Delia Fadi, 35 anni, operaia, mamma. Uccisa a colpi di pistola, insieme al figlio di 4 anni, dal marito e padre (strage di Tarcento)
Tarcento (Udine), 4 Dicembre 2007
Titoli & Articoli
Delia Fadi (Messaggero Veneto – 6 dicembre 2007)
Delia Fadi, 35 anni, era originaria di Venzone. Era molto legata al suo paese, tanto che sul campanello della casa di mamma e papà era rimasto anche il suo nome. Sposata nel ’99 a Michele Peressotti, dal quale aveva avuto il piccolo Lorenzo, lavorava da tempo come operaia alla Safilo di Martignacco e viveva a Tarcento, nell’abitazione che lunedì notte é divenuta palcoscenico del delitto. Divideva la sua vita tra lavoro e famiglia. Chi la conosce la ricorda come una mamma dolcissima, molto orgogliosa del suoi piccolo e molto attaccata alla famiglia: da quella di origine a quella costruita con Michele Peressotti. Da Venzone era passata domenica per un saluto alla famiglia e agli amici, come sempre.
Ammazza moglie e figlioletto e si uccide (la Repubblica – 5 dicembre 2007)
Tre colpi di pistola alla testa: il primo contro il figlio Lorenzo, 4 anni, trovato ancora sotto le coperte; il secondo contro la moglie Delia Fadi, 35 anni, stesa in terra con addosso il pigiama e in mano un telefono cordless; il terzo contro se stesso, sparato a pochi passi dal letto del bambino.
Michele Peressotti, 38 anni, operaio del Comune di Tavagnacco, ha messo fine così alla propria famiglia. Sterminandola e poi uccidendosi nella notte tra lunedì e ieri, nella casa in cui abitavano, in via Brucchiolosa 12, a Tarcento. All’origine della tragedia, forse, una crisi depressiva.
Il ritrovamento.Sono stati i carabinieri della stazione di Tarcento i primi a trovarsi di fronte alla scena del delitto. Ma era stato il padre di Michele a chiamarli, impensierito prima dall’assenza dall’asilo del nipotino e, poi, dalla mancata risposta del figlio alle sue ripetute telefonate. Come ogni giorno, nonno Guido si era recato alla scuola materna, per prendere il bambino e accompagnarlo a casa. Non vedendolo uscire dall’asilo e non riuscendo a mettersi in contatto con i genitori, ha deciso di presentarsi a casa loro. Sono le 15.30: il campanello suona a vuoto e la porta è ancora chiusa dal di dentro. All’anziano non rimane altro da fare che chiamare i carabinieri. Che, non riuscendo a loro volta a entrare, chiedono l’intervento dei vigili del fuoco. L’ostacolo viene superato alle 16, con l’uso di un grimaldello.
Nella stanza del figlio. In casa non c’è segno di vita: imposte ancora chiuse e silenzio tombale. Nonno e vigili restano fuori, mentre i carabinieri salgono le scale e raggiungono la zona notte, al primo piano. Dal corridoio, scorgono il primo corpo: è quello di Delia, esanime sulla porta della cameretta del figlio, immersa in una pozza di sangue. Poco distante, ai piedi del letto del bambino, c’è il cadavere di Michele. E sono tinte di rosso anche le lenzuola sotto le quali, la sera prima, era stato coricato il piccolo Lorenzo. Entrambi i coniugi indossano il pigiama e nella loro camera il letto è disfatto.
Nel giro di pochi minuti, sul posto arrivano i carabinieri della compagnia di Cividale e quelli della Squadra rilievi del Reparto operativo nucleo operativo del Comando provinciale di Udine, che avvertono la Procura. Da Udine arrivano anche alcuni agenti della Squadra mobile della Questura. L’abitazione, una casetta in linea indipendente, disposta su quattro piani in una viuzza interna a due passi dalla piazza centrale del paese, viene isolata col nastro bianco-rosso. Parte la macchina investigativa, coordinata dal sostituto procuratore di Udine, Claudia Danelon, che si allontana dal luogo del delitto dopo quasi quattro ore di indagini. L’ispezione cadaverica è eseguita dal medico legale Carlo Moreschi. I carabinieri sentono anche i vicini di casa, che però affermano di non essersi accorti di niente, e il medico curante di Michele.
Spari nella notte.Secondo una prima ricostruzione dei fatti, il delitto si è consumato attorno alla mezzanotte e mezza. A farlo sospettare è un particolare decisivo: dal cordless trovato in mano a Delia è partita una telefonata proprio a quell’ora. L’ultima rimasta in memoria, per un totale di uno o al massimo due squilli fatti suonare a casa dei genitori di Michele. Una chiamata muta, dunque. Ma forse molto più significativa di tante altre telefonate. Quando Michele entra nella stanza del figlio, Lorenzo è già a letto. Gli punta la pistola alla testa e lo uccide a sangue freddo. É a quel punto, sempre secondo le prime ipotesi investigative, che interviene Delia: sente lo sparo, teme il peggio e afferra il telefono per chiamare i suoceri. Ma quando il marito la vede, la fredda con il secondo colpo di pistola. Il terzo è per lui: dritto in bocca.
L’arma. In casa Michele, notoriamente appassionato di armi, custodiva un piccolo arsenale: tre pistole e sette fucili, tutti regolarmente denunciati. Quella che sceglie per l’omicidio-suicidio è una Glock austriaca calibro nove. Gli inquirenti la troveranno per terra, nella cameretta di Lorenzo. Ed è sempre lì che, dopo lo spostamento dei cadaveri, saranno rinvenute anche le chiavi che aprono l’armadietto nel quale sono custoditi gli altri esemplari.
Lo strazio dei parenti. Nessun familiare viene fatto entrare in casa. Ma nel cortile si raccolgono pian piano tutti. I genitori, la sorella Laura e uno zio di Michele, il fratello di Delia e alcuni amici. Oltre al sindaco Roberto Pinosa e al parroco monsignor Corgnali. I genitori di Delia vengono accompagnati nella caserma dei carabinieri. E una folla di curiosi, soprattutto giovani, si raduna attorno all’abitazione.
Il magistrato. Alle 19.45 esce dalla casa la dottoressa Danelon. Abbiamo eseguito accertamenti molto approfonditi – afferma – e ci siamo fatti un’idea precisa di quello che può essere avvenuto. Ma non abbiamo ancora elementi sufficienti, per dire quale possa essere stato il movente. La verifica, comunque, spetta ai medici legali. Pochi minuti dopo le tre salme vengono caricate sul carro funebre, per essere portate nella cella mortuaria.
La chiave depressiva. Per quanto da tutti considerato un uomo equilibrato e tranquillo, Michele soffriva di una forte insonnia che l’aveva portato alla depressione. A maggio aveva cominciato a curarla e dieci giorni fa uno psichiatra gli aveva prescritto un antidepressivo.
Solo 11 giorni fa la strage che ha sconvolto Tarcento (Messaggero Veneto – 16 dicembre 2007)
Un operaio di 38 anni sparò alla moglie e al figlioletto di quattro, prima di togliersi la vita
La tragedia di Molin Nuovo piomba con una fragore che fa male in un Friuli ancora scosso dalla vicenda di Tarcento, dove una mamma e un bambino sono stati uccisi da un papà che poi si è tolto la vita. È accaduto solo undici giorni fa. Troppo coinvolgenti e vicini nel tempo i due drammi per assimilare un dolore preparandosi ad affrontarne un secondo. La notte fra il 3 e il 4 dicembre è stata l’ultima della brevissima vita di Lorenzo Peressotti, quattro anni, un sorriso contagioso e le movenze eleganti ed educate da fargli guadagnare il soprannome di Piccolo lord. Un colpo di pistola partito dalla mano di un papà tenerissimo dilaniato dalla crisi depressiva ha chiuso per sempre i suoi sogni, le sue attese, i suoi pensieri ingenui.
Anche nello sconvolgente fatto di ieri c’è un angioletto che spicca il volo con l’assurdo contorno dell’atmosfera più attesa dai bambini, quella di fine anno, gli addobbi, le preghiere, i regali, il piacere di stare in famiglia e aspettare Santa Lucia e poi Babbo Natale… Quel calore che fa a pugni col gelo che a volte attanaglia coppie, persone, situazioni, genitori favolosi. Nel delitto di Tarcento, secondo gli investigatori, Michele Fadi ha puntato la pistola contro il piccolo Lorenzo, addormentato, per poi rivolgerla verso Delia che stava accorrendo nella stanza del piccolo. Il terzo colpo è stato per lui, in bocca. Spari che nessuno ha sentito.
Uno strazio scoperto soltanto la mattina successiva, con l’angosciante presentimento del padre di Michele. L’uomo si era recato all’uscita dall’asilo per prendere il nipotino, come faceva tutti i giorni, non l’aveva trovato, ha telefonato a figlio e nuora e quegli squilli a vuoto hanno cominciato a inquietarlo. Silenzio anche al suono del campanello dei congiunti dove si era precipitato. Finchè i carabinieri del posto, con l’aiuto dei vigili del fuoco, non sono entrati nella casa. Michele Peressotti, operaio manutentore dipendente del Comune di Tavagnacco, conosciuto e apprezzato da tantissimi amici e conoscenti come persona affabile ed equilibrata, aveva una doppia passione: il calcio, era da quasi 20 anni bandiera degli amatori del Collerumiz, e le armi. Tra pistole e fucili, ne teneva in casa 10 e spesso correva a esercitarsi al poligono di tiro. È stato tragicamente fin troppo facile imbracciarne uno per mettere fine a quei fantasmi che gli tormentavano la mente. Una cosa così grande e impossibile da spiegare che i parenti, tutti, hanno potutto sentire su di loro l’abbraccio e l’affetto delle migliaia di persone che hanno voluto prendere parte ai funerali. Che hanno salutato col cuore Michele, Delia e Lorenzo prima di vederli riposare insieme, per sempre.