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La lettera di Paolo, amico e collega di Tiziana Falbo

tizianafalbo_fEro collega di lavoro di Tiziana, ma quel maledetto giorno ho perso anche un’amica. Non mi do pace per la profonda ingiustizia di questa vicenda e voglio esprimervi la mia riconoscenza per averle restituito  un briciolo  di testimonianza pubblica.

Le parole sono drammaticamente misere quando cercano di fissare nella memoria il significato di tutta una vita. Ma solo quelle abbiamo. Ne scrissi alcune pochi giorni dopo la sua morte, per cercare di trasmettere il senso della nostra  impotenza ai colleghi e amici di Tiziana.

“Vi sono circostanze enormi, al cospetto delle quali le parole affondano. Vi sono momenti nei quali non dovremmo violare il silenzio, unica descrizione degna del dolore. Le parole sanno essere di sconcia inadeguatezza, di fronte all’irreparabile.

Ciò nondimeno vi userò per un istante questa violenza, parlandovi dell’indicibile, perché questa è l’unica forma di consolazione di cui dispongo. So che lei, bonariamente, lo avrebbe tollerato.

Voglio pensare a Tiziana senza confonderne il ricordo con il dramma di queste ore. La sua esistenza è stata altro, ed è profondamente estranea all’immonda cronaca del suo omicidio. Tiziana deve essere preservata da questo schifo.

La sua vita è stata spezzata, lo so. Ma non accetto di sentir parlare di una vita tragica, o peggio incompiuta. Non si può fare la contabilità dei suoi 37 anni e parlare di speranza tradita, come se lei fosse vissuta invano, come se quei suoi anni non li avessi arricchiti e dilatati di tutta la passione di cui era capace; come se non li avessi condivisi con noi e con tanti altri che come noi le vogliono bene. Non è giusto farle questo torto, noi non dobbiamo permetterlo.

Tiziana ha vissuto una vita piena, è stata una donna anche felice, ha sperato e creduto, non diversamente da tutti noi che vivremo ancora altro tempo. Voi tutti, come me, sentite con stupore il grande vuoto della sua assenza. Tiziana ci manca incredibilmente perché, senza consapevolezza, ci ha segnato. Questo lo può fare solo un’anima grande. Ed è in questo che si misura una vita, non in anni.

Ho avuto il privilegio di conoscerla, di godere del suo sorriso, di affezionarmi a lei, di esserne ricambiato. In Tiziana batteva un grande cuore. Nel mio ci porterò lei. Porterò Tiziana con me, insieme a tutti voi.”

L’assassinio non si porta via solo la tua vita – e quella dei tuoi familiari –  si porta via anche il senso che hai avuto nel mondo. La donna che sei stata viene sostituita con l’immagine di te come vittima. Un caso di cronaca. Come se la tua vita fosse predestinata. E tu non estranea al tuo destino. Che oscenità.

C’è qualcosa che non funziona nel sentimento sociale dinnanzi a questi fenomeni. Qualcosa che si è perso, o forse che non si mai fatto abbastanza strada. L’omicidio è anche un atto contro l’umanità tutta, ed è il più grave che si possa concepire. La pena non potrà mai essere inumana a sua volta.

Ma certo non dovrà essere neppure una farsa, come in questo caso. Chi in Italia parlò dei delitti e delle pene regalando al mondo una lezione di civiltà, affermò anche che una società che punisce l’omicidio nella stessa misura di un piccolo reato smarrisce la propria coscienza. Non vi è coscienza nell’ammassare i carcerati in cella come bestiame, così come non ve n’è alcuna nel  lasciare libero un assassino. Il senso di giustizia si ribella ad entrambe le cose, perché entrambe attentano alla dignità umana.

Ancora grazie per quello che fate.

Paolo