Roberto Cecchetti, 28 anni, grafico con piccoli precedenti per atti vandalici al parco. Massacra di pugni la fidanzata fino a spaccarle la mandibola, la strangola e rimane a guardarla agonizzante, poi se ne va abbandonandola nel parco. Condannato a 30 anni con rito abbreviato
Arluno (Milano), 9 Gennaio 2011
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“Non volevo uccidere Monica è stata la reazione ad una lite” (il Giorno – 10 gennaio 2011)
Arluno, 13 gennaio 2011- «Non volevo ucciderla. Mi si è spenta la luce e ho combinato un disastro». Un momento di follia, quello che Roberto Cecchetti, 28 anni, l’ex fidanzato di Monica Savio, 36 anni, l’operaia di Vittuone uccisa ad Arluno, ha descritto agli inquirenti.
«Una ricostruzione precisa dei fatti – commenta Giovanni Bosco, l’avvocato difensore del giovane residente a Soriano, frazione di Corbetta -. È stato un raptus di cui il ragazzo si è pentito un attimo dopo». Ieri per il presunto omicida è stato il giorno dell’udienza preliminare davanti al Gip di Milano, Gianfranco Criscione, che nelle prossime ore confermerà il fermo disposto dal pubblico ministero, Grazia Pradella. «Il mio assistito si è assunto la responsabilità del gesto – spiega il legale di Abbiategrasso -. Valuteremo quale strategia processuale adottare. Non è stato un omicidio premeditato: le conseguenze sono andate al di là della volontà di Cecchetti». Secondo la difesa, Monica Savio sarebbe stata vittima di un delitto preterintenzionale. «Il ragazzo sostiene che la tragedia sia avvenuta in seguito a una discussione accesa – rivela l’avvocato Bosco -. Una lite come tante che è degenerata ed è finita come non avrebbe mai dovuto finire, dopo un aperitivo in un pub».
In base alla ricostruzione raccontata da Cecchetti al legale, il delito si sarebbe consumato a pochi metri dal parco Toti, dove, domenica sera, un passante – o una coppia – hanno avvistato il corpo di Monica . «Il ragazzo dice di esser sceso dall’auto – racconta Bosco – e di esser stato offeso. A scatenare il raptus sarebbe stato il lancio del telefonino da parte della donna. A quel punto il mio assistito ha picchiato la ragazza. Quando se ne è andato, il corpo era ancora in vita. Era convinto di non averla uccisa». A quel punto Cecchetti si sarebbe allontanato da via Mazzini per rientrare a casa, probabilmente a piedi, come lascerebbe intendere il ritrovamento dell’auto della donna vicino ai giardinetti. A sostegno del racconto dell’imputato ci sarebbero alcuni rilievi fotografici che attestano lievi graffi sul collo del giovane. Se la dinamica lascia spazio ormai a pochi dubbi – la ragazza è morta in seguito ai pugni scagliati con una violenza inaudita, come recita nel capo di imputazione il pm Pradella, e a uno strozzamento, dopo che l’ex fidanzato sarebbe stata a guardarla un quarto d’ora in stato agonizzante – restano da chiarire ancora tanti particolari, a cominciare dai rapporti tra il presunto omicida e la vittima.
Secondo i familiari della donna, infatti, tra Roberto e Monica ci sarebbero stati solo pochi mesi di «normale frequentazione in compagnia». La difesa, invece, parla di una «relazione di 7-8 mesi interrotta da qualche tempo e di un riavvicinamento nelle ultime settimane». La vittima ha cambiato numero di cellulare per non essere più cercata, come raccontato dalla sorella Cesarina, oppure tra i due vi sarebbe stato un legame tale da giustificare una pizza ultimamente?
Uccise la fidanzata a pugni: 30 anni (Corriere della Sera – 7 ottobre 2011)
L’omicidio avvenuto ad Arluno lo scorso gennaio. Con il rito abbreviato l’uomo ha evitato l’ergastolo
Appassionato di kickboxing, per quaranta minuti aveva colpito a pugni in faccia la donna con cui da un anno aveva una relazione. La terribile morte di Monica Savio, 36 anni, era stata in parte ripresa dalle telecamere di un parco ad Arluno. Quelle immagini sono costate a Roberto Cecchetti, grafico di 29 anni, la condanna a 30 anni di reclusione per omicidio volontario aggravato dalla crudeltà. Una condanna inflitta con rito abbreviato, dunque con lo sconto di pena, che altrimenti sarebbe stata l’ergastolo. L’omicidio della donna era stato particolarmente efferato: dopo averla pestata fino a spaccarle la mandibole, l’assassino l’aveva strangolata ed era rimasto a lungo a guardarla mentre agonizzava. Per il perito la morte sarebbe avvenuta sia per soffocamento, sia per le ferite. Il pm Grazia Pradella, nel corso della requisitoria, ha descritto la scena del pestaggio come un «film dell’orrore, agghiacciante, mai visto». La donna, ha spiegato il pm, aveva la «faccia spappolata».
GELOSIA FATALE – Il giudice ha accolto la richiesta di pena formulata dal pubblico ministero, pur facendo cadere l’aggravante dei futili motivi contestata nel capo di imputazione. Il corpo agonizzante di Monica Savio era stato ritrovato da un passante intorno alle 22 nel parco vicino all’autostrada dove Cecchetti era arrivato con lei in macchina. Invano il passante aveva chiamato il 118: la 36enne era morta ancora prima di essere portata in ospedale. Il tutto, aveva raccontato lo stesso Cecchetti dopo essersi costituito il giorno successivo, a causa di un litigio scoppiato per la gelosia della stessa vittima, che aveva visto sul cellulare del compagno il numero di telefono di un’altra donna. Quando gli investigatori erano giunti sul posto, non erano riusciti a identificare subito la 36enne, perché era senza documenti e aveva il viso completamente sfondato.
IL GIALLO DEL RITROVAMENTO – In un primo momento avevano pensato che potesse trattarsi di una prostituta sudamericana: indossava pochi indumenti nonostante il freddo, ma le sue impronte non risultavano registrate nella banca dati delle forze dell’ordine. Si è poi ricostruito che faceva l’operaia, viveva a Vittuone con un figlio piccolo avuto dal marito da cui si era separata e da un anno aveva una difficile relazione con Cecchetti, con cui era tornata insieme dieci giorni prima di essere uccisa. Il grafico si era costituito il giorno dopo ed era stato fermato dal pm dopo l’interrogatorio. Da allora si trova in carcere. E’ stato condannato a risarcire subito le parti civili, assistite dall’avvocato Giovanni Parini: un milione di euro al figlio della vittima, 200mila al marito e 100mila euro alla sorella e ai genitori.