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Sabrina, 44 anni, impiegata al Comune e artista. Uccisa a fucilate dal padre (strage di Brozzi)

Firenze , 4 Marzo 2017

 


Titoli & Articoli

Omicidio-suicidio ma Sabrina era un’artista felice (Toscana Media News – 4 marzo 2017)
La Comunità di Sant’Egidio ricorda Sabrina Magnolfi, la donna uccisa stamattina dal padre che poi ha sparato anche alla moglie e si è tolto la vita
La tragedia che ha spezzato le vite di un padre, di una madre e di una figlia ha turbato profondamente le tante persone che frequentano la famiglia Magnolfi. Il dramma si è compiuto questa mattina intorno alle 7.30 quando il padre, Guerrando, 84 anni, ha imbracciato il fucile e ha sparato due colpi mortali alla figlia Sabrina e alla moglie Gina Paoli, 81 anni. Poco dopo i soccorritori li hanno ritrovati insieme, sdraiati sul letto matrimoniale. Lì vicino un biglietto dove l’uomo spiegava di voler lasciare tutti i suoi averi a un’associazione di pittura frequentata dalla figlia.
Sabrina Magnolfi aveva 44 anni e pur essendo disabile aveva un’esistenza piena che la Comunità di Sant’Egidio ha ricordato in un comunicato descrivendola come “un’artista felice e una donna che aveva cura di sé e degli altri”.
“La vita di Sabrina era immersa in una rete di relazioni, con amicizie fedeli che abbracciavano anche i suoi familiari – si legge nella nota – La Comunità di Sant’Egidio, l’Unitalsi, la cooperativa Barberi, gli amici della parrocchia e della casa del popolo, le persone del quartiere, i colleghi del suo lavoro al Quartiere 5, tutti sapevano di questa sua capacità di dipingere, tanto da avere esposto i suoi quadri alle mostre allestite dalla scuola di pittura della Comunità di Sant’Egidio – l’ultima delle quali a Palazzo Davanzati. Sue opere sono pubblicate anche nei cataloghi realizzati in occasione delle mostre”.
“I quadri dicono molto di lei, delle sue passioni, del suo gusto per la relazione – prosegue la nota – In ‘Iqbal’, ad esempio, aveva rappresentato un bambino afghano al lavoro per invocare il diritto all’educazione e all’istruzione. E’ un’opera che fa riflettere e invita a non perdere la speranza in un domani migliore. La tecnica pittorica utilizzata era quella delle mascherine con pennello e spugna. La stesura compatta del colore e al tempo stesso il particolare risalto delle sfumature erano dovuti alla familiarità di Sabrina con questa tecnica che le aveva permesso di superare le difficoltà manuali dovute a una tetraparesi”.
“Nel 2007, partecipando a una conferenza a Napoli, Sabrina aveva conosciuto Ceija Stojka, una signora Rom che le aveva raccontato di essere stata deportata e tenuta prigioniera nei campi di concentramento di Auschwitz e di Ravensbruck – racconta ancora la Comunità di Sant’Egidio – Sabrina aveva voluto rappresentare la vita della sua amica prigioniera nelle baracche del campo, costruendo con pezzi di cartone delle sagome e montandole su una tavola di compensato. Il colore nero rappresentava la prigionia, mentre la luce era il momento della liberazione, ma anche la speranza che non si era mai spenta in Ceija, aiutandola a sopravvivere in quei giorni terribili. Una bella foto raffigura Sabrina e Ceija insieme, felici con le loro amiche, immerse nella belleza di quell’incontro”. “Chi ha conosciuto Sabrina, la ricorda così – conclude la nota – Era un’artista che traeva gli spunti delle sue opere dalle conoscenze dirette, dai rapporti personali che coltivava con cura e passione, dalle tante amicizie che la circondavano. Il laboratorio che frequentava si chiama proprio “Laboratorio d’arte degli Amici” della Comunità di Sant’Egidio, e Sabrina ne era una degli artisti più fedeli”.
Sabrina lavorava per il Quartiere 5 del Comune di Firenze. Il sindaco Dario Nardella ha espresso profondo cordoglio alla famiglia e pronto a contribuire ai funerali di Sabrina e dei suoi genitori.

 

La certezza di Sabrina: voler vivere (La Nazione – 5 marzo 2017)
Un’artista impegnata e appassionata, una donna felice di vivere, di avere amici. Una pittrice investita dalla tragedia consumatasi nella notte di sabato a Firenze, quando è scomparsa in un delitto che lascia sgomenti, con più domande che risposte. Ma ci sono certezze e sono quelle legate proprio a lei, a Sabrina Magnolfi. Anni fa aveva creato un’installazione in cui con cartone scuro stuccato e dipinto componeva un labirinto con una piccola lampada accesa, dalla luce inaspettata sul fondo. Aveva interpretato così la tragedia dell’Olocausto, a partire dall’incontro con Ceija Stojka, una donna rom sopravvissuta da bambina ai lager nazisti di Auschwitz e Ravensbruck. Sabrina l’aveva conosciuta in occasione di un convegno internazionale a Napoli ed era rimasta colpita dalla sua storia, tanto da volerla subito tradurre in un’opera d’arte.
Sabrina era un’artista che traeva gli spunti delle sue opere dalle conoscenze dirette, dai rapporti personali che coltivava con cura e passione, dalle tante amicizie che la circondavano. Il laboratorio che frequentava si chiama proprio ‘Laboratorio d’arte degli Amici’ della Comunità di Sant’Egidio e Sabrina ne era una degli artisti più fedeli. La sua vita era immersa in una rete di relazioni bella, profonda, con amicizie che abbracciavano anche i suoi familiari. Sant’Egidio, l’Unitalsi, la cooperativa Barberi, gli amici della parrocchia e della casa del popolo, le persone della sua zona, i colleghi del suo lavoro al Quartiere 5: tutti sapevano di questa sua capacità di dipingere, tanto da avere esposto i suoi quadri alle mostre allestite dalla scuola di pittura di Sant’Egidio – l’ultima delle quali a Palazzo Davanzati. Sue opere sono pubblicate anche nei cataloghi realizzati in occasione delle mostre. I quadri dicono davvero molto di lei, delle sue passioni, del suo gusto per la relazione. Chi ha conosciuto Sabrina la ricorda così.

Sabrina, la luce dei disabili (spenta dal suo papà) (Avvenire – 7 marzo 2017)
La donna, anima del quartiere Brozzi di Firenze, è stata uccisa sabato scorso dal padre. I suoi amici hanno scritto ad Avvenire: «Realizzeremo il suo sogno, costruiremo una casa per i disabili»
Non s’era arresa mai, Sabrina. Nemmeno quando qualche anno fa la tetraparesi che la tormentava dalla nascita aveva finito col toglierle persino la possibilità di camminare da sola. La carrozzina era diventata indispensabile per ogni spostamento, ma Sabrina era più forte. Della carrozzina e della tetraparesi. Anzi, a dirla tutta, la battaglia era persa in partenza: vinceva lei, sempre. Col suo sorriso travolgente, la sua voglia di fare, di partire, di organizzare, di lavorare, di dipingere. Di vivere.
Sui giornali, anche il nostro, Sabrina è «la disabile uccisa dal padre a Firenze» sabato scorso. Il padre ha sparato a lei, alla moglie, e poi s’è tolto la vita. Troppo difficile, secondo lui, prendersene cura, troppo angoscioso pensare che prima o poi sarebbe rimasta da sola, «non ce la facciamo più» ha tagliato corto l’uomo, su un biglietto scritto prima di compiere la strage.
Ieri a prendere carta e penna hanno pensato gli amici di Sabrina. Che ad Avvenire hanno deciso di raccontare la storia di una donna speciale. Una donna capace di cambiare, col suo coraggio, la vita delle persone che la circondavano e di un intero quartiere. Oggi in lutto.
Lavorava, Sabrina. I genitori non volevano, le avevano detto che no, non era proprio il caso. Ma lei non sopportava d’essere la sua disabilità: «La mia malattia è una cosa, io sono un’altra» ripeteva alla sua migliore amica, Silvia. Così s’era iscritta a un concorso pubblico e l’aveva vinto: impiegata al Quartiere 5 (una delle circoscrizioni del Comune di Firenze). La mattina venivano a prenderla presto, quelli dei servizi sociali: sorriso per tutti, il vestito curato, un filo di trucco. Sabrina, 44 anni, faceva la rassegna stampa per il presidente, poi trascriveva atti e documenti sul pc (che usava alla velocità della luce), ancora passava le scartoffie, gestiva la segreteria, aiutava i colleghi. Con lo stipendio si manteneva, e copriva le spese dei genitori anziani: Guerrando, 84 anni, e Gina, 82. Il resto – l’aiuto economico appena poteva, ma soprattutto l’impegno e la passione – era per gli amici: al Laboratorio di pittura della Comunità di Sant’Egidio, all’Unitalsi, alla cooperativa Barberi, in parrocchia e alla casa del popolo.
Del Laboratorio, in particolare, Sabrina era l’anima e la forza motrice. Sempre propositiva, sempre presente. Quello era lo spazio dell’incontro con gli altri – i disabili, i volontari, i semplici appassionati di pittura –, del dibattito, della creatività, della fede anche. «Sabrina era inarrestabile – racconta Silvia –. Per ogni viaggio che facevamo, a Roma, ad Assisi, a Napoli, aveva un nuovo progetto, una nuova meta. Voleva andare a Parigi, voleva andare in Terra Santa, almeno una volta, nella vita». Solo l’aereo la terrorizzava, ma c’è da scommettere che avrebbe superato anche quella paura. E poi c’era il suo impegno per gli altri, tradotto nei gesti quotidiani e nella pittura soprattutto. «Si parlava della condizione dei bimbi nei paesi teatro di conflitti ed eccola a dipingerli, i piccoli, al lavoro per invocare il diritto all’educazione e all’istruzione. Una volta ha incontrato una signora rom, Ceija Stojka, che le ha raccontato di essere stata deportata e tenuta prigioniera nei campi di concentramento di Auschwitz e di Ravensbruck. Ed eccola pronta a rappresentare la vita della sua amica prigioniera nelle baracche del campo, costruendo con pezzi di cartone delle sagome e montandole su una tavola di compensato». Era difficilissimo, perché ci si metteva la tetraparesi a intorpidirle le mani, ma lei vinceva di nuovo.  Quando ci si ritrovava tutti insieme, la domenica, magari dopo la Messa, qualcuno pregava ad alta voce per un mondo migliore. «Il mondo migliore lo facciamo di già – diceva Sabrina –, quando aiutiamo gli altri perché stiano bene».
La frase fa parte di un piccolo diario, che nel corso degli anni (21 trascorsi insieme al Laboratorio) i suoi amici hanno raccolto e che ora stanno mettendo in ordine: «Lo facciamo leggere a voi intanto, poi chissà». Stava così bene coi suoi amici, Sabrina, che nel cassetto aveva il sogno di comprare una casa per tutti. Era andata con Silvia a vederne alcune, nel quartiere Brozzi: «Ho i soldi, ho chi mi ama, adesso voglio il futuro».
Tra Sabrina e il suo futuro c’è l’abisso d’una tragedia decisa da qualcun altro. Qualcuno che Sabrina, col suo futuro, non l’aveva mai vista. Ieri Silvia è stata chiamata dai carabinieri in caserma. Sul biglietto lasciato sul tavolo della cucina papà Guerrando ha scritto anche che i soldi della famiglia, tutti i loro averi, devono andare al Laboratorio di pittura. «Siete voi?», hanno chiesto gli agenti. «Sì», ha risposto Silvia con gli occhi pieni di lacrime. «Non so cosa succederà, dei soldi e del resto. So che il sogno di Sabrina, la casa di Sabrina, diventerà una realtà però. Noi, che tanto l’abbiamo amata e tanto abbiamo ricevuto da lei, vivremo per costruirla».

 

LA VOGLIA DI VIVERE NONOSTANTE TUTTO: per Sabrina, Gina e Guerrando (Leo Magazine – 13 marzo 2017)
Oggi, 13 Marzo 2017 si è celebrato nella Chiesa di San Martino a Brozzi (nella periferia di Firenze) il funerale di Sabrina, Guerrando e Gina Magnolfi.
Quella mattina si poteva capire lo strazio anche da lontano. Una scena quasi da film, con polizia, carabinieri e vigili che bloccavano la strada e circondavano l’abitazione. Una cosa inusuale se si pensa che Brozzi è molto piccola ed è costituita da un unica strada, per l’appunto via di Brozzi. Tutto il paese era con il nodo alla gola per una delle storie più drammatiche per quanto riguarda la cronaca fiorentina. Uscire e trovare davanti una schiera di persone ha frastornato chi abitualmente andava all’alimentari oppure in tabaccheria, e mai nessuno avrebbe pensato ad un omicidio suicidio. Quando le cose le vivi personalmente o almeno quando succedono in un mondo molto vicino al tuo, allora ti toccano ancora di più e ti senti quasi in colpa per non essere riuscito a capire la sofferenza  e la disperazione di un genitore affranto e stanco di questa situazione. Brozzi,  come ha anche detto il sindaco di Firenze durante la cerimonia funebre è una delle poche realtà dove veramente si pensa alle persone con delle difficoltà, dove veramente tutti si conoscono e cercano di aiutarsi o quanto meno il dialogo è parte fondamentale della comunità brozzese.
Erano persone per bene, ben integrate nel quartiere di Brozzi. Sabrina, che era la figlia, era tetraplegica. Una malattia che però non le faceva mancare nulla, neanche il sorriso. Aveva un lavoro, frequentava la comunità di Sant’Egidio, i pomeriggi la trovavi sempre in piazza a parlare con le altre concittadine sempre con il sorriso sulle labbra e la voglia di sentirsi raccontare le cose che succedono nel mondo. Si è spenta all’età di 44 anni per un colpo d’arma da fuoco, un fucile, sparatogli dal padre durante la notte tra Venerdì e Sabato scorso. Il padre, 84 anni, si dice che non ce la facesse a sopportare l’idea di vedere la figlia sola dopo la loro seppur non prossima morte. Secondo le indagini della polizia, l’uomo avrebbe prima  puntato il fucile e fatto fuoco contro la moglie e la figlia entrambe distese nel letto, per poi dare l’allarme al nipote, che quindi sentendo la chiamata ha avvisato l’ambulanza, senza però riuscire a cambiare le cose; Guerrando  una volta riattaccato il telefono si è puntato il fucile contro e ha deciso di porre fine anche alla propria vita. Sul luogo è stato ritrovata una piccola lettera, in cui diceva che i pochi soldi rimasti dovevano essere destinati ad un associazione di pittura che lui stesso frequentava insieme alla moglie.
Come dice il nipote, Marcello Mini, ai microfoni di Rai 3: “E’ stato un fulmine a ciel sereno, nessuno si aspettava una fine così crudele. Sabrina era una donna con difficoltà motorie, ma parlava, aveva un lavoro, dipingeva”. Lo sconforto in un quartiere che l’ha cullata, che l’ha fatta sentire parte integrante e che non l’ha mai lasciata sola. Come racconta il presidente del Quartiere 5 di Firenze, Cristiano Balli: “aveva un handicap motorio, ma aveva tante altre capacità. Ogni mattina nel suo ufficio faceva la rassegna stampa selezionando le notizie più importanti che riguardavano il quartiere e le stampava. Poi saliva con l’ascensore e me le portava.”
Oggi salutiamo una persona speciale, una donna che trasmetteva tutta la sua voglia di vivere e che nonostante tutto andava avanti, supportata in tutto e per tutto dai familiari, dai conoscenti. La disperazione del padre è comprensibile in un paese sempre più lontano da queste realtà che esistono e che non vanno tralasciate. La solitudine è cattiva compagnia, perché porta alla disperazione e la disperazione  porta a commettere azioni folli anche contro chi hai amato con tutto te stesso. Adesso all’ingresso del portone ci sono i fiori e ogni passante che sia a piedi o in macchina si sofferma a guardare il portone, provando a ricordarsi di Sabrina che ogni mattina usciva da quel portone con il sorriso e con la voglia di assaporare da vicino il suo mondo, il nostro mondo.
Ciao Sabrina, ciao Guerrando e Gina. Ci mancherete!


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In memoria di

‘Pop Sofia’, la mostra all’ospedale di Santa Maria Nuova (Go News – 4 dicembre 2018)
Ironica, coloratissima, attrattiva. E’ ‘Pop Sofia’, l’ultima opera di Sabrina Magnolfi, l’artista del laboratorio d’arte de ‘Gli Amici’ di Firenze scomparsa due anni fa, che sull’ipad aveva voluto comporre un omaggio all’ammirata Sofia Loren. La Sofia nazionale ed internazionale era stata scelta da Sabrina come soggetto per la sua opera da portare alla mostra tematica ‘La forza degli anni’, ora aperta fino al 10 dicembre nel cortile dell’ospedale di Santa Maria Nuova.
L’esposizione, dedicata al tema ‘La forza degli anni’, a cura del laboratorio d’arte de ‘Gli Amici’ della Comunità di Sant’Egidio, è stata inuagurata nei giorni scorsi e l’opera di Sabrina è un video che ti accoglie all’ingresso dello storico arcispedale che custodisce preziose opere d’arte. Con esse entrano in dialogo le tele e le composizioni degli Amici. La mostra, allestita da Bernardo Delton, direttore del Laboratorio, e curata da Silvia Simoni, è patrocinata dall’Azienda Usl Toscana Centro e promossa in collaborazione con la Direzione sanitaria del Presidio ospedaliero di Santa Maria Nuova e la Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze, e resterà aperta fino al 10 dicembre 2018. Il catalogo è edito da Mandragora e porta la firma anche di Antonio Natali, che è stato direttore della Galleria degli Uffizi: “Non so dire come l’arte entri nella mente e nell’animo dell’uomo – scrive nell’introduzione – Non so se si possa trasmettere per via genetica o se si apprenda anche tramite i percorsi carsici dell’inconscio. So però che la creatività è – grazie a Dio – dote innata e aspirazione insopprimibile. E ne ho avuta, alle porte di Firenze, nuova e poetica conferma”.
Tutti gli artisti del laboratorio d’arte de ‘Gli Amici’, disabili, si sono fermati a meditare e rappresentare un aspetto della vita degli anziani, delle loro necessità, dei sogni e delle speranze che continuano a vivere e che aiutano anche i più giovani a vivere. Nell’ottobre scorso si è tenuto a Firenze il secondo convegno internazionale sul tema ‘La forza degli anni’. Gli ‘Amici’ sono una vera e propria rivelazione registrata con sempre maggiore interesse dalla critica d’arte contemporanea. Da Giotto ad Andy Warhol a Jeff Koons, “l’invenzione d’ogni opera si deve all’artista, mentre l’esecuzione può essere talora scaturita da una collaborazione fra l’artista medesimo e l’educatore. E chi sa qualcosa di storia sa bene che proprio questo accadeva in antico nelle botteghe degli artisti”, osserva Natali. Se, considerato “il metodo creativo di cui s’è detto, si volesse, noi pure, volgarmente privilegiare la lingua inglese, dovremmo segnalare la presenza negli immediati contorni di Firenze della ‘Sant’Egidio Factory’. E in questi tempi di confusione generale ne verrebbe di sicuro un riscontro finanche più positivo. Ma a noi basta la bella lingua italiana; la quale, anzi, ci offre un vocabolo che consente una più fedele immagine di quanto succede a Brozzi, dov’è operoso il ‘Laboratorio d’Arte’ della Comunità di Sant’Egidio. Laboratorio come luogo destinato a esperienze molteplici; come spazio di ricerca, nella fattispecie espressiva. Ma laboratorio anche come cantiere”. La forza degli anni Mostra d’arte Ospedale di Santa Maria Nuova 24 novembre / 10 dicembre 2018 Progetto grafico e allestimento: Bernardo Delton Cura della mostra: Silvia Simoni Realizzazione dell’allestimento: Etruria Musei