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Nicola, 17 anni, studente. Ucciso insieme alla madre, Anna Daniele, a colpi di pistola dal padre, Cesare Cuozzo

Napoli, 15 Luglio 2015

«Se dopo la mia morte volessero scrivere la mia biografia, non c’è niente di più semplice. Ci sono solo due date – quella della mia nascita e quella della mia morte. Tutti i giorni fra l’una e l’altra sono miei».

 

 


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Strage di San Giovanni a Teduccio: Nicola è morto così
Hai 17 anni e il tuo cammino si ripartisce equamente tra i dissestati marciapiedi delle caotiche strade del tuo quartiere, San Giovanni a Teduccio e quei sentieri pregni di sogni che sanno caricarsi con i colori delle aspettative e delle ambizioni, peculiari di quel limbo di strada che resta da percorrere per raggiungere la maggiore età.
18 anni: la conquista del libretto delle giustificazioni, la patente, l’automobile, le uscite tanto attese sulle quattro ruote con gli amici ed anche con quella tipa che, tra una cosa e l’altra, stanzia sempre nei pensieri e tra i pensieri, la cui vista innesca quell’ingestibile battito di cuore. Così forte, così intenso, così emozionante.
Quanta vita in un solo e semplice numero: 18.
Un numero che personifica il mancato conseguimento di un traguardo, divenuto inaspettatamente inafferrabile per Nicola Cuozzo, due candeline destinate a non adornare quella torta che probabilmente già stava pregustando, insieme al primo desiderio da maggiorenne da consegnare a quel soffio, denso di gioia, di aspettative e di vita. Soprattutto di vita.
Vita inondata da quell’enfasi, acerba, parzialmente ingenua, ancora non del tutto segnata dalle brutture più scaltre e ciniche, peculiari dell’esistenza, ancora capace di guardare al mondo con occhi ottimistici e di spingersi sempre più oltre con i sogni, per giungere laddove non esistono staccionate che limitano chimere e desideri.
È morto così Nicola Cuozzo, mentre stava accarezzando i suoi sogni di imminente diciottenne, a pochi, pochissimi metri dal conseguimento di quel primo, agognato traguardo. Avrebbe raggiunto la maggiore età il prossimo ottobre ed invece, tra lui e la vita, si sono frapposti dei colpi di pistola che ne hanno arrestato il cammino terreno ed anche quello peculiare del giovane ed intrepido sognatore.
Ad infliggere quella morte, le mani in cui è scalfita la forma più embrionale e viscerale d’amore, quella che contraddistingue solo e soltanto il sentimento che congiunge un padre e un figlio. E che mai potrebbe e dovrebbe generare morte, dopo aver procreato una vita, verso quella stessa vita. Forse, quel padre, tante volte, prima di quell’ultima e tragica notte, avrà raccomandato suo figlio di riguardarsi dai brutti ceffi e di proteggersi dai pericoli che un’arma carica può letalmente sortire.
Poi, accade l’inimmaginabile, l’irrecuperabile, l’irreversibile. Sono le sue stesse mani ad afferrare un’arma e disseminare morte. Nicola è morto sognando i nefasti di una vita stroncata nel sonno, eternamente privata di tutto: in primis, della possibilità di comprenderne le ragioni. Prima di uccidere sua moglie, nonché madre di Nicola ed infine conficcarsi una pallottola nel cranio portandosi la pistola alla tempia, quell’uomo, il padre di Nicola, ha voluto coprire quel giovane corpo esanime con un lenzuolo.
Un ultimo atto d’amore. Un lampante gesto di compassione verso quella carcassa, straziata dalla sua stessa follia omicida, secondo altri. Nessuno mai potrà trovare un compiuto ed attendibile senso a quella notte di sanguinaria atrocità consumatasi in casa Cuozzo.
Nicola è morto così.

Computer, fumetti e musica: il sogno spezzato di Daniele
Sgomento, tristezza, ma soprattutto incredulità. A San Giovanni Teduccio, in via Ammiraglio Aubry, ventiquattro ore dopo la scoperta della strage, la gente non riesce a capacitarsi della tragedia che si è abbattuta sui Cuozzo, una famiglia da tutti considerata assolutamente normale e, per quanto si potesse vedere dall’esterno, senza particolari problemi.
I rari passanti, arrivati davanti al condominio, alzano appena la testa per cercare con lo sguardo la casa dove sono stati trovati i corpi, poi proseguono senza fermarsi. L’abitazione in cui è stata compiuta la strage era quella in cui anni fa avevano vissuto i genitori di Anna Daniele, passata poi alla donna che vi si era stabilita con la sua nuova famiglia. Anna, 51 anni, aveva sempre vissuto in via Ammiraglio Aubry, nella zona erano in molti quelli che la conoscevano. «Era una persona solare, – racconta un’amica – anche se con gli estranei era sempre abbastanza riservata. Ma con chi la conosceva non aveva mai manifestato preoccupazioni particolari. Certo, le cose in famiglia non andavano sempre bene, ma per quanto ne sapevamo noi si trattava di discussioni banali, di quelle che nascono in seno a tutti i nuclei familiari. Niente che potesse far immaginare quello che sarebbe poi successo». «Se ci avesse chiesto aiuto – replica un’altra donna, visibilmente commossa – avremmo potuto fare qualcosa. Intervenire o almeno aiutarla a trovare una soluzione. Ma niente, non sapevamo nulla».
Nel pomeriggio alcuni amici e parenti si sono recati in visita dalla sorella della vittima, che abita nello stesso palazzo. Parlano poco, anche per rispetto ai familiari, ma tutti sono concordi: una famiglia come tante, riservata e perbene. Cesare Cuozzo, 53 anni, il capofamiglia, aveva lavorato come bidello in una scuola. Poi aveva avuto un problema a una gamba, che lo aveva portato al prepensionamento. Nemmeno i vicini di casa sapevano che fosse in cura per problemi psichici.
«Quando andava al lavoro – racconta un uomo, venivano a prenderlo in taxi. A volte c’erano amici o colleghi per aiutarlo a scendere le scale, visto che non c’è l’ascensore. Ma sembrava una persona tranquilla, nessuno scatto d’ira nè altro, sempre gentile».
Nessuno riesce a spiegarsi cosa abbia potuto portarlo, nella notte tra lunedì e martedì, a prendere una pistola che chissà come era riuscito a procurarsi e ad aprire il fuoco contro la moglie e il figlio, per poi rivolgere l’arma contro se stesso.
Anna era casalinga, in passato aveva saltuariamente collaborato con un semiconvitto in zona che qualche anno fa era stato chiuso. La spesa al supermercato di zona, il cornetto al cioccolato al bar a quattro passi per quel figlio che era sempre al centro dei suoi pensieri.
Nicola, diciassette anni: ne avrebbe compiuti diciotto ad ottobre. Frequentava l’istituto alberghiero Cavalcanti, nello stesso quartiere. Un ragazzo tranquillo secondo il racconto di chi lo conosceva. Alla strada e alle amicizie pericolose, frequenti nei quartieri della periferia, aveva preferito computer, fumetti e amici con cui condividere queste passioni.
Sulla sua pagina Facebook ci sono le foto del Comicon, i disegni di Corto Maltese, citazioni, scatti insieme agli amici e alle amiche. Disegni, canzoni, sorrisi spensierati e scene di vita quotidiana di un ragazzo che tra poco sarebbe diventato maggiorenne. Scriveva Nicola appena qualche giorno fa sul suo profilo: «Se dopo la mia morte volessero scrivere la mia biografia, non c’è niente di più semplice. Ci sono solo due date – quella della mia nascita e quella della mia morte. Tutti i giorni fra l’una e l’altra sono miei».

I tormenti del bidello, un anno e mezzo fa aveva tentato il suicidio 
di Stella Cervasio
Ci aveva già provato. Un anno e mezzo fa aveva preso dei farmaci per farla finita Cesare Cuozzo, 53 anni, ex operatore scolastico che ha sparato uccidendo la moglie cinquantunenne, Anna Daniele- sorella dell’assessore alla Cultura del Comune Nino- e il figlio diciassettenne Nicola a San Giovanni a Teduccio. I carabinieri hanno accertato che Cuozzo era in cura da 12 anni presso i servizi di igiene mentale Asl. La tragedia nella notte tra il 13 e il 14 luglio. Nell’appartamento al quarto piano l’uomo, uscito dalla stanza da letto dove dormiva la moglie, ha sparato un colpo alla testa del figlio, poi ha ucciso Anna Daniele e si è seduto al suo fianco puntandosi la pistola al petto. La casa era allagata dai condizionatori non svuotati. L’arma, un revolver 38 Special non censito, era precedente al 1978. A chiamare il fabbro per scassinare la porta è stata la sorella della donna, che vive nello stesso fabbricato. L’autopsia oggi.
ILRACCONTO
VIVEVA ormai in un mondo a fumetti. Nicola Cuozzo, non ancora maggiorenne, aveva trovato una strada per poter volare via. Non come ha voluto suo padre, che l’ha ucciso nel sonno in preda all’infelicità della follia, ma con un grande talento che aveva scoperto nella sua scuola, l’Alberghiero Cavalcanti. «Voleva fare il doppiatore di cartoni animati e fumetti », dice in lacrime la sua insegnante di francese. E una sua vicina di casa da lunedì avrebbe cominciato a dargli lezioni di guida: «Era un tesoro, passava molto tempo a leggere chiuso nella sua camera».
Un quartiere sotto shock. La tragedia covava sotto la cenere di un apparente equilibrio ritrovato. Basta poco a destabilizzare una situazione così. Anna Daniele e il figlio Nicola hanno pagato per aver cercato a tutti i costi una famiglia come tante altre, serena, senza scossoni emotivi. Che invece erano continui terremoti, in via Ammiraglio Aubry, all’ultimo piano dell’unica palazzina non popolare, a due passi dal cosiddetto Bronx di San Giovanni a Teduccio. Lo diceva il volto teso di Anna, segretaria temporanea nell’amministrazione di un vicino istituto. Anna che aveva tutto sulle spalle. Un peso insostenibile, quello di dover spiegare alle scuole del figlio, prima bambino, poi adolescente, che le sue assenze erano conseguenza delle crisi del padre, dalle quali doveva metterlo in salvo portandolo dai nonni. Quello di dover accettare la pensione precoce, il congedo, del compagno proprio dallo stesso istituto alberghiero a pochi passi da casa, dove il loro ragazzo si era appena iscritto, 4 anni fa e l’anno prossimo si sarebbe diplomato. «Il papà era sempre assente per malattia », spiega la vice dirigente. «Diceva a tutti di avere tre pensioni », racconta un vicino di casa che ha parcheggiato l’auto davanti al cancello.
La sofferenza di Anna per quell’uomo ammalato senza via d’uscita era stata intuita da molti, ma nessuno, neppure la coppia venuta a vivere dietro la porta accanto nel 2011, si era accorta del malessere. Nessuno sapeva della pistola, neppure la sorella Daniele che viveva nello stesso stabile. «Voleva un cucciolo di cane, ma col suo mal di schiena avrebbe dovuto accudirlo la moglie, così aveva rinunciato». Il volto di Anna aveva l’espressione di chi soffre in silenzio anche nel pomeriggio di lunedì, quando un’amica l’aveva vista al balcone: «C’era stata una riunione di condominio: le avevo detto te la sei scampata? E lei aveva fatto segno con la mano come a dire che per lei no, non c’era scampo in quella casa con una persona sofferente». Dalla chiesa di fronte i rintocchi lugubri delle campane. Due giorni di silenzio in casa e nessuno si è accorto di niente. «Qui gli spari dei fuochi d’artificio sono continui », osserva una vicina del secondo piano.
Piange la scuola Cavalcanti. «Questo era il primo anno – dice l’insegnante di matematica che Nicola era cresciuto, non era più introverso, addolorato per la famiglia». Le fa eco la docente Elena Auricchio: «Stanotte non ho potuto dormire. Mi hanno scritto tutti i suoi compagni che vogliono ricordarlo in quel momento magico che non dimenticheremo mai. Il nostro progetto di un percorso di didat- tica 2.0 sul fumetto dell’autore bolognese Francesco Lopez Visicchio, “Come il Titanic. Diario a fumetti di un affondamento”, dal titolo “La valigia”. La nostra riflessione su un’Europa che affonda proprio come il mito infranto di quel transatlantico». Nicola aveva partecipato a tutte le fasi. «Le persone ammassate – aveva detto all’insegnante mi ricordano Lampedusa col suo carico di morte». Aveva fatto suo il testo, lavorando anche alle musiche. «Nicola ha interpretato magistralmente Mouradh, che con il fratello Jamil arriva nel barcone in Europa- spiega la docente – Ha mostrato talento e la classe l’ha sentito vicino a sè, stabilendo un’empatia che non c’era mai stata. Quel ragazzo aveva certamente un futuro. Ho dovuto chiedere alla dirigente un sostegno psicologico per i suoi compagni: non se la sentono di tornare in classe con quel banco vuoto». Nicola Cuozzo aveva iniziato un corso: il suo sogno era fare il doppiatore di cartoons, per questo la frase di Corto Maltese trascritta sul suo profilo Facebook: “Quando ero bambino mi accorsi che non avevo la linea della fortuna sulla mano. Così presi il rasoio di mio padre e zac! Me ne feci una come volevo”. Nelle pagine del suo diario sui social tante foto con gli amici, che lasciano il posto a immagini grafiche, collegate alla sua passione, il design e il fumetto. Via via Nicola si sentiva più lunare. Il 20 febbraio scorso aveva scritto su quella pagina, citando Fernando Pessoa: “Se dopo la mia morte volessero scrivere la mia biografia, non c’è niente di più semplice. Ci sono solo due date – quella della mia nascita e quella della mia morte. Tutti i giorni fra l’una e l’altra sono miei”.


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