Loading

Emanuela Pettenò, 43 anni, addetta alla sorveglianza aeroportuale, mamma. Sequestrata e uccisa dal marito che le aveva rubato la pistola

Mestre (Venezia), 27 Settembre 2009


Titoli & Articoli

Emanuela in balia di 25 minuti di follia – Costretta a fare quella telefonata di addio al figlio (Corriere del Veneto – 29 settembre 2009)
Omicidio-suicidio La donna uccisa con 4 colpi. Lui aveva anche le manette – Ex agente uccide la moglie e si suicida
E’ rimasta in balia della follia del marito per venti­cinque minuti. E’ il tempo che Emanuela Pettenò è stata sotto la minaccia della pistola che Domenico Digiglio, padre dei suoi tre figli di 27, 21 e 17 anni, le puntava contro. Sotto quella minaccia ha chiamato il figlio maggiore per dirgli cosa stava succedendo e chiedere aiuto, una sorta di «addio» a cui l’ha costretta lui.
Emanuela, guardia giurata della «Save Security», 43 anni, che viveva con la famiglia a Marghera, in via delle Case nuo­ve, ha capito tutto solo alla fi­ne, dopo ore passate a parlare e litigare per l’ennesima volta con lui. Di suo marito Domeni­co, 46 anni, ex ispettore di poli­zia penitenziaria in pensione anticipata, si fidava. Quando sa­bato sera, dopo una cena con un’amica, è salita nella Citroen C2 di lui che l’aveva chiamata, lo ha fatto spontaneamente. Tre ore dopo è morta colpita da quattro colpi di pistola, la sua pistola di servizio.
Le volanti della polizia erano solo a poche centinaia di metri da lei, arriva­te nel buio totale dei campi di via Cimitero a Campalto, aller­tate dal figlio, troppo tardi per salvarla, in tempo per sentire prima i quattro colpi e poi, do­po cinque minuti, quelli con cui Digiglio si è ucciso. Emanuela e Domenico si sta­vano lasciando. Ma lei su quel­la macchina è salita tranquilla, si è tolta le scarpe per stare co­moda, ha fumato 4-5 sigarette. Lui aveva un altro programma però, perchè si era procurato la chiave della cassaforte dove lei teneva la Beretta e l’aveva pre­sa in sua assenza. Aveva anche portato delle manette, ma non le ha usate. Appassionato di aeromodel­lismo e di poker alla texana, Do­menico era bravo a sparare. Aveva insegnato lui a Emanue­la come tenere l’arma calibro 7.65 che avevano comprato in­sieme. Emanuela da un anno la­vorava come addetta alla sorve­glianza all’aeroporto Marco Po­lo, per la Save Security e quindi le serviva una pistola. L’aveva­no comprata assieme e lui ogni tanto la usava al poligono visto che la sua gli era stata ritirata.
Verso l’una e mezza ha porta­to la moglie a parlare in quel terreno di Campalto vicino alla laguna, buio, lontano dalle ca­se, usato da coppiette e tossici. Prima che la sua follia esplodes­se sono passate tre ore. Erano le 4.20 quando Domenico ha co­stretto Emanuela a chiamare il figlio e a dirgli quello che stava accadendo. Una specie di ad­dio, forse voleva che i loro corpi fossero trovati pre­sto. Il ragazzo ha subito chiamato il 113: «Mi ha detto che papà vuole ammazzarla — ha gri­dato — sono in via del cimitero a Campalto». Mentre le volanti parti­vano in cerca della cop­pia, l’agente della cen­trale ha chiamato la donna al cellulare, lei ha risposto agitata, è riu­scito a parlarle per qual­che istante. Domenico ha preso il telefono e h detto: «Voglio farla finita», poi ha chiuso la comunicazione. Quando gli agenti sono arrivati in via del Cimitero hanno senti­to esplodere quattro colpi. Poi il silenzio. Il quinto colpo, quel­lo che l’ex ispettore ha usato per suicidarsi, è stato esploso dopo cinque minuti, mentre i poliziotti nel buio totale aveva­no individuato l’auto e la stava­no circondando. Emanuela era morta, uccisa con due colpi al torace e due al collo, Domenico respirava ancora ma è morto poco dopo. (di Giorgia Gallina)

 

Omicidio – suicidio a Campalto. Tre ore di vuoto poi gli spari (La Nuova Venezia – 29 settembre 2009)
Lui l’aveva picchiata: per questo lei se ne voleva andare.
L’aveva picchiata ad agosto quando aveva capito che la stava perdendo. E’ stato l’episodio decisivo, che aveva spinto Emanuela Pettenò a separarsi dal marito Domenico Digiglio, dopo un matrimonio durato più di 25 anni e durante il quale sono nati tre figli.
Gli investigatori della Squadra Mobile, che indagano sull’omicidio-suicidio di via Cimitero a Campalto, stanno ancora lavorando per ricostruire le tre ore di vuoto che vanno da quando Domenico Digiglio esce per incontrarsi con la moglie, all’1.30 di sabato notte, alle 4.20 circa di domenica mattina, quando telefona al figlio per dire che si sarebbe ammazzato, ma prima avrebbe ucciso la moglie.
Tre ore durante le quali i due devono aver discusso e forse rinfacciati episodi e incomprensioni di una vita. Tre ore che gli agenti, molto probabilmente, non riusciranno mai a ricostruire con precisione. Perché per il momento non sono stati trovati testimoni che abbiano visto dove i due sono andati e cosa abbiano fatto. Non è chiaro se sono arrivati in via Cimitero subito dopo che moglie e marito si sono incontrati a Marghera per parlare, per chiarirsi come le aveva chiesto lui. Di sicuro la Citroen C2 è arrivata sul luogo della strage almeno mezz’ora prima del dramma. Questo stando al racconto dei campeggiatori tedeschi che erano lì da diverse ore e che avevano scambiato quell’auto per quella di alcuni cacciatori. La storia assume toni ancora più agghiaccianti se si pensa che la telefonata al figlio Loris, per annunciare l’intenzione di uccidere e di suicidarsi, è proprio Digiglio a farla.
Una telefonata che altro non è che il messaggio dell’uomo alla famiglia. Quello che solitamente altre persone che uccidono e si suicidano lasciano scritto da qualche parte. Quando Domenico chiama Loris dice: «Mi uccido con la pistola della mamma e uccido anche lei. Siamo vicino al cimitero di Campalto». E riattacca.
Pochi attimi minuti e il ragazzo ha già avvertito la polizia. L’operatore del 113 prima chiama sul cellulare dell’uomo ma lo trova spento. Quindi fa una telefonata su quello di Emanuela. Lei risponde chiedendo aiuto, dice di aver paura. Ma in quel momento il marito le strappa il cellulare e grida: «Mi uccido, voglio farla finita. La mia vita è rovinata». Chiude la conversazione senza però accennare al fatto che di lì a qualche attimo avrebbe ucciso anche la moglie.
I poliziotti hanno passato al setaccio la camera dell’uomo e il computer in cerca di elementi utili per capire da quanto tempo aveva deciso di chiudere con la vita in questa maniera tragica e portare con sé nell’altro mondo anche la moglie. Ma nulla è stato trovato. Nessun elemento utile a questo. L’unica frase che lascia capire come la situazione famigliare non fosse certo serena l’uomo l’ha scritta, diversi mesi fa, sul profilo della sua pagina su Facebook. Alla voce situazione sentimentale ha scritto: relazione complicata. (di Carlo Mion)


Link