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Luigi Campise, 24 anni, barista nel chiosco dei genitori. Uccide la fidanzata con una raffica di proiettili. Condannato a 30 anni, ridotti a 16 in appello, è libero dopo 2. Il padre della ragazza chiede l’intervento del Ministro

Montepaone Lido (Catanzaro), 27 Febbraio 2007

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Titoli & Articoli

Uccise una 18enne e dopo tre anni è in libertà Alfano: “Nella legge c’è qualcosa che non va” (Massimo Malpica su il Giornale, 11 agosto 2009)
Il Guardasigilli Alfano sul caso di Montepaone: “Vicino ai familiari della ragazza uccisa”. E manda i suoi 007. Il ministro: “Voglio capire come sia accaduto, ho chiesto accertamenti rapidissimi”. Berlusconi: a settembre il varo del nuovo processo penale
Una ragazza di 17 anni freddata sotto casa a revolverate dal fidanzato geloso, e il killer che dopo due anni e mezzo gira libero per strada. Il padre disperato chiede giustizia con una lettera al Corriere della Sera, e il ministro della Giustizia Angelino Alfano risponde: «Evidentemente c’è qualcosa che non va». E promette accertamenti per capire come sia potuto accadere che un assassino reo confesso torni così presto a piede libero.
La storia risale al febbraio del 2007. Barbara Bellerofonte (nel tondo), 17 anni, era a cena con i genitori nella sua casa di Montepaone, in provincia di Catanzaro. Il fidanzato, Luigi Campise, allora 22enne, le citofona. Lei scende a parlargli. Voleva lasciarlo proprio per la sua ossessiva gelosia, ma lui sotto casa si presenta armato, e scarica la pistola sulla ragazza: quattro colpi, tre raggiungono Barbara. Uno dei proiettili le resta nel cervello. Venti giorni di agonia, poi la morte. Lui finisce in carcere poche ore dopo, è reo confesso. Dice di essere pentito, di aver agito per gelosia, di non aver premeditato l’esecuzione, sostiene che voleva solo «spaventare» la ragazza. Ma la sua versione non convince, il suo dolore sembra il tentativo di trovare una scappatoia. Eppure in attesa della sentenza Campise lascia il carcere poco più di un anno dopo, il 28 aprile del 2008, per scadenza dei termini di custodia cautelare. Torna dentro un mese dopo, perché condannato a 4 anni per altri reati, legati all’operazione antidroga «Pit Stop». E il 17 gennaio di quest’anno il gup di Catanzaro lo condanna a 30 anni con rito abbreviato, riconoscendo premeditazione e futili motivi.
Per i genitori di Barbara è una magra soddisfazione, ma almeno pensano che il killer della loro bambina ora debba pagare: «È stata fatta giustizia, anche se nessuna sentenza potrà mai ripagarmi del fatto che non ho più con me mia figlia», spiega lasciando l’aula la madre della 17enne, Lucia Cosentino. Ma pochi mesi dopo, a fine luglio, Campise lascia di nuovo il carcere. In attesa dell’appello, e grazie all’indulto e a sconti per «buona condotta», l’assassino torna a spasso per le strade del suo paese, Soverato. La Procura di Catanzaro non emette una nuova ordinanza di custodia cautelare in carcere perché, spiega l’avvocato del ragazzo, «non hanno ritenuto che ci fosse il pericolo di fuga».
Per i genitori è una mazzata tremenda. Loro, che avevano già denunciato a giornali e tv la prima scarcerazione di Luigi Campise, ad aprile dell’anno scorso, non possono sopportare quest’altro affronto. Così Giuseppe, il papà di Barbara, scrive una lettera al Corriere: «Ignoro i motivi che hanno indotto la giustizia italiana a liberare l’omicida, ma quello che mi chiedo da padre, da cittadino, da uomo, è se è giusto tutto questo. Se è giusto additare ai nostri giovani questo esempio di comportamento, e far capire che in Italia tutto è permesso, tutto è possibile, compreso un omicidio, tanto poi si riesce sempre a trovare il modo di essere liberati».
Uno sfogo, quello del padre della ragazza uccisa, che, come detto, è stato immediatamente raccolto dal Guardasigilli Alfano. «Ho immediatamente incaricato i miei ispettori di fare degli accertamenti preliminari per acquisire delle informazioni in tempi rapidissimi e per comprendere subito, già oggi, come è potuto accadere. E dunque ho inviato gli ispettori in via d’urgenza», ha spiegato il titolare del dicastero di via Arenula ieri in un’intervista al Tg5. Alfano, che ha voluto esprimere «forte vicinanza» con i familiari di Barbara, ha manifestato i suoi dubbi sull’iter della vicenda. Spiegando che «a volte l’ossequio formale della legge contrasta fortemente con il senso profondo di giustizia di ciascuno di noi». E concludendo che «quando ciò accade evidentemente qualcosa non va».

 

Scarcerate (e condannate) Luigi Campise (Marco Travaglio su il Fatto Quotidiano, 12 agosto 2009)
Ci siamo arrivati, finalmente: ora abbiamo gli arresti a furor di popolo e a gentile richiesta del ministro della Giustizia. Nell’ambito della progressiva privatizzazione della sicurezza e della giustizia, è bastato che un giornale, Il Corriere della Sera, raccogliesse il comprensibilissimo allarme del padre di una ragazza uccisa due anni fa a Soverato, che Il Giornale titolasse in prima pagina “La giustizia sta dalla parte dell’assassino”, che altri quotidiani strillassero alle “scarcerazioni facili” e che il Guardagingilli Alfano minacciasse di sguinzagliare i suoi ispettori, perché i giudici di Catanzaro rimandassero in galera il presunto assassino (presunto perché, nonostante la sua confessione, non è stato condannato in via definitiva, ma solo in primo grado). La storia è quella di Barbara Bellorofonte, assassinata – secondo la prima sentenza – dal suo fidanzato Luigi Campise nel febbraio del 2007 in un raptus di gelosia dopo l’ennesima lite.
Questa la successione degli eventi. Reo confesso, Campise viene subito arrestato. Ma due mesi dopo viene rimesso in libertà perché non ricorre nessuna delle tre esigenze cautelari: né pericolo di fuga (si è consegnato ai giudici), né inquinamento delle prove (ha confessato), né ripetizione del reato (non è un serial killer: ce l’aveva solo con la sua ragazza, che ormai è morta). Poche settimane dopo, però, viene di nuovo arrestato per un altro reato: un’estorsione. Intanto, in tempi relativamente rapidi per la giustizia italiana, prosegue il processo per l’omicidio, che si chiude in primo grado nel dicembre del 2008 con la condanna a 30 anni in primo grado: il massimo della pena col rito abbreviato (il pm aveva chiesto l’ergastolo, ma la scelta del rito alternativo ha imposto ai giudici di applicare lo sconto).
I difensori dell’imputato ricorrono in appello per chiedere una pena più lieve. Dunque Campise è un imputato detenuto in attesa di giudizio definitivo. I giudici decidono di non applicargli una nuova custodia cautelare per l’omicidio perché, dopo la condanna in primo grado, essa può essere giustificata solo col pericolo di fuga. Che non sussiste: sia perché Campise non ha mai tentato di fuggire e ha sempre collaborato, sia perché è già in galera per l’estorsione. Anche in quel processo il giovane opta per il rito abbreviato e viene condannato ad altri 4 anni e mezzo: condanna non appellata, dunque definitiva e scontata in carcere. Purtroppo però la condanna per estorsione viene vanificata dall’indulto, che abbuona 3 dei 4 anni e mezzo e il mese scorso provoca la scarcerazione di Campise.
Vedendolo gironzolare per Soverato, il padre della povera Barbara scrive scandalizzato al Corriere: “L’assassino di mia figlia è libero”. Nonostante il comprensibile dolore dei famigliari, non c’è nulla di illegale in tutto ciò: secondo la Costituzione, nessuno è colpevole fino a condanna definitiva e, per arrestare qualcuno, occorrono esigenze cautelari che qui non sussistono (in base alla controriforma del 1995, voluta dai politici terrorizzati dalla galera dopo Tangentopoli, il pericolo di fuga dev’essere “concreto”: in pratica, bisogna sorprendere il tizio con la valigia pronta e il biglietto aereo per l’estero in tasca). Se e quando Campise sarà condannato in via definitiva, dovrà finire in galera e restarci, possibilmente, fino all’ultimo giorno. Prima, no. Ma i giornali, anziché informare correttamente l’opinione pubblica (per farlo, dovrebbero informarsi a loro volta), preferiscono vellicare le fregole dei rondisti ferragostani e tambureggiare sulle “scarcerazioni facili” (che ovviamente non esistono).
Gli house organ di Al Pappone ne approfittano per associare quel che accade a Soverato con l’immancabile “riforma della giustizia” in arrivo in autunno (riforma che, detto per inciso, renderà ancora più lente le procedure della custodia cautelare, visto che sarà disposta non più da un solo gip, ma da un collegio di tre giudici, e ovviamente senza più intercettazioni). Angelino Jolie riesce addirittura a dichiarare che “a volte l’ossequio formale della legge contrasta con il senso profondo di giustizia di ciascuno di noi”. Cioè, ad avviso del ministro dell’Ingiustizia, i giudici non dovrebbero applicare la legge: dovrebbero rivolgersi alla piazza e interrogarla sul suo “senso profondo di giustizia”. Come Pilato dal balcone: chi volete libero, Gesù o Barabba? La risposta della piazza, notoriamente dotata di un senso profondo di giustizia, la conosciamo: Barabba libero e Gesù a morte. Detto, fatto.
Al Fano sguinzaglia gli ispettori, i giudici si prendono paura e, a furor di popolo, rimettono in galera un imputato che fino a qualche giorno fa, secondo gli stessi giudici, non meritava di tornarci.
Infatti Campise viene arrestato a casa sua, da dove avrebbe potuto comodamente fuggire durante tutto il can-can politico-mediatico di questi giorni: invece non l’ha fatto, a riprova dell’assenza di qualsiasi pericolo di fuga (unico motivo in base al quale poteva essere riarrestato). Chiunque abbia a cuore la Giustizia, quella vera, dovrebbe chiedere la scarcerazione immediata di Campise e una condanna rapida in secondo e terzo grado, cosicchè possa finalmente scontare la pena, ma solo quando la legge lo prevede, e non quando lo chiedono i giornali o i politici.
Ultimo particolare: senza l’indulto del 2006, Campise oggi sarebbe ancora in carcere a scontare la pena per l’estorsione, dunque la sua scarcerazione non è stata né facile né difficile: è stata disposta in base a una legge, quella dell’indulto, approvata con i voti del centrosinistra (tranne Idv e Pdci), dell’Udc e del centrodestra (tranne An e Lega). Cioè anche con il voto di Angelino Al Fano. Che gli ispettori non dovrebbe mandarli a Catanzaro, ma a casa propria. Ce ne sarebbe abbastanza per far insorgere i soliti garantisti un tanto al chilo, i vari Pigi Battista, Galli della Loggia, Panebianco, Sergio Romano, Piero Ostellino, sempre pronti a tuonare contro il “giustizialismo”, la “giustizia politica”, la “giustizia di piazza”, la “gogna mediatica” e il “circuito mediatico-giudiziario”. Ma questi invece tacciono: per loro sono sempre “facili” le scarcerazioni degli imputati comuni. Invece, quando si tratta di un potente, sono “facili” le manette.

 

Montepaone: omicidio Bellorofonte, ridotta pena in appello per Luigi Campise (il Quotidiano del Sud – 23 marzo 2010)
La delusione nelle parole del papà di Barbara Bellorofonte per la sentenza nei confronti dell’assassino di sua figlia
E’ stata ridotta a sedici anni di reclusione la pena in appello nei confronti di Luigi Campise, il giovane di 26 anni condannato in primo grado a 30 anni di reclusione per l’omicidio della fidanzata 18enne Barbara Bellerofonte (in foto), compiuto a Montepaone Lido (Cz) il 27 febbraio del 2007.
La sentenza è stata emessa dai giudici della Corte D’Assise d’appello di Catanzaro che hanno ritenuto le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti. Al termine della requisitoria il sostituto procuratore generale, Domenico Prestinenzi, aveva chiesto la conferma della condanna di primo grado.
Campise, dopo un anno di detenzione, nell’aprile del 2008 fu scarcerato per l’omicidio della sua fidanzata perchè il tribunale della libertà accolse la richiesta del suo difensore contro la proroga delle indagini sul delitto. Nel maggio del 2008 fu nuovamente arrestato per i reati di estorsione e porto illegale di arma. Successivamente il giovane, in libertà per l’omicidio fu scarcerato perchè aveva scontato la condanna per i reati di estorsioni. La scarcerazione di Campise provocò polemiche ed il giovane fu nuovamente arrestato.
LA DELUSIONE DEL PADRE DI BARBARA BELLOROFONTE
«Dopo questa sentenza c’è poco da dire. Sono deluso». È quanto ha detto Giuseppe Bellorofonte, padre di Barbara, dopo aver assistito alla lettura della sentenza d’appello. L’avvocato Enzo De Caro, legale della famiglia Bellorofonte, ha evidenziato che «le sentenze vanno rispettate. Sulla condivisione, invece, attendiamo di leggere le motivazioni dei giudici. E poi sarà la procura generale a decidere se questa sentenza merita di finire in Cassazione».
«Il dolore per la morte di una figlia – ha concluso – è qualcosa che prescinde da una sentenza. I genitori di Barbara sono comunque straziati e nessuno potrà ridare l’affetto e l’amore della loro figlia».


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