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Giulio Cesare Morrone, 34 anni, imprenditore, padre. Strangola la moglie e getta il corpo in un canale. Confessa 22 anni dopo, ma il reato è prescritto

S. Teresa di Spoltore (Pescara), 7 Marzo 1990

morroneL’ha strangolata e poi ha accompagnato il figlio a scuola e l’ha gettata in un fiume. Dieci anni dopo si rinchiude in un monastero e confida l’omicidio a un prete che però lo rivela a un amico che va a denunciarlo. Ma il reato è prescritto.


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«Strangolò la moglie, ma era esasperato»
Prescritto l’omicidio di Teresa Bottega del 1990. Depositate le motivazioni della sentenza che ha lasciato libero Morrone
Il tecnicismo che lascia in libertà Giulio Cesare Morrone, uxoricida reo confesso a scoppio molto ritardato, va a braccetto con il “picconamento” della figura di Teresa Bottega, la vittima, il cui modus operandi avrebbe finito per esasperare il coniuge, responsabile della sua morte violenta.
L’assenza dei “futili motivi”, che la legge cataloga come la sproporzione tra l’azione omicida e la motivazione alla sua base, diventa il nodo centrale di una sentenza che ha sollevato polemiche e lasciato sgomenta la famiglia di Teresa,
uccisa a 35 anni nel marzo 1990 nella sua casa a Santa Teresa di Spoltore e il cui corpo, gettato dal marito in un canale a Bondeno, nel Ferrarese, non è mai stato trovato.
Dalle 13 pagine delle motivazioni del verdetto con rito abbreviato che lo scorso 7 novembre ha dichiarato estinta per intervenuta prescrizione l’accusa di omicidio volontario ed evitato il carcere a Morrone, oggi 57enne, emerge – ampia e stridente – la forbice che divide il moto dei sentimenti dalle prescrizioni asettiche del codice penale, che non vuole condannato un uomo, nonostante la confessione, se il delitto ha travalicato la linea dei 20 anni.
Quell’assassinio, rivelato alla Mobile e al pm dopo 22 anni da Morrone – che pure molto tempo prima si era già confidato con un prete, don Giuseppe Femminella, fuori della confessione – resta impunito perché l’aggravante del rapporto di coniugio non è supportata da quella, da ergastolo e decisiva per comminare una pena, dei futili motivi: Morrone uccise la moglie dopo avere scoperto che dal comò della camera da letto era sparito un orologio. «Uno stimolo a delinquere sicuramente lieve e banale rispetto all’effetto della sua condotta», ma che, scrive il giudice Gianluca Sarandrea, «non tiene conto del reale contesto in cui la stessa è maturata».
Dal matrimonio, datato 1976, erano nati due figli, di 13 e 11 anni all’epoca del delitto: il rapporto coniugale era diventato presto conflittuale anche per il carattere violento di Morrone, confermato da una serie di testimonianze.
Teresa, ricorda il gup, aveva cominciato un percorso di tossicodipendenza frequentando persone dedite alla droga e intrecciando un rapporto extraconiugale con uno di loro. Solo grazie all’intervento del marito, recita la sentenza, la donna era tornata in famiglia, ma la dipendenza dalla droga l’aveva spinta a impossessarsi di denaro e preziosi in casa.
Il giudice scrive che «l’imputato si era prodigato di far seguire alla moglie un percorso di disintossicazione in una comunità, ottenendo tuttavia un netto diniego da parte di lei». E’ il passaggio fondamentale, per il giudice, che rivede sotto tutt’altra luce la sparizione di quell’orologio e l’omicidio seguente, culmine di una rabbia provocata dalla paura per il futuro dei figli, dalla frustrazione per «la riottosità della coniuge a non assumere più stupefacenti» e dal timore di «un ulteriore abbandono domestico».
Conclude il giudice: «Va escluso che Morrone covasse in animo tale azione delittuosa nei riguardi della moglie attendendo lo spunto per dar sfogo a tale istinto; si deve notare come era stato proprio l’imputato a far sì che la moglie tornasse a casa e avesse tentato di risolvere la sua condizione di tossicodipendenza, comportamento evidentemente incompatibile con un’eventuale pervicace volontà omicida».
Come uccise, Morrone? Strangolando la moglie, come da prima versione del 6 dicembre 2012, oppure la morte fu l’esito di una caduta a terra conseguente a un pugno alla tempia senza intenzione assassina, come opportunamente corretto di fronte al pm sei giorni dopo? A quel cambio di rotta, spartiacque tra un omicidio volontario e un meno grave (e a sua volta già prescritto) delitto preterintenzionale, il giudice non dà credito: tanto è ricca di «veridicità, genuinità e attendibilità» la prima versione («l’ho uccisa…le ho dato un pugno, le ho messo le mani al collo e ha smesso di respirare»), quanto è «platealmente incredibile» la seconda, attribuita da Morrone a un semplice errore mnemonico e a un errore di comprensione di don Peppino («Avrà capito male», disse al pm), al quale pure l’imputato aveva parlato espressamente di strangolamento.
Nonostante la versione bis tendente a ottenere l’impunità almeno di fronte alla giustizia degli uomini, il giudice – in linea con il pm – ha riconosciuto a Morrone comunque le attenuanti generiche della confessione, pur forzata dalla mediazione del prete e soprattutto dalla perseveranza di un testimone, Sergio Cosentino, al quale don Peppino aveva parlato anni prima di un non meglio precisato omicidio.
Ma senza quei futili motivi, a quasi 24 anni da un delitto mai perseguito, la legge fa sfumare nella prescrizione il più cruento dei reati. Lasciando che la beffa si faccia largo nel cuore di chi ha amato Teresa, sprigionando altro dolore.

Uccise la moglie nel 1990, ‘salvato’ dalla prescrizione
Il corpo di Teresa Bottega venne ritrovato in un canale del Bondenese
Giulio Cesare Morrone, che nel 1990 uccise in casa la moglie, Teresa Bottega, nel pescarese, al culmine di una delle tante liti che segnavano il loro rapporto, è un uomo libero. La donna venne trovata proprio nella nostra provincia. Ancora una volta Morrone è stato salvato dalla prescrizione. Anche la Corte d’Appello dell’Aquila, non ha infatti riconosciuto la sussistenza dell’ aggravante ulteriore speciale dei futili motivi e, quindi, il reato è prescritto, analogamente a quanto deciso l’8 novembre 2013 dal gup del Tribunale di Pescara, Gianluca Sarandrea.
La Corte aquilana ha però ritenuto inapplicabili le attenuanti generiche e l’omicidio volontario diventa, quindi, omicidio aggravato perché commesso in danno della moglie. Se fosse stata riconosciuta l’aggravante dei futili motivi, Morrone sarebbe stato condannato all’ergastolo e la pena sarebbe stata poi ridotta a 30 anni per la scelta dell’imputato di essere giudicato con il rito abbreviato. La colpevolezza di Morrone era emersa solo nel 2012, quando un testimone indiretto del fatto si rivolse alla Squadra Mobile di Pescara e raccontò di aver saputo dell’omicidio da un prete, che a sua volta era stato informato direttamente dall’uxoricida.
Gli investigatori riaprirono il caso, che era stato archiviato come scomparsa volontaria, e nel corso di una confessione Morrone ammise di essere l’assassino. Sarebbe stato lui stesso a disfarsi del corpo della moglie in in un canale del Bondenese. Quando è scomparsa, Teresa Bottega, nata a Santa Teresa di Spoltore (Pescara), aveva 35 anni, il marito 34. Il corpo della donna non e’ stato mai trovato. Morrone, è difeso dall’avvocato Mirco D’Alicandro, mentre i familiari di Teresa Bottega, dall’avvocato Ernesto Rodriguez.

Omicidio Bottega, Morrone ha trascorso gli ultimi dieci anni tra i benedettini
A nemmeno una settimana dalla sentenza del Tribunale di Pescara, che tra mille polemiche e la disperazione di molti non lo ha condannato per il delitto della moglie Teresa Bottega poiché il reato é caduto in prescrizione, emergono nuovi dettagli sulla figura di Giulio Cesare Morrone.
L’uomo, 58 anni, uccise la moglie Teresa nel 1990 dopo l’ennesimo aspro litigio e ne occultò il cadavere (mai ritrovato), ma solo nel dicembre dello scorso anno ha confessato l’orribile delitto, ed ha ottenuto la prescrizione del reato solo perché la giuria non ha riconosciuto l’aggravante dei futili motivi.
A suo dire, comunque, Morrone sembrerebbe aver tentato, a proprio modo, di espiare le proprie colpe, intraprendendo un lungo cammino di pentimento sulla strada della spiritualità, e lontano da qualsiasi forma di vita pubblica. Nel 1993, infatti, dietro suggerimento della sorella (del tutto ignara dell’accaduto), l’uomo entrò in contatto con la comunità neoecatecumenale di Sant’Antonio di Pescara, frequentata sino al 2003, quando decise di entrare come monaco laico nel convento dei benedettini di Casalbordino, seguendo le ferree regole dell'”ora et labora” e, ha sostenuto l’uomo, incamminandosi sulla via del pentimento.
Un percorso spirituale che potrebbe anche essere stato genuino, concedendo all’uomo il beneficio del dubbio, ma di certo potrebbe avere avuto un peso non indifferente nella formulazione del verdetto della giuria, ed altrettanto sicuramente non cancella nè il dolore nè la rabbia dei familiari di teresa Bottega, per i quali Morrone resterà sempre “il diavolo”.


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