suo telefono che lui le aveva sequestrato costringendola a comunicare con la famiglia attraverso bigliettini o tramite lui stesso.
La sentenza. A inchiodare Cappello anche gli indizi sulla scena del delitto: i medicinali che assume, le chiavi dell’auto, evidentemente abbandonate in fretta e furia, il suo dna sul reggiseno e sotto le unghie della donna, nonostante lui abbia sempre sostenuto che non la vedeva da tre settimane, graffi e segni di colluttazione sul suo corpo coincidenti con quelli sul corpo della vittima.
«Le menzogne hanno un loro peso in questa storia – ha detto il pm Caleca nella sua requisitoria – e non trovano altra giustificazione se non nella partecipazione attiva alla morte di Kristina». Menzogne come quelle che secondo l’accusa non riusciva più a tenere in piedi per far stare su il castello di bugie su cui si fondavano le sue due vite parallele. E questo sarebbe stato il movente.
«Oggi prendiamo atto con dispiacere della sentenza – ha detto il difensore Gabriele Bordoni che annuncia ricorso in appello – pensavamo di aver messo l’accento su aspetti determinanti che lasciavano un più che ragionevole dubbio in capo all’imputato».
«Di soddisfazione non si può parlare – dichiara l’avvocato Barbara Iannuccelli, che rappresentava la parte civile La Caramella buona onlus – perché è morta una ragazza. Ma è stata fatta giustizia, possiamo dire che è stato un omicidio. Kristina era finita isolata a causa di un amore tossico, speriamo che nessun’altra resti sola».
Cappello si trova ai domiciliari. «Ringraziamo la nostra consulente, la dottoressa Fedeli, che in questi anni ha sempre lavorato con professionalità e obiettività» concludono i legali di parte civile Cardile e Mitaritonna.
Omicidio Kristina Gallo, la sentenza: il suo ex condannato a 30 anni, accolta richiesta dell’accusa (FanPage – 4 luglio 2023)
La sentenza per l’omicidio di Kristina Gallo, la giovane donna trovata morta nel suo appartamento a Faenza nel marzo del 2019. A processo l’uomo con cui aveva avuto una relazione, Giuseppe Cappello.
Giuseppe Cappello, accusato di aver ucciso Kristina Gallo, è stato condannato a trenta anni di carcere. La sentenza è stata letta oggi in Tribunale a Bologna, al termine del processo con rito abbreviato. Il giudice ha accolto le richieste dell’accusa. Presente alla lettura della sentenza, Cappello, difeso dagli avvocati Gabriele Bordoni e Alessandra Di Gianvincenzo, ha lasciato il tribunale senza fare dichiarazioni.
Il procuratore aggiunto Francesco Caleca aveva infatti chiesto 30 anni di condanna per Cappello, 44enne accusato di aver ucciso la giovane donna con cui aveva una relazione. Hanno preso ieri la parola dopo il pm i difensori di parte civile per la famiglia, avvocati Cesarina Mitaritonna e Francesco Cardile, l’avvocato Barbara Iannuccelli per l’associazione La Caramella Buona e infine i difensori dell’imputato, avvocati Gabriele Bordoni e Alessandra Di Gianvincenzo. Nelle udienze precedenti del processo erano stati sentiti i periti medico-legali, chiamati a pronunciarsi sulle cause della morte di Kristina. “L’omicidio di Kristina Gallo è un caso incredibile di segregazione morale e materiale, soprattutto perché tutti sapevano ma nessuno ha fatto niente”, aveva detto l’avvocato Iannuccelli a Fanpage.it descrivendo quanto accaduto alla giovane donna di Faenza. “Giustizia fatta per Kristina Gallo”, ha commentato sui social l’avvocato Iannuccelli. Disposti anche risarcimenti alle parti civili, i familiari assistiti dagli avvocati Francesco Cardile e Cesarina Mitaritonna e l’associazione La Caramella buona.
“La decisione del giudice, ha detto l’avvocato dell’imputato, “accoglie la tesi dell’accusa rispetto alla quale abbiamo mosso critiche, capiremo attraverso la motivazione, che farà la differenza, la traiettoria del suo ragionamento. Ci sarà l’appello, il giudizio di legittimità, c’è ancora tanta strada da fare. Oggi prendiamo atto con dispiacere, pensavamo di aver messo l’accento su aspetti determinanti che lasciavano un più che ragionevole dubbio in capo all’imputato”.
La morte di Kristina Gallo. Kristina Gallo venne trovata morta in casa nel marzo del 2019. La giovane era nuda, con le gambe sotto al letto nel suo appartamento. Inizialmente, il caso fu mandato verso l’archiviazione dalla Procura come decesso naturale, solo in un secondo momento è stato riaperto con l’ipotesi di omicidio aggravato dallo stalking. Secondo i consulenti Cristina Cattaneo e Biagio Leone non vi è “alcuna prova che la causa di morte sia stata di tipo naturale”, ma ci sono “elementi suggestivi di una morte criminosa e dell’intervento di terzi nel determinismo del decesso”. Lo scorso maggio, nella precedente udienza del processo, i RIS hanno proiettato la ricostruzione in 3D della scena del crimine: Kristina – stando a quanto è emerso – non è finita sotto al letto da sola e il dna trovato sotto le unghie e sul reggiseno è quello dell’ex Giuseppe Cappello.
Cappello si è sempre detto innocente. Cappello è stato arrestato tre anni dopo la morte di Gallo, nel luglio dello scorso anno. L’uomo ha sempre detto di essere innocente, anche se, stando all’informativa finale dei carabinieri sull’omicidio della donna, ci sono elementi che “dipingono un quadro indiziario nei confronti di Cappello nel quale gli indizi appaiono oltremodo coerenti, gravi, univoci e concordanti”.
Caso Kristina Gallo, “l’indagato non gestiva più le due vite” (Bologna Today – 23 marzo 2023)
Secondo gli inquirenti, è questo il movente del presunto omicidio della ragazza, morta nel marzo 2019
“Non è riuscito a mantenere il controllo delle due vite parallele che aveva costruito”, diventando così impossibile per lui “mantenere in piedi il castello di menzogne”, e cioè una doppia relazione sentimentale, con la giovane all’insaputa della compagna. Per i carabinieri il movente che avrebbe portato Giuseppe Cappello, 44 anni, a uccidere Kristina Gallo, la ragazza trovata morta nel suo appartamento, senza vestiti e con le gambe sotto al letto il 26 marzo 2019, è da ricercarsi proprio nel fatto che ormai per l’uomo “stava venendo tutto a galla”. Il 44 enne, come riporta l’Ansa, non riusciva più a gestire la doppia relazione: la ragazza si era presentata a casa dei genitori di lui (e anche la compagna avrebbe potuto scoprirla), lo aveva minacciato di rendere pubbliche delle foto, di raccontare ai carabinieri di una pistola che lui aveva e che lei sapeva dove aveva preso.
Le conversazioni dell’uomo con un amico. “Questa è una pericolosa, non ha paura di nulla”, diceva Cappello di lei durante una conversazione con un amico, registrata da un’app nel suo cellulare, e riportata nelle 90 pagine di informativa del nucleo investigativo che accusano il 44 enne di aver assassinato la giovane.
In prima battuta, nel 2019, il caso era stato archiviato come morte naturale, poi era stato riaperto a seguito di successive indagini che nel luglio 2022 hanno portato all’arresto del 44enne, che si è sempre dichiarato innocente. Gli investigatori dell’Arma hanno ricostruito la relazione tra i due e anche come nel corso degli anni Kristina sia stata “minacciata, picchiata e soggiogata” dall’uomo “che l’ha trascinata in un baratro di ozio, droga e isolamento”. Per via della “gelosia ossessiva” di Cappello, la ragazza “aveva perso il lavoro, non aveva amicizie, e si era allontanata dalla sua famiglia e persino dalla figlia di soli sette anni”, scrivono i carabinieri. Una scelta drastica “per rincorrere le vane promesse di stare insieme, ricominciare a vivere altrove, in Sicilia, e persino sposarsi”.
Gli ultimi giorni della ragazza. I carabinieri hanno inoltre accertato che la ragazza nel suo ultimo mese di vita fosse isolata, senza telefono (Cappello glielo aveva rotto, sottratto, e poi ceduto a uno spacciatore) e senza contatti con altre persone, se non con il 44 enne, che lei definiva “psicopatico stalker”. Nella casa non c’era traccia di nessuno se non di lui: le chiavi della sua auto, i dispositivi medici che utilizzava, il suo dna sugli indumenti e sotto le unghie di Kristina (di cui una sembra spezzata). Nei confronti di Cappello è stato chiesto il rinvio a giudizio per omicidio aggravato dallo stalking e il 4 aprile, davanti al gup, saranno ascoltati tutti i consulenti medico-legali che si sono occupati della vicenda: cruciale è infatti capire come sia morta la 27enne, con tre perizie che non hanno fatta chiarezza, mentre per la Procura l’uomo, all’apice di una colluttazione, l’avrebbe asfissiata. L’avvocato Gabriele Bordoni, che difende Cappello, ha presentato per il suo assistito la richiesta di rito abbreviato.
Kristina Gallo, omicidio o morte naturale. Faccia a faccia tra i consulenti in aula (il Resto del Carlino – 4 aprile 2023)
Caso Gallo: a processo l’ex fidanzato Giuseppe Cappello, accusato di averla perseguitata e poi uccisa Il confronto tra i medici legali che hanno analizzato il corpo della giovane, trovata morta nel marzo 2019
Un passo in più verso la verità sulla morte di Kristina Gallo, la giovane di 27 anni trovata senza vita nel suo appartamento di via Andrea da Faenza il 26 marzo del 2019. E’ entrato nel vivo ieri il processo nei confronti di Giuseppe Cappello, 45 anni, l’ex della ragazza accusato di averla uccisa. L’uomo, difeso dagli avvocati Gabriele Bordoni e Alessandra Di Gianvincenzo, sta affrontando il processo con rito abbreviato condizionato all’audizione di alcuni consulenti, davanti al giudice Sandro Pecorella.
Oggi è iniziato il confronto tra i consulenti delle parti, in primis il medico legale Guido Pelletti, che per primo la Procura incaricò di esaminare il cadavere della giovane mamma – ritrovata dal fratello qualche giorno dopo il decesso, datato tra il22 e il 24 marzo 2019, nuda, con le gambe sotto il letto e graffi sul corpo, attribuiti inizialmente al suo cane Rottweiler – e che stabilì si trattasse di una morte naturale.
Solo in un secondo momento vennero incaricate dal procuratore aggiunto Francesco Caleca i consulenti Cristina Cattaneo e Biagio Leone, che ritenettero invece non vi fosse “alcuna prova che la causa di morte sia stata di tipo naturale”, ma rilevarono “elementi suggestivi di una morte criminosa e dell’intervento di terzi nel determinismo del decesso”. ’Terzi’ individuati poi in Cappello, il cui dna venne ritrovato sotto un’unghia della ragazza, materiale genetico che i medici ritennero risalente a “non più di qualche ora prima della morte”, mentre l’imputato sostenne di non vederla da tre settimane. Inoltre lui stesso, in un’epoca compatibile con la morte delle donna, aveva presentato graffi rossi sul collo. Così, a luglio è stato arrestato, per omicidio aggravato dallo stalking.
Nell’aula bunker della Dozza si sono dunque confrontati i consulenti, compresi quelli nominati da parti civili – costituiti i genitori e il fratello di Kristina e la sua figlioletta di 11 anni, con gli avvocati Cesarina Mitaritonna e Francesco Cardile, e l’associazione che tutela le vittime di stalking ’La caramella buona’, con l’avvocato Barbara Iannuccelli – e difesa, Giuseppe Fortuni e Roberto Nannini. Tema centrale, valutare se le posizioni opposte dei medici legali sulla morte naturale o meno siano inamovibili. Per la consulente di parte civile Donatella Fedeli, la morte sarebbe stata causata da una “asfissia meccanica violenta”, cioè strangolamento. Il dottor Pelletti invece, a domanda dell’avvocato di parte civile Iannuccelli, avrebbe risposto di “propendere leggermente per la morte naturale”. Per l’accusa, su quell’avverbio si gioca la partita.
«I punti cardine delle conclusioni del dottor Pellettisono tre – commenta l’avvocato dell’imputato, Bordoni –: sul corpo non sono stati rilevati segni di compressione di collo, naso e bocca, punti ’tipici’ del soffocamento indotto. Gli organi interni non presentano petecchie, segni indiretti di una morte asfittica, e non fu rilevato un enfisema polmonare iperacuto, come avrebbe dovuto di fronte a strangolamento o soffocamento. Il medico ha poi confermato che il quadro sulle cause della morte resta incerto. Speculare su percentuali di probabilità non ha senso nel processo retto dalla regola del ragionevole dubbio”.
L’avvocato Iannuccelli è invece “molto soddisfatta: siamo passati da una certezza assoluta, dal ’si esclude una causa violenta’ per la morte, a una ’leggera’ propensione. Il quadro è cambiato. Si è sgretolato un macigno sulla strada della verità per Kristina”. “Nessuno dei consulenti della difesa è riuscito a fornire spiegazioni plausibili sulle singolari modalità di rinvenimento della vittima. È emerso come non sia possibile effettuare una valutazione meramente medico-legale senza associarla alla situazione dei luoghi e alle condizioni di rinvenimento della giovane”, sottolineano invece gli avvocati Mitaritonna e Cardile.
Kristina Gallo, chiesto il rinvio a giudizio per Giuseppe Cappello: «Vittima di segregazione morale»
La trentenne trovata morta a Bologna il 26 marzo del 2019: dopo la riapertura delle indagini è stato arrestato l’ex fidanzato accusato di omicidio aggravato da stalking
Kristina Gallo fu «vittima di segregazione morale» che culminò con una morte violenta. Non ha dubbi la Procura di Bologna che la 30enne, trovata senza vita sotto il letto della sua abitazione, in via Andrea Da Faenza il 26 marzo del 2019, sia stata uccisa. Per questo motivo il procuratore aggiunto Francesco Caleca e il sostituto Stefano Dambruoso hanno chiesto il rinvio a giudizio di Giuseppe Cappello, 44 anni, l’ex fidanzato della vittima arrestato lo scorso 29 luglio con l’ipotesi di reato per omicidio aggravato dallo stalking.
Per l’accusa le era stato vietato di vedere la figlia. Secondo la Procura, Kristina subì molteplici umiliazioni, vessazioni psicologiche e botte da Cappello. Durante la relazione, andata avanti dall’autunno del 2016 al febbraio del 2019, la vita della 30enne si sarebbe trasformata in un vero e proprio inferno.
L’uomo l’avrebbe costretta a una «perdurante soggezione» vietandole «di indossare vestiti che ne esaltavano la femminilità» riporta Il Resto del Carlino rilanciando uno stralcio della richiesta di rinvio a processo per l’indagato. Dall’abbandono del lavoro «per ridurre le occasioni di contatto con altri uomini», alla privazione di smartphone e computer per limitare l’accesso ai social. Cappello avrebbe impedito alla donna anche di aver contatti con la figlioletta, nata da una relazione precedente, e con i suoi genitori.
Secondo la difesa si è trattato di un decesso naturale. Gli inquirenti sono certi che Kristina sia stata uccisa al culmine di un rapporto burrascoso e, dunque, hanno chiesto il rinvio a giudizio del 44enne. Il legali dell’uomo, che si trova recluso nel carcere della Dozza dallo scorso luglio, sono convinti la 30enne sia morta per cause naturali.
Il «cold case» e la riapertura delle indagini. Un «cold case» riaperto dopo la richiesta di archiviazione, a seguito della prima perizia sul corpo della donna, secondo cui le probabili cause del decesso sarebbero state naturali. L’opposizione della famiglia, assistita dall’avvocata Cesarina Mitaritonna, alla richiesta di archiviazione aveva portato il gip Domenico Panza a riaprire il caso, ordinando nuove indagini. Procura e carabinieri erano così ripartiti da zero in un’inchiesta tutta in salita, ma convincendosi sempre di più che si trattasse proprio di omicidio, soprattutto dopo la nuova perizia ordinata dalla Procura e che stavolta andava nella direzione di una morte violenta. E in cui erano stati rintracciati segni di graffi, escoriazioni sul corpo di Kristina, insieme al Dna dell’indagato sotto le sue unghie.
La morte naturale che non ha mai convinto la famiglia. Troppe le cose che non tornavano per giustificare la morte naturale. Dalla posizione in cui il fratello della vittima aveva trovato il cadavere, gambe e busto erano sotto al letto, al mistero del telefono della donna scomparso e senza segnale, poi riacceso e funzionante dopo molti mesi. Sui tabulati del quale le indagini si sono concentrate, risalendo ai contatti con l’uomo, di cui è stata ricostruita la presenza sulla scena del delitto.
Per il Ris la morte avvenuta per «asfissia meccanica». Una scena fatta rivivere in 3d dal Ris di Parma, che dimostrerebbe il ruolo dell’uomo nella morte della donna, avvenuta per asfissia meccanica. Il movente sarebbe la gelosia. Negli oltre 6mila file audio recuperati dai telefoni, «emerge con ragionevole certezza- scrivono i carabinieri, la personalità dell’indagato e della vittima e la natura «burrascosa» della loro relazione. In particolare trovavano riscontro le numerose testimonianze rese da amiche, colleghi e vicini di casa della vittima circa le ripetute e costanti violenze fisiche e psicologiche subite dalla ragazza per la smisurata gelosia dell’indagato».
Omicidio Kristina Gallo, lui la picchiava e minacciava di morte: “Non uscire mai di casa, ti spacco la testa” (la Repubblica – 30 luglio 2022)
Le carte dell’inchiesta che hanno portato all’arresto di Giuseppe Cappello a tre anni dal ritrovamento del cadavere della ragazza, uccisa in casa. L’indagato era arrivato ad aprire un profilo Facebook a nome della vittima per controllare se qualcuno la chiamava
“A me importa solo di te. Ma io ti porto via con me! Io ti porto con me fino alla morte. Dove sono io devi essere te”. Sono le 17.02 del 20 giugno 2018 e l’uomo che verrà arrestato per l’assassinio di Kristina Gallo la chiama al telefono. Lei vuole farla finita. “Hai rovinato tutto, non ti amo più”…