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Elsa Bellotto, 47 anni,collaboratrice domestica, mamma. Uccisa dal marito, dopo anni di violenze, con un colpo di pistola

Quarto D’Altino (Venezia), 14 Aprile 2010

 

 


Titoli & Articoli

la lite fatale per un attrezzo per le api scomparso
Padre di dieci figli uccide la moglie con un colpo alla testa. Poi si toglie la vita (Corriere del Veneto – 14 aprile 2010)
Ex guardia giurata spara due colpi nell’abitazione di Altino, vicino all’aeroporto. Sono stati i bambini più piccoli a scoprire i cadaveri al rientro da scuola
Due colpi di pistola per mettere fine, nel modo più brutale, a quasi 30 anni di vita passata insieme, con inevitabili liti, diventate più frequenti negli ultimi tempi. L’ultima, banale nei motivi forse come e più di tante altre, per un attrezzo per le api scomparso ha innescato una tragedia. Una ex guardia giurata veneziana ha ucciso con un colpo di pistola alla testa la moglie e si è poi suicidato, con un colpo alla tempia. L’omicidio-suicidio mercoledì in una casa ad Altino, nel territorio di Venezia, a pochi chilometri dall’aeroporto Marco Polo. Poco dopo le 18, Rino Costantini, 54 anni, padre di dieci figli, ha sparato alla moglie, Elsa Bellotto 47enne e poi ha rivolto la pistola Beretta 7.65 calibro 9 contro se stesso, togliendosi la vita. La donna è stata freddata con un colpo da breve distanza, centrata alla parte sinistra della testa. Un proiettile alla tempia ha poi messo fine all’esistenza di Costantini. Teatro della tragedia familiare una abitazione di via Sant’Eleodoro.
I FIGLI E L’ORRORE – A scoprire i corpi, i figli più piccoli della coppia, due bambini di 7 e 8 anni. Rientrati da scuola nel pomeriggio, stavano giocavano in cortile. Il doppio boato delle detonazioni li riportati in casa, di fronte all’orrore: mamma e papà erano in un lago di sangue, i corpi uno accanto all’altro nella stanzetta adiacente alla cucina, usata normalmente come disbrigo. La stessa scena si è parata di fronte agli occhi degli uomini della mobile di Venezia, arrivati ad Altino poco dopo la chiamata al 113 (più di una in verità) di un vicino di casa dei Costantini. Sotto lo sguardo del capo della Mobile Marco Odorisio e del pm di turno Carlotta Franceschetti, si è ripetuto il rito di tante tragedie come queste: è stata isolata la casa, una costruzione anni Sessanta, accanto a decine di abitazioni simili; allontanati gli estranei alle indagini, che dovranno far luce sul movente, tentando di comprendere i motivi che hanno portato ad un gesto tanto tragico.
IL MENAGE FAMI carabinieri di fronte alla casa teatro dell'ennesima tragedia familiare (Errebi) ILIARE – La famiglia è molto conosciuta nel paese. Lui, un passato come guardia giurata, era il custode della valle di pesca dell’ex presidente del porto di Venezia Giancarlo Zacchello. Era anche apicoltore, appassionato. La coppia, come detto, aveva dieci figli: 7 il più piccolo, 27 il maggiore.
Pare che i rapporti tra marito e moglie fossero piuttosto tesi, e negli ultimi tempi i contrasti si sarebbero fatti frequenti. I vicini di casa li avevano spesso sentiti litigare, soprattutto al rientro dal lavoro di Rino. Elsa, la moglie, era casalinga: otto figli da accudire, tutti minorenni, non le lasciavano molto tempo libero. Gli unici due maggiorenni (uno ha 26, l’altro appunto 27 anni) vivono da alcuni anni altrove. Costantini non ha lasciato biglietti, nè lettere. Gli investigatori stanno raccogliendo testimonianze, ma è dai familiari che si può attendere una risposta a quanto avvenuto. Se mai risposta possa esistere.
(di Giorgia Gallina)

La famiglia – Il Comune interveniva da nove anni con aiuti economici e sociali
«I ragazzi venivano in classe pieni di lividi Lui era violento, Elsa subiva» (Corriere del Veneto – 15 aprile 2010)
Durante le liti bimbi cacciati di casa nella notte
Urla che si sentivano anche dalle case accanto, liti furibonde e porte sbattute: è il ritratto di una famiglia difficile, quello che raccontano i vicini, devastata dalle liti violente, che ormai tutti conoscevano, con i figli cacciati di casa nella notte e mandati a dormire nelle vicine case abbandonate e troppi lividi, visti addosso ai ragazzi dai compagni di scuola.
«Ero a scuola con una delle ragazze— racconta Luca Vio — lei arrivava spesso con botte e segni e quando facevamo educazione fisica si vedevano chiaramente. Non ne parlava molto con noi, però, qualche volta ci ha detto che suo padre era violento ma l’avremmo capito anche da soli, era ovvio che non potevano essere sempre delle cadute, erano troppo frequenti». È anche per quello, forse, e per la situazione a casa ormai insopportabile che, appena hanno potuto, due delle figlie sono andate a vivere da sole, a Quarto d’Altino.
«Il padre, da quel momento non le ha più volute vedere — racconta il vicino Enrico Gatto – “non tornate mai più”, gli aveva detto, che altrimenti sarebbero state botte».
Lui, Rino Costantini, 54 anni, era il custode della valle da pesca di Giancarlo Zacchello, appassionato di caccia e pesca, un uomo silenzioso, che aveva riempito la sua casa di trofei di caccia e che amava stare a contatto con la natura, lei, Elsa Bellotto, sua moglie da trent’anni, una donna schiva, attaccata ai figli, per amore dei quali non aveva mai voluto sporgere denuncia.
«Sono 25 anni che lavorava in valle per noi — dice Giancarlo Zacchello, ex presidente del Port e ex presidente degli Industriali di Venezia — aveva comprato casa da mio padre. Aveva le api, curava l’orto, si era fatto una famiglia. Non so cosa sia accaduto nella sua testa». Una situazione pesante, nota, ma mai segnalata pare alle forze dell’ordine.
Solo una figlia, dicono ora gli amici, poco tempo fa aveva deciso di rompere il silenzio con la polizia. «I figli non ne potevano più, hanno detto più di qualche volta ad Enrico che avrebbero voluto denunciare il padre ma la madre non era mai stata d’accordo — racconta Roberta Vio, la mamma di Enrico— da quella casa si sentivano sempre le urla, qualche volta più forti, altre meno, ormai non ci facevamo nemmeno più caso. Però a volte lui faceva davvero paura, la moglie era succube, ma con me non si è mai confidata».
Il Comune interveniva da anni. «Li conoscevo da nove anni, avevano dei problemi ma volevano superarli. Li ho visti pochi giorni fa — dice l’assessore alle politiche sociali, Maurizio Donadelli – non c’era alcun segnale. Lei non voleva fare denuncia, voleva aspettare».
Elsa, secondo l’assessore era una donna sensibile che partecipava alla vita della comunità dove viveva e che, insieme alla parrocchia, frequentava assiduamente gli incontri organizzati per creare momenti di aggregazione tra le famiglie e i ragazzi. Il Comune era spesso intervenuto anche con aiuti economici. «Incontravo spesso le due ragazze e la signora Elsa — dice il sindaco Loredano Marcassa — non mi hanno mai detto di sentirsi in pericolo a casa. L’ultima volta che le ho viste è stato durante lamessa, dove i bimbi più piccoli fanno i chierichetti ».
(di Alice d’Este)

 

Tragedia di Altino: un padre-padrone che tiranneggiava la moglie e i 10 figli (il Gazzettino – 15 aprile 2010)
Frequenti liti familiari, la donna veniva regolarmente insultata – I ragazzi potevano andare a scuola, ma non uscire con amici
«Ogni ricordo di loro due lo teniamo dentro di noi… nella nostra famiglia, che adesso vogliamo continui a restare unita». I figli di Elsa e di Rino, della madre uccisa con un colpo di pistola dal padre possessivo e violento, rivelano con un’unica parola il senso tremendo di ciò che è accaduto in questo lembo di campagna, sotto un cielo nero e umido dove volano gli aerei decollati da Tessera. La famiglia, ancora la famiglia, sempre la famiglia. È il movente, la causa, il totem sociale e individuale da cui è scaturita una violenza quotidiana che si è protratta per un’esistenza intera. Quei due spari dentro uno sgabuzzino sono l’esplosione bruciante che ha interrotto la vita agra di un uomo e di una donna che si erano amati, avevano messo al mondo dieci figli, ma avevano dovuto convivere con le paure e i fantasmi assurdi della mente di lui, capace di trasformare quella casa in una bolgia.
La vecchia villetta a due piani immersa nel verde altro non era che una specie di nuraghe. Il cancello davanti al quale stazionano due poliziotti, era il limite invalicabile di un mondo dove vigeva soltanto la legge di Rino Costantini, 53 anni, conosciuto come il Buraneo. Voleva imporre il suo dominio su tutti, all’interno di un cerchio familiare che egli aveva creato per difendere se stesso dalla ferita insanabile di essere stato allevato senza una mamma. E per proteggere i suoi cari dai pericoli, dalla contaminazione di ciò che stava fuori da quelle quattro mura, oltre l’orto dove aveva piantato i pomodori e le zucche, che faceva crescere con passione.
Non c’è nessuno, ad Altino, che si stupisca. Forse non pensavano, i vicini, che Rino sarebbe arrivato a tanto, abituati com’erano alle micro-esplosioni giornaliere di una brutalità che si manifestava all’esterno nelle grida selvagge e negli insulti rivolti alla povera Elsa Bellotto, 47 anni, e ai figli più piccolini. E che si concretizzava nelle bastonate domestiche, nelle botte, nei lividi, che nessuno aveva avuto il coraggio di denunciare.
Di tutto questo parlano per ore i figli rispondendo al Pm nella trattoria Antica Altino, a mezzo chilometro dal luogo dove si è consumato l’omicidio-suicidio dei loro genitori. Il bar è diventato una specie di Commissariato, una saletta è stata occupata per gli interrogatori. I ragazzi sono impauriti, frastornati. Ma non piangono, non in pubblico.
La più grande, Valentina, ha 26 anni. La più piccola ne ha solo sei. Nella differenza di età, quasi un quarto di secolo, è racchiuso il calvario della famiglia Costantini. Raccontano di quel padre che viveva l’ossessione di difendere la propria famiglia, di comandare, di imporre le sue regole. E chi non le rispettava veniva picchiato. I ragazzi potevano andare a scuola, ma poi era vietato uscire, avere amici o andare soltanto a mangiare una pizza. Era lui che comandava su quella tribù che aveva messo al mondo. Quando andava nella tenuta di Zacchello a fare il guardiano era per tutti una liberazione. Quando i bimbi prendevano il pulmino che li portava a scuola, era una festa.
I vicini raccontano il rancore di Rino per il mondo intero. «Due ore prima degli spari mi ha detto che i figli non lo aiutavano nell’orto. “Gliela farò pagare cara” sono state le sue ultime parole». Una donna: «Litigava perché tagliavamo le canne del giardino». Un uomo: «In tredici anni gli avrò parlato una volta sola». Il ragazzo che è entrato in casa e ha trovato i corpi: «Da tre giorni era una bestia, era andato fuori di testa». Un collega di lavoro: «Quando veniva in Val Dogà, era tranquillo, normale».
Era nel suo mondo che Rino scatenava la rabbia, la legge dell’isolamento, la paura del mondo.
Solo da qualche anno una breccia si era aperta. Mamma Elsa aveva trovato il coraggio di uscire. Andava ad aiutare in casa del figlio dell’imprenditore Zacchello. Era una piccola grande conquista, perchè guadagnava due soldi e si illudeva di avere un’esistenza normale. «In questi anni Elsa si è guadagnata la sua dignità, la sua libertà, la sua autonomia» confida il parroco don Gianni Fazzini.
Nessuno aveva pensato di presentare denuncia. «Lui vedeva dappertutto minacce per la famiglia, era impossibile farlo ragionare. Ed Elsa voleva tenere la famiglia unita. Si è lucidamente sacrificata per questo scopo» si sforza di cercare una morale escatologica. Le figlie più grandi avevano trovato lavoro ed erano andate via. Per lui erano come morte, non potevano più tornare. Giorni fa il figlio Riccardo ha detto alla madre: «Io vado a denunciarlo». Lei non aveva voluto. E ha segnato la propria fine.
(di Giuseppe Pietrobelli)

Omicidio-suicidio nel Veneziano
Un arnese per il miele la causa del raptus (Corriere del Veneto – 16 aprile 2010)
Ricostruito il movente, assegnato l’incarico per l’autopsia. Il figlio maggiorenne voleva denunciare il padre, fu fermato dalla mamma
Le ha sparato guardandola negli occhi. Non mentre era girata di spalle, com’era trapelato nella serata di mercoledì. Il colpo sparato da Rino Costantini non ha ferito la moglie Elsa Bellotto alla nuca, ma in testa, vicino alla tempia. Il tragico omicidio-suicidio di due giorni fa a Quarto d’Altino, che ha lasciato orfani ben dieci figli, si completa di alcuni particolari agghiaccianti. Come per esempio il probabile movente accertato dalla Squadra mobile della Questura di Venezia: una banale lite perché Costantini non trovava più un utensile che serviva per confezionare i barattoli di miele.
Il colpo esploso dalla Beretta 7.65 calibro 9 dimostrerebbe che i due si stavano guardando o che comunque il 56enne marito non ha colto la moglie 48enne di spalle, prendendola di sorpresa. La donna è stata trovata seduta su un mobile, forse perché lo era già o forse perché è caduta mentre moriva dopo lo sparo. Subito dopo Costantini ha rivolto la Beretta verso la propria tempia e ha premuto il grilletto. A trovarli, mezz’ora dopo, verso le cinque del pomeriggio, sono stati i due figli più piccoli, uno di 7 e uno di 8 anni: erano appena smontati dallo scuolabus come facevano tutti i giorni con gli altri due fratelli. Mai si sarebbero aspettati di trovarsi di fronte ad una tragedia più grande di loro. Ad avvertire il Suem 118 e la polizia sono stati i vicini di casa, avvertiti dai piccoli. «Sono morti, sono morti», gridavano.
A rendere ancora più assurda la vicenda, il motivo della lite, l’ennesima di una coppia segnata dall’aggressività esagerata di lui. Il capo della Squadra mobile di Venezia Marco Odorisio ha spiegato che i vicini avevano sentito litigare i coniugi per i barattoli di miele poco prima dei due spari. I poliziotti entrati in casa hanno trovato nello sgabuzzino dove conservavano il miele i cassetti aperti e sotto sopra, come se qualcuno avesse cercato qualcosa nei mobili della taverna. Rino aveva urlato contro Elsa che sarebbe stata la fine se non avesse trovato quell’arnese. Sembravano le solite «parole grosse», invece questa volta le sono costate davvero la vita.
Questo il motivo scatenante. Ma le tensioni nella coppia erano altissime da anni. I vicini hanno raccontato che spesso si sentivano le grida dell’uomo, i pianti, le botte. Più volte la donna e anche i bambini avevano i lividi. I piccoli erano stati mandati a dormire in un casolare vicino quando non obbedivano, in mezzo ai topi.
Non c’erano mai state denunce, però. Proprio nei giorni scorsi l’unico figlio maschio maggiorenne aveva minacciato di farla, ma la mamma lo aveva fermato per il bene dell’unità famigliare.
I servizi sociali del Comune di Quarto d’Altino li seguivano da anni, ma più per questioni economiche, visto il numero di figli. Ultimamente pare che Costantini, che di notte faceva il guardiano della valle da pesca dell’ex presidente dell’Autorità portuale di Venezia Giancarlo Zacchello, che abitava a due passi dal suo casolare, fosse anche preoccupato per il futuro del suo lavoro. Niente comunque che potesse far pensare a quanto accaduto. Tanto che una delle figlie agli inquirenti ha cercato di difendere strenuamente il padre, sostenendo che forse il colpo era partito per sbaglio, pulendo la pistola.
Il pm Carlotta Franceschetti darà l’incarico per l’autopsia ai medici legali Silvano Zancaner e Luciana Caenazzo, che già nella serata di martedì erano intervenuti sul posto per i primi rilievi. Una precauzione per escludere con certezza la presenza di una terza persona o altre ipotesi allo stato improbabili. È tutto chiaro e il fascicolo è destinato ad estinguersi per morte del reo. Restano i dieci figli, «vittime di una grande tragedia – ha detto Odorisio – bisogna salvaguardarli per non aggiungere altri traumi».
(di Alberto Zorzi, ha collaborato Martino Galliolo)

Un raptus dopo l’ennesimo litigio (la Nuova di Venezia e Mestre – 16 aprile 2010)
La figlia maggiore non accusa il padre: “Non voleva uccidere la mamma”
Non ha infierito sul padre
parlando con il magistrato e con gli agenti della Squadra Mobile che l’ascoltavano. Lei che poteva provare odio viscerale per quell’uomo, che molti hanno descritto come violento, manesco e padre-padrone di una grande famiglia, non lo ha fatto. Rino Costantini, 54 anni, quattro ore prima le aveva ucciso la madre Elsa Bellotto (47) e poi si era ucciso nella loro abitazione di via San Eliodoro 43, ad Altino. Lei, la maggiore dei dieci figli della coppia, nonostante all’improvviso sia diventata padre e madre di quei ragazzi, non ha infierito parlando con la dottoressa Carlotta Franceschetti mentre cercava di spiegare cos’era successo, secondo lei, verso le 17 di mercoledì pomeriggio. Non ha nascosto i metodi burberi del padre, le scenate, le minacce a lei, ai fratelli e alla madre. E ha raccontato anche delle percosse. Ma ha voluto dire che molto probabilmente suo padre non voleva uccidere la madre. Si è sparato, secondo lei, perché non voleva uccidere la donna. Una minaccia sì, come tante altre volte, uccidere no. Un raptus, chissà. Pensieri tormentati di una ragazza diventata più grande all’improvviso con una nidiata di fratellini ora da accudire.
E poi quel senso di colpa che la segna in questi momenti in cui la mattanza del laboratorio del miele le spacca il cuore. Sensazioni e pensieri consegnati agli inquirenti che le parlano, che le chiedono e che assieme a lei vogliono capire, dentro quella trattoria dove hanno trovato rifugio a poche centinaia di metri dalla casa dove si è consumata la tragedia, il perché di tutto questo. E poi ancora quel senso di colpa per essersene andata di casa qualche giorno prima. E non infierisce su quel padre che l’ha scaraventata in un mondo più grande di lei.
È la più grande dei figli, quella che forse ha subìto più angherie degli altri fratelli ma che non condanna e che ora assieme alle zie e alle due sorelle maggiorenni dovrà prendersi cura dei fratellini minori. Di tutti, ma soprattutto dei tre più piccoli che tornando da scuola, l’altro pomeriggio, hanno scoperto i cadaveri dei genitori in una pozza di sangue. E mentre il dramma di questi ragazzi, diventati grandi all’improvviso, viene gestito da parenti e amici, gli investigatori della Squadra Mobile, coordinati dalla pm Franceschetti, mettono a posto gli ultimi tasselli della storia di sangue. Un omicidio d’impeto, ne sono sicuri gli inquirenti. Nessuna premeditazione.
Un omicidio arrivato alla fine di uno dei tanti litigi che caratterizzavano la vita di questa coppia. Un litigio iniziato perché l’uomo non trovava, stando al racconto dei vicini che lo hanno sentito gridare e sbattere una porta, un attrezzo per governare gli alveari che accudiva davanti la casa. Un attrezzo forse cercato nei cassetti degli armadietti ospitati nel piccolo laboratorio dove lavorava e conservava il miele. Cassetti trovati aperti.
Il quadro probatorio si completerà domani, quando saranno eseguite le autopsie sui cadaveri, come disposto dai pm. Sostanzialmente una formalità per stabilire quali organi i colpi di pistola hanno trapassato. Due i proiettili sparati dalla Beretta calibro 7.65 trovata addosso alla gamba dell’uomo. Un colpo alla nuca della donna e uno alla tempia dell’uomo. L’altra pistola rinvenuta nei pressi dei due corpi non ha sparato anche se carica. Si tratta pure questa di un’arma calibro 7.65. L’autopsia servirà pure a stabilire se prima della morte c’è stata un’eventuale colluttazione e se la donna si sia resa conto che il marito le stava per sparare e abbia cercato di difendersi. Comunque poco cambia. Infatti l’assassino è morto. Ma la legge ha i suoi protocolli che vanno rispettati. Poi si conoscerà la data dei funerali e per quei dieci ragazzi inizierà una nuova vita.


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