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Giacomina Zanchetta, 67 anni, ex operaia al lanificio, mamma. Uccisa a fucilate dal marito

Vittorio Veneto (Treviso), 19 Aprile 2012


Titoli & Articoli

Omicidio – suicidio, il fratello di Giacomina: “I cadaveri in cucina e sangue ovunque” (Il Gazzettino – 21 aprile 2012)
I due corpi senza vita stesi a terra nella penombra della cucina, i due fucili da caccia uno vicino all’altro, nel macabro silenzio della stanza, a fianco dei corpi straziati, chiazze e macchie di sangue un po’ ovunque, anche sul soffitto. Una scena agghiacciante quella che si è presentata a Claudio Zanchetta, il fratello di Giacomina, che ieri poco prima di mezzogiorno è riuscito a entrare nell’abitazione di via del Lavoro, dove si era recato non senza preoccupazione perché contrariamente al solito lei non si era fatta vedere o sentire: «Mia moglie e mia sorella erano solite vedersi puntualmente ogni mattina – racconta con la voce scossa – e anche ieri Giacomina doveva venire a trovarci. Ma non l’abbiamo vista». Una preoccupazione che è di colpo lievitata quando il telefono nell’abitazione di via del Lavoro ha squillato alcune volte invano. «La cosa è sembrata molto strana – prosegue Claudio – . Mia moglie ha intuito che qualcosa poteva essere successo. E mi ha detto: vai a vedere. Abitiamo a un chilometro di distanza e sono partito subito. Mancava poco a mezzogiorno. Ho suonato al campanello e ho chiamato, ma dall’interno nessun segnale. Allora ho scavalcato la recinzione e mi sono avvicinato alla casa. La persiana della cucina era leggermente alzata, ho guardato attraverso i vetri, mi è sembrato di scorgere una sagoma a terra, sul pavimento varie chiazze scure. Ho chiamato ancora e in quel momento la terribile intuizione si è fatta strada».
In un primo momento Zanchetta ha tentato di sfondare il vetro ma ha desistito subito girando intorno alla casa alla ricerca di una finestra aperta e quasi subito ha trovato quella del bagno socchiusa: «Ho scavalcato il davanzale e sono passato subito in cucina. Poi una scena scioccante: Giacomina era distesa bocconi, a poco più di un metro mio cognato era supino con una gamba appoggiata ad una sedia, aveva il volto sfigurato. Sangue ovunque. La tavola – racconta ancora – era preparata, un fornello del gas ancora acceso con un pentola ormai vuota. Ho chiamato subito il 112. Mezzogiorno era appena suonato. Dopo dieci minuti è arrivata la prima pattuglia dei carabinieri». Mentre attendeva l’arrivo delle forze dell’ordine, Claudio Zanchetta ha avuto il coraggio di guardare da vicino i congiunti. «Tutte le porte della casa erano state chiuse a chiave dall’interno – ricorda – forse aveva premeditato tutto anche se stento ancora a crederlo. Con lui mi vedevo abbastanza spesso, ultimamente mi era sembrato un pò depresso ma niente di preoccupante».
Claudio Zanchetta non nasconde commozione ricordando la sorella: «Era tutta casa e famiglia. Da giovane aveva lavorato per quindici anni al Lanificio Cerruti poi si è dedicata al marito e ai figli. A Raffaello ha sempre voluto bene». Gli fa eco il cugino Giancarlo: «Giacomina – è il suo ricordo – era una persona allegra e di compagnia. Amava il canto, anche ora faceva parte del coro della parrocchia dei Santi Pietro e Paolo».
(di Giorgio Marenco)

Giacomina aveva paura del marito: “Ho i giorni contati, prima o poi mi uccide” (il Gazzettino – 22 aprile 2012)
Giacomina aveva paura del marito …«Prima o poi mi uccide. Ho i giorni contati. Non ce la faccio più». Era questo lo stato d’animo, la sensazione, la paura, il presagio che Giacomina Zanchetta, la 67enne freddata con un colpo di fucile all’addome dal marito Raffaello Salvador, aveva confessato alle amiche più intime, quelle che conosceva da molti anni. A loro nelle settimane che hanno preceduto il drammatico epilogo, Giacomina aveva raccontato tutto. Era riuscita ad aprirsi, a confidare quel tormento che aveva minato la sua vita coniugale e che, quando Raffaello era andato in pensione, aveva preso una svolta ancor più negativa, culminata nel tragico omicidio-suicidio.
Giorno dopo giorno il 72enne, ex aiutante maresciallo dell’Aeronautica, uomo dal carattere forte, era diventato sempre più possessivo nei confronti della moglie. Anche le amiche del coro della parrocchia di Santi Pietro e Paolo, che Giacomina la conoscevano bene, lo avevano notato. «Cantava con noi da oltre vent’anni – ricordano – poi ha iniziato a diradare le sue presenze, finendo solo per partecipare al coro della speranza, quello dei funerali. Finite le prove non si fermava mai con noi, andava subito a casa. Non partecipava nemmeno ai momenti di festa». Per Giacomina la parrocchia, il coro e la messa, erano le uniche occasioni per uscire di casa, oltre alle visite ai fratelli, Claudio e Dino, e ai figli. La sua vita sociale, negli anni, si era ridotta all’indispensabile.
Il disagio, che viveva quotidianamente tra le mura di casa, Giacomina l’ha confidato soltanto alle amiche più intime. A loro aveva parlato come un libro aperto. «Non ce la faccio più, mi aveva detto piangendo non molto tempo fa – rivela una cara amica della 67enne -. E non era la prima volta che si confidava con me. Le avevo risposto: Giacomina, vai via. Ma lei non se la sentiva di abbandonare il marito, erano sposati da troppi anni». Per la 67enne rompere gli oltre 40 anni di matrimonio era un peso enorme. «Ha sofferto le pene dell’inferno, ma non lo faceva vedere a nessuno – aggiunge l’amica -. Solo chi la conosceva bene, sapeva quanto soffriva tra le mura di casa».
Giacomina si era sposata con Raffaello alla fine degli anni Sessanta: si erano conosciuti a Santi Pietro e Paolo, il quartiere in cui entrambi erano cresciuti e in cui, una volta sposati, avevano deciso di metter su famiglia. Avevano avuto due figli, Giovanni e Sabrina. «Anche i figli le avevano detto di andare via di casa, ma lei non voleva. Per rispetto nei loro confronti non se la sentiva di abbandonare il marito» spiega un’altra amica della vittima.
Una donna del coro, alcuni giorni fa, era andata a casa dei Salvador per eseguire dei lavoretti: «In casa era solo lui a parlare, lei se ne stava zitta. Mi faceva tanta pena. Povera Giacomina». «Io non avrei sopportato un uomo così – si sfoga una donna che da anni aveva instaurato un rapporto di amicizia con Giacomina -. Esternamente era caro e buono, ma nell’animo era un bruto».

“Me l’ha uccisa, non lo perdonerò mai” (la Tribuna di Treviso – 24 aprile 2012)
Parla Claudio Zanchetta, fratello di Giacomina ammazzata dal marito Raffaello Salvador: «Lui quel giorno ci telefonò»
«Non perdonerò mai Raffaello per aver ucciso mia sorella Giacomina». Claudio Zanchetta ha pronunciato ieri poche parole ma dure nei confronti del cognato Raffaello Salvador 72 anni, che giovedì scorso ha sparato alla moglie Giacomina Zanchetta, 67, prima di suicidarsi. «Raffaello l’ha ammazzata dopo aver parlato con me al telefono», svela Claudio Zanchetta, «quel giovedì gli avevo pure regalato un libro. Non posso accettare una cosa simile. Chi non ha rispetto per la vita altrui non merita pietà». Ieri mattina Claudio è stato portato in ospedale per una colica. Una crisi legata allo stress di questi giorni d’inferno vissuti tra il dolore per la perdita della sorella e le angosciose domande sul perché della mattanza. Nella villetta in via Da Verrazzano, dove vive Claudio con la moglie Luigia, ieri erano riuniti tutti i familiari. C’erano anche Giovanni e Sabrina, i figli di Giacomina e Raffaello Salvador. Proprio Giovanni e lo zio Claudio erano stati i primi a scoprire venerdì i corpi senza vita dei coniugi nella cucina della villetta bifamiliare di via del Lavoro 126.
«Non ci posso credere, mia moglie Luigia era stata a casa loro proprio giovedì mattina», racconta ancora Claudio, «gli aveva portato un libro su Vittorio Veneto che Raffaello desiderava. Lo avevo comprato io». Le famiglie erano molto unite. Si vedevano spesso e quasi ogni giorno di sentivano al telefono. A Pasquetta si era ritrovati tutti insieme a mangiare, una bella riunione di famiglia. Nessuno immaginava la tragedia della gelosia esplosa nella cucina di casa Salvador ai Santi Pietro e Paolo. «Mia sorella era tranquilla quella mattina. Non abbiamo notato niente di strano. Né mia moglie che li ha visti, né io che ho sentito al telefono mio cognato». Claudio racconta che sua sorella e la moglie si vedevano tutti i giorni. Erano cresciute insieme. Giacomina aveva dieci anni quando hanno iniziato a frequentarsi. «Non ho mai sentito che dicesse che aveva paura di essere ammazzata», aggiunge il fratello, «non le ho mai sentito dire che aveva i giorni contati. Neanche in parrocchia e fra le amiche intime che abbiamo sentito. Altrimenti saremmo intervenuti subito. Nessuno poteva immaginare cosa covasse nell’animo di Raffaello». Certo, c’era quella gelosia eccessiva di Salvador che aveva a poco a poco confinato in casa la moglie. Un sentimento morboso e possessivo che aveva anche fatto alzare le antenne al figlio. «Mia madre mi diceva: tuo padre non mi lascia far niente, mi controlla», ha rivelato Giovanni Salvador a “La Tribuna”, «lui l’ avrebbe voluta sempre in casa. Io le avevo detto di avvertire se passava il limite. Non mi ha mai detto niente, altrimenti mi sarei mosso. Tra l’altro facevano sempre tutto insieme. Si volevano bene. La gelosia c’era. Anche se non era mai stato violento con mia madre».
«Sapevamo di qualche piccolo litigio», fa eco Claudio Zanchetta, «ma mia sorella aveva di natura un carattere allegro e ci passava sopra». Chiuso nel dolore Dino, l’altro fratello di Giacomina. Anche lui ex militare nell’Aeronautica come il cognato Raffaello Salvador e corista coma Giacomina nella parrocchia di Santi Pietro e Paolo. «Non mi sembra vero, è tutto assurdo», ripeteva ieri con gli occhi gonfi di pianto nella sua casa di via Fusinato. «Mia sorella mi mancherà tanto. Martedì erano venuti da noi. Con Raffaello avevamo guardato i quadri che avevo in casa. Con mia sorella avevo cantato all’ultimo funerale il 27 marzo scorso. È stata la sua ultima esibizione. Raffaello geloso? Non voglio aggiungere altro». La famiglia vive queste ore in una sorta di sospensione. Attendono l’autopsia e il via libera del magistrato per fissare la data dei funerali. Di fronte a loro hanno una decisione difficile da assumere. «No, non abbiamo ancora deciso se fare un’unica celebrazione funebre o due funerali distinti. Decideremo quando sarà il momento», fanno sapere i familiari, «quel che è certo è che saranno sepolti nel cimitero di Ceneda».
Intanto nel quartiere la gente si interroga sulle ragioni dell’omicidio-suicidio. I coniugi Salvador erano molto conosciuti, soprattutto Giacomina, attiva in parrocchia. Domenica nelle messe festive il parroco don Fabrizio Mariani ha solo fatto un accenno indiretto al fatto di sangue. E proprio la parrocchia di Santi Pietro e Paolo vuole ricordare i due coniugi con una veglia di Preghiera. Don Fabrizio Mariani ha riferito che la organizzerà a ridosso dei funerali.
(di Francesca Gallo)

UNA FOLLA PER L’ADDIO A GIACOMINA E RAFFAELLO (Oggi Treviso – 28 aprile 2012)
Il vescovo: «Il giudizio di Dio va oltre a quello degli uomini»
Amici, parenti, ex colleghi di lavoro, vicini di casa si sono stretti questa mattina al dolore di Giovanni e Sabrina, i figli dei coniugi Salvador scomparsi nell’omicidio-suicidio che ha sconvolto la quiete di una comunità. Stamane, sabato, alle 10 nella chiesa di Santi Pietro e Paolo i funerali di Giacomina, 67 anni, e di Raffaello, 72 anni, celebrati dal parroco don Fabrizio Mariani insieme a don Pietro Mazzarotto, primo parroco di Santi Pietro e Paolo che, nel 1968, sposò i coniugi. «Oggi, come quasi 44 anni fa, Giacomina e Raffaello sono ancora insieme davanti alla comunità» ha affermato nell’omelia don Fabrizio in una chiesa gremita di fedeli.Poco prima il parroco aveva letto la lettera che il vescovo Corrado Pizziolo aveva indirizzato a lui e alla comunità, un messaggio in cui Pizziolo ha voluto affermare che il «giudizio di Dio va oltre a quello degli uomini». Concetto che anche don Pietro, al termine della funzione, ha voluto ribadire: «La morte sottrae ogni uomo dal giudizio degli uomini». Tanta la commozione per quella che don Fabrizio ha definito una «partenza imprevedibile e drammatica» che ha sconvolto una famiglia e la comunità, una ferita ancora aperta la cui risposta potrà essere trovata, per chi crede, in Gesù.
Il parroco ha voluto in particolar modo ricordare Giacomina: «per lei cantare era un modo per esprimere il meglio di sé». Ricordo che si è aggiunto a quello del coro, di cui la 67enne faceva parte da molti anni: «Ti sei sempre fatta volere bene, ciao Giacomina». Le salme sono poi state tumulate nel cimitero di Ceneda.


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