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Simonetta Fontana, 64 anni. Uccisa, insieme alla figlia e ai nipotini, dal genero (strage di via Manin o strage di Sassuolo)

Sassuolo (Modena), 17 Novembre 2021


Titoli & Articoli

Sassuolo un anno dopo la strage, Enrico: «Mi mancano, ancora non capisco come possa essere successo» (Corriere della Sera – 13 novembre 2022)

Nabil Dahri uccise la compagna Elisa Mulas, la suocera e due figli, poi si suicidò . Il fratello di Elisa racconta oggi la vita insieme alla nipote che diede l’allarme

«La mamma, Elisa e i miei nipoti mi mancano tanto, il tempo non può rimarginare una ferita così grande». A parlare è Enrico Mulas, unico superstite Mulas-Fontana, dopo la mattanza dello scorso 17 novembre a Sassuolo, quando Nabil Dahri, 38 anni, ex compagno di Elisa Mulas, entrò nell’appartamento di via Manin e sterminò l’intera famiglia, prima di togliersi la vita. A sopravvivere a quella tragedia anche Fatima (nome di fantasia), oggi 12enne, che quella mattina era a scuola. Fu proprio lei a dare l’allarme, quando nessuno si presentò a prenderla. In quella tragedia, ancora oggi inspiegabile, morirono oltre a sua madre, i due fratellini, Ismaele e Sami, di 2 e 5 anni, figli di Nabil, e la nonna, Simonetta Fontana, di 64 anni. Oggi vive in comunità ed è in attesa dell’affido a uno dei familiari: era figlia di una precedente relazione di Elisa.

Enrico: fa ancora troppo male

A un anno di distanza, Enrico Mulas, fratello maggiore, ha trovato il coraggio di raccontare quei momenti così drammatici. «Quella mattina ero a lavorare, mi ha chiamato la polizia, e dall’altra parte del telefono c’era anche mia nipote. Mi sono precipitato nell’appartamento e quando sono entrato nel corridoio ho visto Nabil per terra, in una pozza di sangue. Sono caduto sulle ginocchia, non riuscivo a mettere a fuoco. In un primo momento ho pensato che fosse stata mia sorella a colpire Nabil con un oggetto di marmo che avevamo su una mensola. Ho iniziato a urlare il nome di mia mamma e di mia sorella, ero convinto che fossero scappate. Poi un poliziotto, con grande umanità, mi ha preso da parte e mi ha raccontato tutto». Enrico non ha avuto il coraggio di andare oltre a quel corridoio. «Non ho mai neanche avuto il coraggio di leggere il verbale della polizia che mi è stato recapitato qualche giorno dopo. Fa ancora troppo male e ancora oggi mi sembra di parlare di un film, invece è la dura realtà». Gli chiedo se è mai più rientrato in quell’appartamento. «La casa è stata sotto sequestro per circa quattro mesi. Quando hanno tolto i sigilli mi sono fatto coraggio, volevo recuperare alcuni oggetti personali. Elisa aveva due pesci rossi, che per quattro mesi non hanno mangiato. In quel vaso d’acqua ne ho trovati quattro. Non erano morti, ma si erano riprodotti». Ora li ho a casa con me, questo è un segnale che mi ha dato una forza immensa. Sono insieme alle foto dei miei cari, che spolvero ogni mattina, lasciandomi spesso andare ad un pianto liberatorio».

Nessuno saprà mai cosa è successo

Oggi l’unica persona che gli è rimasta è la nipote Fatima, che frequenta la seconda media: «Vedo regolarmente la bambina, è seguita da educatori e neuropsichiatri, ha reagito bene al trauma, è sempre circondata da persone che le vogliono bene anche se niente può ripagare quello che ha perso. La 12enne non ha contatti con il padre biologico, anche se lui spesso le manda dei regali in comunità, ma lei al momento non vuole riallacciare i rapporti. «Ama disegnare e ascolta sempre la musica». Poi ricominciamo a parlare di Elisa, che era tornata a vivere dalla madre poche settimane prima della strage anche per aiutarla con il nonno Renzo, 97enne, in casa al momento della tragedia. Affetto da malattia neurodegenerativa è rimasto nella sua camera inerme e dormiente mentre Nabil sterminava l’intera famiglia, per poi morire pochi giorni dopo. I rapporti tra Nabil ed Elisa non erano così tesi, secondo Enrico: «Lui non aveva mai alzato un dito su di lei. Stavano insieme da sette anni, lui era cassiere al Lidl ed era conosciuto da tutti. Ultimamente il rapporto si era incrinato e lei aveva deciso di tornare dalla mamma con i bimbi, che lui vedeva regolarmente. Elisa diceva che era una piccola crisi». Nessuno saprà mai cosa è successo. Enrico, che ha perso il padre all’età di 38 anni per una malattia, si commuove ricordando sua mamma: «Nonostante la mia età ero ancora il suo bimbo da accudire. Era una donna molto semplice, pochi vezzi e molto colta, leggeva sempre». Prima di salutarci chiedo ad Enrico come si riesce ad affrontare un dolore così grande. «Per un mese non riuscivo a dormire da solo, mi facevano compagnia alcuni amici. Poi ho reagito, sono una persona forte e mi sono sempre arrangiato da solo. Lo scorso 1 novembre ero con Fatima al cimitero e ho pensato che ho più persone qua che al mondo. Ma ce la farò». (di Valentina Lanzilli)


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