Claudio Rubello, 48 anni, autotrasportatore, padre. Uccide a colpi di mazzetta la moglie e la figlia di 10 anni, ferisce gravemente gli altri due figli e si suicida (strage di Grezzana)
Grezzana (Verona), 13 Febbraio 2006
Titoli & Articoli
Senza lavoro per l’aviaria fa un massacro in famiglia (La Stampa – 14 febbraio 2006)
Uccide moglie e figlia, poi si toglie la vita: «Li avevo rovinati»
La mazzetta da muratore la teneva sul camion, tra scatole di cracker stantii e pacchetti di sigarette mezzi aperti, lasciati lì da chissà quanto. La motrice bianca e rossa, tutta la sua vita, è ferma da giorni davanti a questa villetta famigliare a quindici chilometri da Verona, prato curato, siepi in ordine e dentro, al secondo piano dove c’è la luce ancora accesa sul balcone e i panni sullo stendibiancheria, il macello per quel minuto di lucida follia. «Ne ho viste tante, ma così…», dice un carabiniere mentre rabbrividisce e si capisce che non è solo per il freddo.
Dentro, ci sono ancora tre cadaveri: la piccola Jennifer che aveva 10 anni, nel lettone matrimoniale accanto alla madre Paola che faceva la casalinga, finite a martellate in testa e sul viso. In soggiorno, sdraiato sul tappeto, la gola squarciata dopo il suicidio, la sua liberazione, il corpo di Claudio Rubello, 49 anni, autotrasportatore. Il coltellaccio da cucina è per terra. Il biglietto che ha lasciato è sul tavolo, scritto in corsivo, calligrafia infantile: «Per la mia stupida disattenzione ho rovinato la mia famiglia». E poi la firma: «Rubello Claudio». Altri due figli, Thomas di 16 anni e Anthony di 14, massacrati anche loro a martellate mentre dormivano nella camera all’inizio del corridoio, sono gravissimi all’ospedale.
Un giorno maledetto
Una famiglia come tante. Domenica pomeriggio l’avevano passata nella palestra di San Martino Buon Albergo, a tifare per Anthony e Thomas che giocavano nella squadra under 16 di basket. La sera in casa, davanti alla televisione almeno fino a mezzanotte. Due ore dopo, la strage scoperta solo al mattino. Ma erano giorni, forse settimane, che Claudio Rubello rimuginava sulla sua vita e sul futuro della sua famiglia. Da quando erano arrivate le prime notizie sull’influenza aviaria. Da quando il suo lavoro, portare le carcasse dei polli morti al macello di Treviso, non era più sicuro. E da quando, maledetto quel giorno, aveva tirato fuori 50 mila euro per comperare un camion nuovo, con il cassone attrezzato solo al trasporto delle gabbie dei volatili. «Era molto preoccupato per il suo futuro lavorativo. Si stava dando da fare, ma non è facile… Claudio era una persona molto riservata, chiusa. Da quando gli avevano detto che il lavoro sarebbe diminuto per la crisi del settore, era entrato in depressione. Non era più lui. Era molto giù…», racconta Pietro Pizzolato, il cognato che abita nell’appartamento al piano di sopra, il primo ad entrare in casa ieri mattina quando non ha sentito i ragazzi andare a scuola come ogni giorno.
In paese ci sono tre chiese, cinque bar, un campo da calcio e sessantaquattro allevamenti di polli su scala industriale. «Alcuni hanno già chiuso. La gente è molto preoccupata. Quando parla del futuro non è più serena come una volta. Lui deve avere sentito tutto questo. Lo stava vivendo sulla sua pelle…», cerca di trovare una spiegazione Ilario Peraro, sindaco di questo paesone di quasi undicimila abitanti spalmato tra un paio di strade e i campi, dove una volta correva la locomotiva del Nord Est e adesso chissà. Da un anno la televisione non parla altro che di influenza aviaria. Sabato, poi, l’allarme sui cigni in Sicilia e la conferma che era il virus killer.
I datori di lavoro di Claudio Rubello, alla Savit di Sommacampagna, gliel’avevano detto che c’era la crisi. Erano in forse anche alcuni contratti con la Aia, l’azienda leader nella zona per cui questo padroncino trasportava le carcasse dei polli morti. Al titolare della Savit, non basta la spiegazione della crisi per giustificare il massacro: «Era molto preoccupato ma come lo siamo tutti. Giovedì aveva lavorato per noi. Il lavoro sarebbe calato ma non è detto che avrebbe smesso di collaborare con noi. Quando ho saputo cosa aveva combinato, ho fatto un salto sulla sedia. Era un gran lavoratore, attaccato alla famiglia…».
Troppe responsabilità
Era uno tra i tanti, schiacciato da troppe responsabilità. I cinquantamila euro investiti per il nuovo camion, così moderno, così inadatto ad altri usi, gli devono essere sembrati quella disattenzione fatale di cui parla nel biglietto lasciato sul tavolo. Ma è chiaro che da tempo Claudio Rubello era convinto di non farcela più. E così ha aspettato che tutta la sua famiglia andasse a letto. Ha lasciato ancora una volta che Jennifer si addormentasse nel letto grande insieme alla moglie, anche se oramai aveva già dieci anni. Poi ha preso il martello che usava per le piccole riparazioni del camion. Dicono che abbia infierito prima sulla moglie. Poi sulla bambina. E alla fine sui due figli più grandi. Poi è andato in soggiorno e ha preso un foglio, per scrivere le poche righe che ha lasciato. Con il coltello ha fatto il resto.
Il dramma del cognato
Nessuno ha reagito. Nessuno ha sentito niente. Non un rumore in questa villetta con le siepi curate. «Se me ne fossi accorto, avrei potuto fare qualcosa…», si morde le mani il cognato, il primo ad entrare nell’appartamento insieme alla suocera che si è messa a gridare. Tanto che sono arrivati anche i vicini della casa di fronte: «Non si capiva cosa fosse successo. Siamo corsi subito. Poi abbiamo incontrato la signora Alfonsina che piangeva disperata e continuava a ripetere: “Claudio, il mio Claudio ha ammazzato i suoi figli”».