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Zinaida Zina Solonari, 36 anni, modella e cameriera, mamma di tre figlie. Uccisa a coltellate dal marito già denunciato

Cologno al Serio (Bergamo), 6 Ottobre 2019

 


Titoli & Articoli

L’omicidio pianificato di Zina, che aveva provato a lasciare il marito violento: “Se mi lasci ti ammazzo” (la Repubblica – 7 ottobre 2019)
Erano sposati da 13 anni, la scorsa settimana la donna aveva chiamato i carabinieri dopo una lite con il marito, ma aveva deciso di non denunciarlo. Si era trasferita a casa della sorella, i carabinieri avevano disposto un giro di controllo: l’ultimo due ore prima del delitto
Zinaida – Zina, così la chiamavano amici e parenti – aveva capito che suo marito poteva diventare pericoloso. Per questo la scorsa settimana si era rivolta ai carabinieri del suo paese, spiegando che l’uomo negli ultimi tempi aveva “crisi di gelosia”, minacciava gesti violenti, alzava la voce. Non l’aveva denunciato però, alla fine, forse pensando che allontanandosi da lui le cose sarebbero andate meglio. Invece non è andata così.
Soltanto due ore prima del suo omicidio una pattuglia dei carabinieri era passata davanti a quel cancello dove Zina è stata uccisa, per controllare che tutto fosse in ordine, ma nella notte tra sabato e domenica lui, Maurizio Quattrocchi, 47 anni, da poco licenziato da una ditta in cui faceva il muratore, pizzaiolo in passato e con piccoli precedenti per ricettazione e guida in stato di ebbrezza alle spalle, l’ha aspettata sotto casa della sorella, dove Zinaida Solonari, 36 anni, arrivata tanto tempo fa nella Bergamasca da Basarabeasca, un paesino della Moldavia al confine con l’Ucraina, si era rifiugiata da qualche giorno con le sue tre figlie.
Due coltellate, una alla gola e una al torace: per Zina non c’è stato scampo, è morta nel cortile di una palazzina a Cologno al Serio, mentre le sue tre figlie dormivano a pochi metri di distanza. La fuga di Quattrocchi sulla sua vecchia Peugeot 207 è durata poco meno di 16 ore: mentre era in corso una imponente caccia all’uomo organizzata dai carabinieri con posti di blocco e controlli nei luoghi da lui frequentati, seguendo le tracce del suo cellulare arrivando così ad accerchiarlo tra Calcio e Martinengo, l’uomo stava per entrare nella caserma di Martinengo, ed è stato allora che alcuni militari in borghese lo hanno bloccato. Portato poi alla caserma di Treviglio è stato arrestato con l’accusa di omicidio aggravato e portato in carcere a Bergamo. Oggi la pm di Bergamo Letizia Ruggeri chiederà la convalida del fermo e la custodia cautelare in carcere per omicidio aggravato.
La gelosia, ancora una volta, utilizzata come spiegazione di un femminicidio. La convinzione che la moglie avesse un altro uomo, e che questo fosse un oltraggio inaccettabile. “Se te ne vai ti uccido e poi mi ammazzo”, le aveva detto dopo l’ultima lite.
Zinaida viveva da anni in Italia, qui c’erano altri suoi parenti, qui aveva sposato ormai 13 fa quell’uomo di dieci anni più grande di lei. Aveva già una figlia, che adesso ha 16 anni, insieme hanno avuto altre due bambine, di 12 e 8 anni, ma anche la più grande era stata riconosciuta da Quattrocchi, e tutte e tre le figlie, ancora bambine, sono tra le poche foto del profilo Facebook dell’uomo.
Lui impieghi saltuari – e l’ultimo lavoro l’aveva perso per una lite con il titolare -, e lei cameriera in ristoranti e alberghi, ma con anche un secondo lavoro, quello di modella. Dall’appartamento al quarto piano di una palazzina di via Crema a Cologno al Serio era andata via la scorsa settimana, dopo che per la prima volta erano arrivati in casa i carabinieri, chiamati da Zina per una lite con il marito, anche se già due volte si era presentata in caserma. I militari, vedendo anche la reazione dell’uomo, le avevano consigliato di allontanarsi e andare a vivere da qualche altra parte e lei lo aveva fatto: ma si era trasferita poco lontano, per non rendere difficile per le sue figlie continuare ad andare a scuola.
Aveva trovato ospitalità a casa di sua sorella Oxana, sposata con il nipote di suo marito Maurizio: un doppio filo, un indirizzo che lui conosceva bene. “Non pensavamo potesse arrivare a questo”, è adesso quello che dice sua sorella, sotto choc. Come ha spiegato il comandante provinciale dei carabinieri Paolo Storoni durante la conferenza stampa con il procuratore facente funzioni Maria Cristina Rota, era stato disposto un controllo sulla casa di Oxana in via Alberto da Giussano: e a mezzanotte, un paio di ore prima del delitto, i carabinieri avevano fatto il loro giro, non vedendo nessuno.
Il coltello portato da casa, l’attesa in strada che Zina tornasse dal lavoro: quell’aggressione è stata pianificata, e sono un di più le parole riferite ai carabinieri ieri da diversi testimoni, che parlano di un uomo “litigioso” e “prepotente”. La donna ha fatto appena in tempo a parcheggiare la sua Jeep Cherokee alla sinistra del cancelletto e a fare tre metri prima che lui l’aggredisse con un coltello da cucina. Colpi violenti che però non le hanno fatto subito perdere conoscenza: le sue grida hanno svegliato i vicini e sua sorella, che hanno chiamato i soccorsi mentre il marito iniziava la sua fuga, forse questa sì, non pianificata, visto che non aveva un luogo dove nascondersi e ha vagato fino a quando non ha capito che era finita.
Il giorno dei funerali di Zinaida Solonari sarà proclamato il lutto cittadino a Cologno al Serio. Lo ha fatto sapere il sindaco Chiara Drago.

 

Delitto di Cologno, l’ultimo sms della sorella a Zina: “Stai attenta alla strada” (Bergamo News – 9 ottobre 2019)
“Stai attenta alla strada”. Suona come un triste presagio l’ultimo sms inviato dalla sorella Oxana a Zinaida Solonari, la 36enne uccisa a coltellate dal marito Maurizio Quattrocchi a Cologno al Serio. L’omicidio alle 2 della notte tra sabato 5 e domenica 6 ottobre a Cologno al Serio. Un paio d’ore prima la vittima, alle 23.50, riceve un messaggio dalla sorella che la mette in guardia su possibili pericoli lungo il tragitto verso la sua abitazione. Da qualche giorno, dal 3 ottobre per la precisione, Zina si è trasferita con le tre figlie da lei, nella villetta di via Alberto Da Giussano in cui vive col marito, cugino di Quattrocchi. Un trasloco consigliato dai carabinieri della stazione di Urgnano, dopo la seconda denuncia al 48enne per quei litigi diventati sempre più frequenti e soprattutto violenti.
Un messaggio che purtroppo non basta a salvarle la vita.
Zina torna dal locale dove lavora saltuariamente come cameriera, scende dalla sua Jeep Grand Cherokee e ad attenderla trova il coniuge. L’uomo, secondo quanto ha riferito nel corso del l’interrogatorio di convalida, voleva vedere se davvero nel pomeriggio era andata ad acquistare una lavatrice come gli aveva detto.
Le cose però vanno in modo diverso. L’omicida, disoccupato da qualche settimana dopo aver litigato con il proprio datore di lavoro, aggredisce la moglie, di origine moldava, con un coltello serramanico. Quattro fendenti, due alla coscia e due al collo, che risultano fatali nonostante le due ore di intervento dei medici sul posto, contattati dalla sorella che sente le sua urla di dolore.
“Il mostro della gelosia mi ha fatto diventare un animale. Ho colpito mia moglie ma non volevo ucciderla”, ha aggiunto in lacrime Quattrocchi, difeso dall’avvocato (d’ufficio) Roberta Campana, di fronte al giudice per le indagini preliminari Federica Gaudio,che ha convalidato il suo arresto e confermato la detenzione in carcere.
Ma quello delle 23.50 non è l’unico messaggino ricevuto dalla vittima quella sera da parte della sorella. Intorno alle 18 Oxana le scrive: “C’è qui sotto casa Maurizio che vuole vedere le figlie”. Ma Zina si rifiuta: “No, facciamo domani”, le risponde. I carabinieri in ogni caso sorvegliano la zona. Intorno a mezzanotte, circa due ore prima del delitto, passano da via Da Giussano per un controllo ma non riscontrano anomalie. Poco dopo però arriva il killer e aspetta la sua vittima: “Non ricordo se il coltello l’ho portato da casa o se l’ho trovato lì. L’ho colpita ma non volevo ucciderla. Zina mi amava tanto, non si meritava questa fine”, ha raccontato al gip. Mercoledì all’ospedale Papa Giovanni è in programma l’esame autoptico sul cadavere della 36enne

 

L’omicidio di Zinaida «Zina» Solonari a Cologno, «L’ultima cena con me prima di essere uccisa. Aveva paura» (Corriere della Sera – 5 maggio 2021)
Imputato il marito, Maurizio Quattrocchi. In aula parlano la sorella e il cognato: «Di lui aveva paura, si sentiva una preda»
Seduta al banco dei testimoni, Oxana Solonari incrocia le dita come se pregasse, le braccia tese, lo sguardo fisso. Non si volta verso il pm Letizia Ruggeri, che la interroga. Mette come una barriera in quella direzione, che è dove il cognato Maurizio Quattrocchi, 49 anni, imputato, siede immobile nella gabbia a vetri degli imputati. «Stavo dormendo e ho sentito chiedere aiuto. Sembrava come un gatto, perché era un suono soffocato. Ho capito che era mia sorella, ho svegliato mio marito e siamo usciti a piedi nudi. L’abbiamo trovata in fondo alle scale. L’ho vista per terra e lui la teneva per il collo».
Sono stati gli ultimi attimi di vita di Zinaida «Zina» Solonari, 36 anni, moldava e madre di tre ragazze. Vitalia, 18 anni, attende fuori dall’aula. Le altre due, avute da Quattrocchi, hanno 10 e 14 anni.
Quegli ultimi istanti, la Corte d’Assise del giudice Giovanni Petillo li ripercorre quattro volte, una per ciascuno dei testimoni presenti alla tragedia, la notte del 6 ottobre 2019, a Cologno al Serio. Oltre a Oxana, c’erano il marito Lucio Carlo Di Dio, suo fratello Alessandro e un vicino di casa, Riccardo Pasini. L’omicidio è avvenuto fuori dalle loro case. Tutti accorsero svegliati dalle grida di Zina, ma nessuno vide le coltellate. Il medico legale riferisce di 18 ferite: 3 al volto, 7 alle mani «da difesa», 8 al collo. Quella fatale ha attinto l’aorta alla base del collo, «il dissanguamento in questi casi è molto rapido». Solonari è morta in pochi minuti con la camicia bianca intrisa di sangue: «Respirava male e piano piano si è spenta davanti a noi», ricorda Lucio Di Dio.
Oxana ha 32 anni, il suo italiano non è perfetto, ma racconta fino all’ultima frase sussurrata dalla sorella: «Io non respiro più». Il marito si era lanciato per bloccare Quattrocchi una prima volta. «Ho preso Zina e l’ho sollevata. Disse: “Non riesco”. La sentivo pesante. Quattrocchi è tornato verso di noi, mi ha spinto via, l’ha presa per i capelli e le era sopra. È stato allora che ho visto che aveva il coltello». Secondo Di Dio, lo aveva tra le mani «chiuso, però l’aggrediva ugualmente con pugni, calci, spinte». Poi l’arma è caduta a terra. L’appuntato del Ris che l’ha analizzata conferma la presenza del sangue della vittima sulla lama. «Il coltello a serramanico era di Quattrocchi, l’aveva in cucina», sono sicuri sia Di Dio sia Tatiana, sorella maggiore di Zina.
«Lasciami andare», avrebbe ordinato l’imputato sempre a Di Dio quella notte, prima di fuggire con la Peugeot 206 azzurrina, incidentata sul lato anteriore, che Pasini è certo di avere notato ferma nella loro strada a fondo chiuso già due ore e mezza prima del delitto.
Con la stessa auto si costituì il pomeriggio successivo, confessando, e ora il suo avvocato Gianfranco Ceci vuole una perizia psichiatrica. È il capitano Giuseppe Romano, comandante del Radiomobile di Treviglio, a introdurre l’indagine, il movente della gelosia, le due denunce per maltrattamenti sporte dalla vittima nei 10 giorni precedenti. La situazione era degenerata dopo le vacanze a Falconara Marittima. «Maurizio era diventato ossessivo, possessivo e aggressivo», dichiara Di Dio, che è anche nipote dell’imputato. Parla di varie aggressioni viste e riferite: «Cercò di strangolarla con l’accappatoio». Il 3 ottobre andò da loro ad aiutarla a traslocare e notò i fili della rete Internet tagliati: «Le aveva ritirato il telefono. Dopo l’ultima lite, Zina voleva andarsene a Falconara, ma le consigliai di venire da noi. Arrivò lui, ci trovò in casa e andò su di giri». Di Dio la spinse ad andare in caserma: «La seguì. Fuori, la minacciava. Capii che lei non sarebbe mai entrata a denunciarlo e allora ho chiamato io un carabiniere». Spiega di essersi reso conto che «la situazione stava sfuggendo di mano».
Consigliò a Quattrocchi di parlare con uno psicologo: «Non voleva, continuava a ripetere che aveva sbagliato». Non parlava di separazione, Zina sì. Già 8 anni prima, secondo il cognato, voleva lasciarlo. «L’ultimo pomeriggio lui venne a casa e Zina non volle vederlo. Diceva che si sentiva come la preda in gabbia di un leone, che l’avrebbe sbranata. Aveva paura».
Verso sera la donna uscì, tutti erano convinti per lavoro. Invece dall’estate frequentava in segreto Dario Bonacina, altro teste. Dopo cena «siamo stati in intimità», si sforza di rispondere alla difesa. Avevano progetti? «Non la spingevo, era prematuro, ma ne parlammo». Zina gli aveva descritto il suo matrimonio come «10 anni d’inferno». «Quello mi ammazza, non mi dà il divorzio», si era sfogata. «Era segnata, psicologicamente sempre, e circa 10 giorni prima le avevo visto anche segni sul collo». Lividi. «Zina era una brava donna», vuole aggiungere prima di lasciare l’aula.

 


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