Sulla Nuova Venezia la cronaca del femminicidio di Victoria Osagie avvenuto a Concordia Sagittaria, in provincia di Venezia, il 16 gennaio 

Due uomini in casa quel giorno non sono riusciti a impedire che la donna venisse ammazzata, incapaci – hanno testimoniato Jacob Kinsely e Jacob Airen – di contenere la furia dell’amico. Uno è stato ferito alla mano, l’altro ha pensato ai bambini. Il primogenito, arrivato con i genitori in Italia da piccolissimo, ha indicato il cassetto della cucina dove il padre, commerciante di abbigliamento ubriaco al momento del fermo, aveva pulito alla meglio e riposto il coltello, afferrato insieme ad altri arnesi per uccidere la donna. Il bambino si è reso conto di tutto e sono state le sue urla a gelare i vicini che hanno chiamato i carabinieri. Le altre due bambine sono nate in Italia, la più grande frequenta la seconda elementare. Orfani senza madre, con il padre in carcere e senza parenti prossimi vicini. E’ il sindaco Claudio Odorico che ora si occupa di loro interrogandosi su cosa li aspetta, dopo essere scoppiato a piangere mentre in macchina quella notte li portava via da casa per accompagnarli in un luogo protetto.

Le pagine dei giornali dedicati al delitto. La Nuova Venezia con la cronaca della barbara uccisione e la foto di Victoria Osagie con il volto insaguinato sul Corriere del Veneto, inviata dalla donna alla zia per raccontare delle violenze subite 


La trappola del Covid

Sembrava decisa a trasferirsi con i figli in una casa protetta, Victoria. Tutto era stato deciso dopo l’ultimo suo ingresso al pronto soccorso, il 23 settembre scorso. C’era stata già a febbraio, il giorno 20, con un occhio nero che si è riportata a casa mentre dall’ospedale partiva la segnalazione ai carabinieri, di seguito alla procura e anche ai servizi sociali. “Signora sicura che non vuole sporgere denuncia?”. Nel febbraio precedente il referto medico recita 10 giorni di prognosi, ne servono 20 per procedere d’ufficio. “E’ stato fatto il possibile per aiutarla – dice il procuratore di Pordenone Raffaele Tito alla vigilia dell’autopsia – non è stata lasciata sola. Altre volte è successo, ma questa no”.
Victoria non se l’è sentita di denunciare l’uomo, “nonostante sia stata più volte invitata ad ammettere le violenze – racconta ancora Tito – è stata ascoltata 5 volte, abbiamo avuto le mani legate senza la sua collaborazione“. A novembre cade dalle scale, a suo dire: non conferma i maltrattamenti, ma “prende coraggio”. “I servizi sociali le avevano trovato un posto, era tutto deciso ma la signora è risultata positiva al Covid. Non si è potuta muovere e quando è stata ricontattata aveva cambiato idea. Nei verbali c’è la sua dichiarazione – legge Tito – ‘Ormai la situazione è sotto controllo’, il tempo di trovare una sistemazione. Ma sappiamo che in casa non si rivolgevano la parola. Lui aveva saputo dell’interessamento dei servizi sociali e questo ha contribuito a peggiorare ulteriormente il clima”.

Le pagine di cronaca del Gazzettino con le ricostruzioni successive al delitto

Come è morta Victoria
I giornali riportano che sarebbero state altre persone a informare l’uomo delle intenzioni della moglie. Interrogato, ha chiamato in causa la gelosia: l’accusava di tradirlo e lo faceva spesso, “solo che dalle indagini – ci tiene a sottolineare il procuratore – è venuto fuori che ad avere una relazione era proprio lui”.
Gli contestano l’omicidio pluriaggravato tra l’altro dalla crudeltà, visti i segni delle armi con cui ha infierito sul corpo. L’ha rincorsa per tutta casa e anche nel cortile della villetta a schiera in affitto in via Silvio Pellico 18 dove si erano trasferiti tre anni fa, arrivati da San Donà. L’ha “riacciuffata” – riportano i testimoni – per non darle scampo. Due settimane prima aveva postato una foto di loro due insieme: “My wife, my everything, I love you dearly”. Victoria invece aveva spedito una foto alla zia – Maria Bibola, vive a Meolo – con la faccia insanguinata dopo un pugno del marito. Anche un’amica, Ade, ricorda le confidenze e le sofferenze della donna. “Aveva paura di perdere i bambini”. Poteva essere salvata?
Il dilemma del silenzio. Una donna “bellissima, sorridente, gentile, premurosa con i figli, un angelo”, ci teneva che i figli andassero bene a scuola, che frequentassero la chiesa. Si dava da fare con le pulizie, lavori saltuari. Ma le liti c’erano, con cadenza periodica. I carabinieri conoscevano lui e la sua tendenza ad eccedere con l’alcol. Non è chiara la sistuazione economica della famiglia. Si legge che l’uomo nell’ultimo periodo avesse difficoltà con il lavoro, ma riuscisse comunque a spedire soldi in patria. In casa con loro viveva l’amico Kinsey, in cambio dell’ospitalità si occupava dei bambini mentre i genitori erano al lavoro. Era successo anche in passato che ospitasserro conoscenti, e già una brutta lite nelle stesse circostanze era capitata. Al momento del delitto c’era  anche un altro conoscente di Moses Osagie, pare invitato dall'”inquilino”. “Se era così geloso non li portava in casa quegli uomini”, è stato un commento di un vicino. “Victoria voleva lasciare Moses, ma senza fare rumore”, il titolo del Gazzettino del 18 gennaio. “Siamo tutti responsabili”, le parole di don Natale Padovese, parroco della cattedrale di Santo Stefano, pronunciate dicendo messa.

Sempre sulla Nuova Venezia, la nomina del curatore speciale per i tre figli di Victoria Osagie, ora in una casa protetta e seguiti dai servizi sociali del Comune 

Dove non arriva il Codice Rosso. La cronologia e i buchi nella storia. Il 20 febbraio 2020, il primo accesso in ospedale che fa partire l’iter di protezione dopo un colloquio in caserma e con le esperte del centro antiviolenza di Portogruaro. Il 23 settembre il secondo ‘incidente’, con la decisione di andarsene da casa. Il 5 ottobre un nuovo tentativo di convincerla a querelare. Il 20 ottobre, senza che i genitori lo sapessero, sono stati sentiti i figli in forma protetta: “Non c’erano liti a casa”, hanno detto i bambini. Ma resta un dubbio: i provvedimenti sarebbero potuti partire d’ufficio? Il bambino, ha raccontato il procuratore, non ha parlato di maltrattamenti ma era stato a trovare la mamma in ospedale, dunque c’era stato un ricovero? Passaggi contraddittori, da chiarire una volta per tutte. Il 19 novembre gli atti del fasciolo vengono inviati al tribunale dei minori di Trieste. Ed è in quei giorni che Moses Ewere viene a sapere che la donna lo vuole lasciare.
“Il Codice Rosso è stato rispettato”, sintetizza Tito, non nacondendo l’amarezza. Guai però a colpevolizzare le donne. “Esistono zone grigie”, come le ha chiamate Annamaria Marin, avvocata del Centro antiviolenza e Telefono Rosa di Trieste, parlando alla Nuova Venezia. “Sono quelle che si creano quando c’è un allarme ma non ancora una denuncia, nonostante la donna abbia comunque espresso sofferenza. E’ a quel punto che servirebbe un protocollo che faccia scattare gli interventi di supporto per far capire alla donna che non è sola. Ci sono armi in casa? Il convivente fa uso di droghe o alcol? Va verificato il rischio. Serve più informazione, più centri antiviolenza, più case rifugio. Dove la vittima non riesce ad arrivare, dovrebbe accorrere la società”.
Restano anche i tre bambini. E’ stato nominato un curatore, ma il tribunale dei minori deve decidere a chi affidarli. Non sarà facile. In Italia vivono la sorella del padre, che abita a Como, e la zia della madre, residente nel Bolognese. Bisognerà però capire se queste famiglie siano effettimente in grado di provvedere al futuro di tre fratelli, improvvisamente soli al mondo.
Il Comune ha concesso il patrocinio alla raccolta fondi da devolvere ai tre figli di Vicky promossa dall’Associazione Goal Smile-Aiuto per un sorriso.
Bonifici: Banca BCC del Pordenonese e Monsile, Iban IT55K0835636070000000068128