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Cristina Rolle, 32 anni, maestra, mamma. Uccisa con 71 coltellate dall’ex marito in un consultorio davanti all’assistente sociale

Collegno (Torino), 11 maggio 2010

Lui è un po’ depresso, ma niente di preoccupante. Lo hanno anche ricoverato per alcuni disturbi mentali, ma ha fatto dei progressi. Anche quel pomeriggio, davanti all’assistente sociale, è calmo. E con tutta calma colpisce 71 volte l’amore della sua vita.

Giampiero Prato, 38 anni, perito informatico. Condannato a 12 anni e 20 giorni di reclusione, riconosciuta la semi- infermità mentale.

 Figli: 2 bambine di 5 e 7 anni

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Repubblica

“Sul saggio delle bimbe la lite fatale. Poi una serie infinita di coltellate” L’assistente sociale rievoca il dramma sotto i suoi occhi. “Stavo compilando il verbale della seduta: le voci non erano alterate. Poi ha aperto la solita valigetta e tirato fuori il coltello”

“IO STAVO compilando il diario della seduta. Con la coda dell’occhio ho visto Prato che prendeva la valigetta, la stessa che aveva sempre durante le sedute. Si è alzato in piedi e ha inferto la prima coltellata al collo della donna. Lei è caduta dalla sedia e lui ha continuato a colpirla mentre era a terra”.

“Poi mi ha guardato, aveva uno sguardo di rabbia. Ha buttato il coltello e ha detto “Mio Dio, cosa ho fatto. E adesso che mi farete? Non mi farete più vedere le bambine?”. Poi mi ha preso la mano e mi ha chiesto di aiutarlo”.

La sequenza dell’uccisione di Cristina Rolle, maestra elementare di 32 anni, è impressa negli occhi e nelle orecchie di Carlotta Barile, 28 anni, l’assistente sociale del Cisap che ieri mattina stava conducendo il colloquio tra la vittima e il suo ex marito, Giampiero Prato, impiegato Fiat di 37 anni.

I tre erano in una stanzina nei locali del consorzio dei servizi sociali di Collegno, in via Vaccheri 7. Avevano fissato un appuntamento alle 9 per discutere delle visite delle due figlie di cinque e sette anni. Lo facevano più o meno una volta al mese, da soli o insieme, da quando nel 2008 si erano separati. Persone molto collaborative, le descrivono. Niente a che vedere con certe coppie che sfuggono agli incontri. Loro, invece, erano consapevoli di avere un problema e non lo nascondevano né ai servizi sociali, né agli psichiatri dell’ufficio di salute mentale che seguivano Prato – e lo avevano anche fatto ricoverare per un paio di mesi a fine 2008 – per quello che era stato definito “un disturbo della personalità con difficoltà nella gestione dell’ansia e degli impulsi”.

Tuttavia avevano fatto dei miglioramenti e il tribunale di Torino aveva concesso al padre di vedere le figlie non più in luogo neutro con un educatore, ma anche da solo, nella casa dei genitori dov’era tornato a vivere dopo la segnalazione. E proprio di questo parlavano ieri. “Quando sono entrata li ho visti seduti vicini nella sala d’attesa – continua l’assistente sociale – Niente faceva presagire quello che poi è accaduto. Anche quando sono entrati nella stanza il tono della discussione era calmo, pacato”.

Secondo la madre, nell’ultimo incontro con il padre le bambine non si erano trovate bene ed erano state loro a dire di non voler andare dai nonni paterni. Secondo il babbo, invece, era la mamma che non voleva farle vedere ai genitori di lui. “Ma nessuno dei due ha mai alzato la voce – continua Carlotta Barile – Poi sono passati a parlare del saggio di danza delle bambine: la madre sosteneva che le figlie non volevano che il padre andasse a vederle mentre lui sosteneva il contrario. E lì ha iniziato a dire “Hai plagiato le mie figlie, sei tu che me le stai mettendo contro”.

A quel punto si è alzato e l’ha accoltellata”.

La giovane assistente sociale non si è frapposta, è rimasta impietrita, sotto choc. E probabilmente questo atteggiamento è stato l’unico modo per evitare una strage. Perché nulla, in quel momento, avrebbe potuto salvare la vita di Cristina Rolle. Già la prima coltellata alla gola e la seconda profonda all’addome l’avevano uccisa. Ma il raptus dell’uomo si è esaurito solo dopo altre cinquanta ferite. “Quando sono uscita dalla stanza a chiedere aiuto, lui mi ha seguito, aveva le braccia sporche di sangue. Mi ha detto “Non ti preoccupare, non ti faccio del male”. Ha provato anche a darmi la mano, cercava qualcuno che lo aiutasse”. Per un minuto, forse due, Giampiero Prato ha continuato ad aggirarsi negli uffici del Cisap, prima che i carabinieri lo immobilizzassero. “Non sparatemi, non sparatemi”, ha ripetuto.

di Federica Cravero

Corriere della Sera

«Quelle 50 coltellate al mio amore Ridatemi le bimbe» Nella cella del mago del computer – «L’ ho uccisa ma l’ amerò per sempre. Ora lasciatemi dormire. Voglio stare con lei». Ne parla come se fosse ancora viva. Poi Gianpiero Prato s’ accascia sulla branda della cella (carcere delle Vallette) dove è recluso in regime speciale. Martedì scorso ha accoltellato sua moglie con cinquanta colpi. Ora si teme che possa uccidersi. Nella cella di cinque metri quadrati c’ è solo un letto. Non c’ è altro. Neanche le lenzuola. Senza scarpe, Prato indossa una camicia bianca, un maglioncino blu e un paio di jeans. Sequestrati pure gli occhiali. Glieli hanno ridati solo nei 10 minuti in cui ha parlato con il suo legale, l’ avvocato Giacomo Francini, «nel caso avesse dovuto leggere degli atti». Taciturno. Qualche sì, un paio di no, la testa fatta scuotere tutto il tempo, poi il ritorno in cella. Dove ha ricevuto visite di parlamentari e consiglieri. Nessuno però se la sente di riportarlo ai momenti della tragedia. «Ha ucciso la donna della sua vita», dice Virginia Iorio, amica di famiglia e avvocato. Ho paura che si faccia del male. Ultimamente era depresso e sotto cura». Martedì nella mente del tecnico informatico, un mago del computer, deve essere scattato qualcosa. Davanti all’ assistente sociale, nella sede del Cisap di Collegno, Prato ha estratto dalla sua valigetta un coltello da cucina lungo 20 centimetri. E ha colpito Cristina Rolle, 33 anni, insegnante di sostegno in una scuola materna. Si erano conosciuti tanto tempo fa all’ oratorio. Il fidanzamento, il matrimonio e la nascita delle figlie (ora di 7 e 6 anni). Poi il rapporto s’ incrina, va in crisi definitivamente due anni fa e la coppia decide di separarsi. Avrebbero voluto lasciarsi bene, per non far male ai figli. Per questo si erano rivolti ai servizi sociali. «Era un paziente modello», sottolinea Pier Maria Furlan, direttore del centro di salute mentale dell’ Asl To3 che lo aveva preso in cura per un principio di depressione. Certo, qualche segno di instabilità Prato lo aveva dato. Ma nessuno si era preoccupato. «Era anche un buon padre di famiglia», continua Furlan. «Ricordo che durante un breve periodo di cassa integrazione, non mancò mai di pagare gli alimenti per le sue figlie». In cella ha rifiutato il cibo, «E’ imbottito di psicofarmaci, è stato sedato. Ovvio che non abbia stimoli», spiega l’ avvocato Francini. Beve il caffè d’ orzo la mattina. Unica richiesta: succhi di frutta alla pera. Di quei momenti dice di non ricordare nulla. E con un filo di voce chiede di suo padre, da tempo gravemente malato: «Come sta? Ho solo tanto mal di testa. Voglio dormire. Non voglio che mi manchi anche lui. E le bimbe? Dove sono le mie bambine? Avevo paura che me le portassero via e questo mi fa star male. E ora cosa succederà, le rivoglio». Di Cristina non chiede. «Il giudice mi ha fatto tante domande. Erano troppe non potevo rispondere. La testa la sento pesante. Io credo nel mio matrimonio. Non può finire tutto così». L’ avvocato Francini chiederà una perizia psichiatrica». Intanto Prato, quasi volesse convincere se stesso, ripete: «Senza la mia famiglia non posso vivere». Lo va dicendo ai suoi sorveglianti che non lo mollano un solo istante. «Qui mi trattano bene, avrei bisogno di un computer per mandare una mail», dice stringendosi le spalle. «Ho i brividi, cerco di ricordare ma non ci riesco». Al momento nessuno sa darsi una spiegazione. Un gesto folle, sicuramente, ma che non riesce a comprendere nemmeno don Mimmo Mitolo, il sacerdote che lo conosce bene e che ha celebrato le sue nozze: «La malattia e la separazione lo avevano segnato ma è sempre stato affettuoso con tutti. Anche i genitori di Cristina mi risulta che non nutrano rancore. Sanno che Gianpiero era malato. La loro più grande preoccupazione, è il futuro di quelle due bambine».

di Marco Bardesono