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Jessica Poli, 32 anni, operaia, mamma. Uccisa dal marito con 33 coltellate e gettata nel fiume

Canneto sull'Oglio (Mantova), 13 Febbraio 2007


Titoli & Articoli

Trovato nel fiume il corpo di Jessica: uccisa a coltellate. Fermato il marito tunisino (Gazzetta di Mantova – 10 marzo 2007)
Non avrebbe mai abbandonato il suo bambino. Jessica Poli è stata uccisa. Il fiume Oglio ha riconsegnato il corpo della madre di 32 anni di Canneto, oggi pomeriggio. E’ stato un pescatore a notare la sagoma scura, che era immersa a pancia in giù in trenta centimetri d’acqua, impigliata nei rami che sporgono dalla sponda destra del fiume, 50 metri dopo il ponte tra Bozzolo e Marcaria.
Il corpo violato da almeno una ventina di tagli: ferite provocate dalla punta di un coltello. Esclusa la morte per annegamento. Su questo punto il Pm Giulio Tamburini ha tolto ogni dubbio: Jessica, scomparsa da casa il 13 febbraio scorso, è stata uccisa in un altro luogo prima di essere gettata come un sacco nell’Oglio. Subito dopo il ritrovamento del corpo, su ordine del Pm, i carabinieri si sono messi sulle tracce di Ziadi Moncef, il marito 38enne di Jessica. L’uomo di origine tunisina, indagato da alcuni giorni per omicidio volontario aggravato e occultamento di cadavere, alle otto di ieri sera è stato accompagnato in Procura.
Dopo un breve summit tra il magistrato e i carabinieri del reparto operativo di via Chiassi, che in queste settimane hanno svolto indagini serrate coperte da un riserbo assoluto, per lui è scattato il fermo di polizia giudiziaria per gli stessi reati. Gli inquirenti ritengono che sia lui l’assassino di Jessica. Tra le mille domande a cui ora l’uomo ora dovrà dare una risposta, due hanno la priorità sulle altre: dove e quando è stata uccisa? Le coltellate, secondo quanto ha stabilito il primo esame del medico legale, l’hanno colpita al petto, alla schiena, al fegato e al collo. Le ferite in queste ultime due parti del corpo provocano un sanguinamento molto copioso: una circostanza che dovrebbe consentire di rintracciare il luogo in cui è stato messo a segno l’omicidio. Gli inquirenti non possono escludere che Jessica sia stata assassinata qualche giorno dopo la sua scomparsa.
L’assassino potrebbe averla tenuta nascosta, sotto sequestro, e aver deciso di eliminarla successivamente. Oppure potrebbe aver conservato il corpo senza vita, dissanguato, in un luogo sicuro per poi gettarlo nel fiume di notte. Il cadavere di Jessica potrebbe essere stato gettato nel Chiese ad Acquanegra, il paese dove è stata ritrovata la sua auto, ed essere stato trasportato dall’acqua fino alla confluenza dell’Oglio. Ipotesi tutte da vagliare. Ieri sera il cadavere è stato portato all’istituto di medicina legale di Modena, dove nelle prossime ore verrà eseguita l’autopsia già disposta dal magistrato. L’allarme è scattato ieri pomeriggio alle due e mezza, quando al 112 arriva la telefonata di un pescatore che dice di avere sotto gli occhi un corpo, completamente vestito, che galleggia nell’acqua. Non è zavorrato, ma semplicemente impigliato nei rovi. Fornisce le coordinate del luogo: poche decine di metri dopo il ponte stradale sull’Oglio, in territorio di Bozzolo, sulla sponda destra del fiume, in un’ansa quasi sotto il ponte ferroviario. Arrivano subito i militari da Bozzolo, che intanto avvertono i vigili del fuoco. Il corpo è quello di una donna con i capelli scuri. In pochi minuti il sospetto prende corpo. Giunge sul posto il capitano Giovanni Pillitteri da Castiglione, il maresciallo Claudio Zanon, che ha condotto le indagini del reparto operativo di Mantova, e i carabinieri di Canneto.
Ed è proprio il maresciallo del paese dove Jessica viveva con il marito e il loro bimbo di 4 anni a riconoscerla. Il cadavere è ancora in buono stato di conservazione. E’ martoriato da diversi tagli, che le hanno squarciato anche il cappottino e i pantaloni. Ha ancora le scarpe ai piedi. Il maresciallo riconosce i lineamenti, e, soprattutto, riconosce alcuni tatuaggi. Il sospetto diventa una certezza. La ricerca disperata di Jessica Poli finisce qui. Ma la parola fine sulla sorte della donna apre un altro capitolo. Senza muoversi dalla sponda del fiume, davanti al lenzuolo bianco che copre l’orrore, partono le telefonate. Gli inquirenti sanni di avere i minuti contati. Quando l’assassino saprà che l’Oglio ha restituito il corpo con le prove dell’omicidio, tenterà di fuggire. Devono essere più veloci di lui. E alle sette di sera tagliano il traguardo prima di lui.

Trovata morta la donna scomparsa. Si segue la pista della gelosia (La Repubblica – 10 marzo 2007)

 

Femminicidi, la denuncia delle famiglie: siamo stati lasciati soli (il Sole 24 ore – 20 giugno 2019)
Renza Volpini ha 67 anni, 12 anni fa sua figlia Jessica Poli – 32 anni – è stata uccisa dal marito. Era il 13 febbraio 2007, suo nipote O. aveva 4 anni. Lei e il nonno – a cui O. era legatissimo – lo hanno accolto in casa. “Forse lo abbiamo viziato un po’”, ci racconta Renza, che dallo Stato non ha mai ricevuto nessun aiuto. All’inizio il Comune le dava 180 euro al mese. Lei spendeva 80 euro alla settimana solo per due sedute dalla psicologa che si “è messa la mano sul cuore”. Ma quando suo marito è morto nel 2011 non è più riuscita a sostenere i costi e si è rivolta agli assistenti sociali. Ora O. ha 16 anni ed è in una comunità terapeutica, gli servono 1200 euro al mese per le spese che non rientrano nelle terapie. “Il Comune mi chiede una partecipazione alle spese, per me è difficile, ho 780 euro di pensione. Non riesco neanche a ottenere l’esenzione ai ticket sanitari. So che c’è una legge approvata lo scorso anno ma nessuno – Comune, assistenti sociali, Asl – ha saputo dirmi nulla”, sottolinea Renza, che precisa: “Gli orfani non sono solo dimenticati, sono presi in giro”.
“Dopo l’uccisione di mia madre siamo stati lasciati soli”, spiega Diletta Capobianco, figlia di Sabrina Blotti, uccisa a 45 anni il 31 maggio 2012 da un uomo che si era invaghito di lei. “Nella tragedia sono stata fortunata – continua Diletta, 21 anni – ho un papà che pensa a me e a mio fratello di 14 anni. Ma gli altri orfani cosa faranno quando nessuno si potrà più occupare di loro? Chi li aiuterà? Bisogna rendere più facile la vita a questi bambini, le leggi ci sono e non vengono applicate. Il femminicidio non è una questione privata, mia mamma aveva denunciato”.
“Al momento le famiglie affidatarie non hanno praticamente nessun contributo. I presupposti per accedere agli indennizzi sono difficili e i fondi per orfani e famiglie sono bloccati”, ci spiega Patrizia Schiarizza, avvocata e fondatrice de Il Giardino Segreto, associazione che si occupa dei figli di femminicidio. “C’è poca formazione da parte di avvocati, psicologi e assistenti sociali – aggiunge Schiarizza – non ci sono protocolli da seguire. Nell’emergenza gli interventi della magistratura sono molto veloci, poi la macchina si blocca. A volte tra l’affido e il primo incontro con lo psicologo ci vogliono più di 20 giorni. A ciò si aggiungono processi lenti e burocrazia. La pratica per il cambio di cognome, ad esempio, è soggetta alle stesse lentezze di una pratica ordinaria, ci vorrebbe un canale preferenziale”.
Stiamo lavorando per alzare gli importi degli indennizzi per le vittime di reati intenzionali violenti e per emanare i regolamenti per sbloccare i fondi della legge dell’11 gennaio 2018, che prevede nuove risorse per borse di studio, formazione, orientamento professionale, famiglie affidatarie ”, ribadisce Raffaele Cannizzaro, commissario per il Coordinamento delle iniziative di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso e reati intenzionali violenti. In due anni – da quando è entrata in vigore la legge 122 del 2016 – solo 30 orfani di femminicidio hanno fatto domanda e ottenuto gli indennizzi. La priorità devono essere i bambini, che di colpo diventano orfani, cambiano casa, abitudini, a volte città e le famiglie. Ma questi ragazzi riescono ad avere una vita serena?
Diletta frequenta l’Università di Urbino, sogna un master in Spagna, vuole fare la giornalista: “Cronaca nera – spiega – per raccontare le storie dando voce alle persone”. Teneva un diario, poi ha iniziato a raccontare. La prima volta nel suo liceo: era l’8 marzo, giorno del suo 18esimo compleanno. Ora porta la sua testimonianza nelle scuole e nei teatri perché “tutta l’energia negativa, la rabbia, la frustrazione possono diventare benzina e accendere un fuoco. Avevo 14 anni, dovevo per forza rialzarmi e vivere”. Anche per la sua mamma, di cui ricorda “il sorriso e quegli occhi che quando rideva diventavano piccoli piccoli”.
O. fa il liceo artistico, ha finito la seconda ed è stato promosso. Va a casa dalla nonna tutti i week end. Non parla più di quello che è accaduto, gli fa male. “Si porta dietro un fardello troppo grande”, spiega Renza che ricorda un giorno, in particolare, di 8 anni fa. Suo marito era appena morto: “Nonna – le ha detto O. – io ho solo 8 anni e ho già perso due delle persone più care della mia vita. Però c’è una grande differenza: nonno è morto di malattia. Mamma è morta perché chi mi doveva trattare come un gioiello, mi ha tradito”.

 


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In memoria di

Una panchina rossa per Jessica Poli (La Provincia – 14 aprile 2018)
CANNETO SULL’OGLIO –  Una panchina rossa per ricordare Jessica Poli, la giovane di Canneto uccisa dal marito nel 2007, ma anche come monito contro il femminicidio, è stata inaugurata sabato 14 aprile dopo le 11 nei giardini pubblici. A volerla è stata Renza Volpini, la mamma della ragazza vittima di violenza. Ha coinvolto il centro antiviolenza MIA di Casalmaggiore, il Movimento Incontro Ascolto, il Comune di Canneto, le scuole, le associazioni cannetesi e non, tra cui le Donne 8 Marzo e gli Amici di Emmaus di Piadena. Jessica era originaria di Bozzolo e lavorava a Vescovato.

Mostra fotografica – Jessica Poli (Time for Equality)

Mostra fotografica – Jessica Poli

Jessica Poli

Renza Volpini ha perso la figlia Jessica Poli il 13 febbraio del 2007. È stata uccisa a 32 anni con 33 coltellate dal marito. Avevano un bambino di 4 anni. Il corpo di Jessica Poli è stato ritrovato in provincia di Mantova, su una sponda del fiume Oglio, dopo 25 giorni di ricerche: l’assassino non confessava, diceva che la moglie se ne era andata, abbandonando la famiglia.

Ho deciso che volevo essere utile ad altre donne. Ho iniziato a seguire le iniziative di altri madri di vittime di femminicidi, partecipando a presidi e manifestazioni. Sostengo le donne vittime di violenza che mi cercano per dei consigli, cerco di rassicurarle al telefono e poi se vogliono le accompagno nei centri antiviolenza.

Renza Volpini ha fatto mettere due panchine rosse in ricordo della figlia in due paesi in provincia di Cremona.

Spero che chi veda la panchina si interroghi, anche solo un istante, sulla violenza di genere. Spero che qualche donna che si trovi in difficoltà, leggendo la targa dedicata a mia figlia, trovi il modo e la spinta di reagire.