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Palmina Martinelli, 14 anni. Muore dopo 22 giorni di agonia per le ustioni riportate dopo essersi opposta a prostituirsi. Secondo la Cassazione, si sarebbe data fuoco da sola e avrebbe calunniato i 4 di cui fece i nomi al magistrato in punto di morte. Il Processo è stato riaperto, ma gli accusati non possono più essere processati

Fasano (Brindisi), 2 Dicembre 1981


Palmina muore dopo 22 giorni di agonia. Il processo si conclude con l’assoluzione dei principali indagati (il fidanzato e un cognato): la ragazzina si sarebbe suicidata. Ma 36 anni dopo, il processo viene riaperto. Qualunque sia la conclusione legale, Palmina è morta per in quanto donna: suicida o uccisa, il movente è lo sfruttamento del suo corpo da parte degli uomini della sua famiglia.


Titoli & Articoli

Palmina Martinelli: la Cassazione riapre il caso (Next Quotidiano – 3 aprile 2016)
Gli ermellini hanno annullato senza rinvio il decreto di archiviazione del Tribunale di Brindisi e trasmesso gli atti ai pm di Bari perché si scavi ancora. Ma in principio del “ne bis in idem” pare insuperabile
Un nuovo tassello alla narrazione processuale della lunga vicenda di Palmina Martinelli era già stato posto dalla Procura di Brindisi che nel 2012 aveva avviato nuove indagini e tre anni dopo aveva concluso che fosse “ragionevole” ritenere che la 14enne, arsa viva dal fuoco nel 1981 a Fasano (Brindisi), fosse stata uccisa e non si fosse suicidata. Ora è la Corte di Cassazione a riaprire uno spiraglio, accogliendo una questione di competenza territoriale sollevata da Stefano Chiriatti, l’avvocato che assiste Giacomina, la sorella della ragazzina che sarebbe stata assassinata perché non voleva prostituirsi. Gli ermellini hanno annullato senza rinvio il decreto di archiviazione del Tribunale di Brindisi e trasmesso gli atti ai pm di Bari perché si scavi ancora: secondo il vecchio Codice Penale in vigore fino al 1989, infatti, la competenza veniva stabilita sulla base del luogo della morte e non del posto in cui era stato compiuto il reato.
Palmina Martinelli: la Cassazione riapre il caso Il cuore di Palmina cessò di battere al Policlinico del capoluogo pugliese. Tutto il lavoro già compiuto dai pm brindisini che hanno chiesto l’archiviazione sul principio del ne bis in idem” (mai imputati due volte per lo stesso fatto) confluirà in un nuovo fascicolo.
Resta comunque un dato insuperabile: nel 1989 la Cassazione con una sentenza che riconosceva l’insussistenza del fatto confermò i verdetti di assoluzione dei due imputati che in primo e secondo grado erano stati emessi con formula dubitativa. I due non potranno mai più essere giudicati per il delitto. Solo eventuali complici potranno essere mandati a processo. Nel frattempo c’è comunque chi non si è mai arreso. Tra questi, oltre a Giacomina, Nicola Magrone, il pm che all’epoca dei fatti indagò sulla vicenda, sostenne l’accusa e che oggi è sindaco di Modugno (Bari), cittadina che sta per intitolare una piazza all’adolescente coraggiosa che in punto di morte fece i nomi dei suoi presunti assassini. “Entrano Giovanni ed Enrico e mi fanno scrivere che mi ero litigata con mia cognata. Poi mi chiudono nel bagno, mi tappano gli occhi, mi mettono lo spirito e mi infiammano“, disse la ragazzina a Magrone dal suo letto d’ospedale. “Sono ancora fiducioso che Palmina ottenga giustizia. È una battaglia di civiltà“, spiega Magrone. Nel 2012 il nuovo esposto della sorella, la consulenza medico legale e la perizia grafologica che accertarono che Palmina si coprì gli occhi con entrambe le mani mentre qualcuno appiccava il fuoco: non volle guardare, ma soprattutto non poté fare tutto da sola. Poi il contenuto del biglietto d’addio ai famigliari, i riscontri sulle due grafie, la “prova” di una manipolazione.
La storia di Palmina Martinelli L’omicidio di Palmina Martinelli risale all’11 novembre del 1981, quando a Fasano, nella sua abitazione, venne ritrovata in fin di vita. Gli investigatori puntarono immediatamente i loro sospetti su quattro giovani di Locorotondo, uno di 23 anni, due di 22 e l’ ultimo di 18. Secondo l’accusa i quattro avrebbero dato fuoco a Palmina Martinelli perché non voleva prostituirsi. La ragazzina morì in ospedale a dicembre. Le prove portate dall’ accusa a sostengo delle tesi di colpevolezza non ressero, però, né in primo né in secondo grado. Alla fine i quattro furono assolti anche dalla Corte di Cassazione.

 

Palmina, bruciata viva dal papà e il cognato a 14 anni perché non voleva prostituirsi: l’audio choc della denuncia (Quotidiano di Puglia – 19 marzo 2018)
11 novembre 1981. Quel giorno di quaranta anni fa comincia la storia di Palmina Martinelli. Una storia triste e amara andata in scena a Fasano, in una casa abbrutita dal degrado e dalla miseria, dove la 14enne viveva con la famiglia. Un padre disoccupato e una mamma domestica con il vizio di bere troppo, dieci fratelli, la violenza all’ordine del giorno. Aveva sognato di fuggire Palmina da quell’abitazione che per lei era come una prigione. Aveva provato ad andare via, ad allontanarsi dal suo destino, ma era stata riportata a casa a suon di schiaffi. Pur di evitare di finire sulla strada avrebbe raggiunto la Germania con una compagna di scuola, ci avrebbe riprovato ancora, se non le fosse stata tolta la vita.
Quando l’adolescente rifiutò di prostituirsi la cosparsero di alcool e le diedero fuoco con un fiammifero. La ragazzina corse in bagno per spegnere le fiamme sotto la doccia, ma l’acqua quel pomeriggio mancava a causa di un malfunzionamento all’acquedotto. Lì fu ritrovata dal fratello maggiore Antonio, ormai in fin di vita.
La morte atroce di Palmina. La seconda data importante nella storia di Palmina Martinelli è quella del 2 dicembre, quando il suo cuore ha smesso di battere nel reparto grandi ustionati dell’Ospedale di Bari, dove era stata ricoverata per le ferite riportate. 21 giorni di sofferenze atroci, ma prima di spegnersi, la 14enne ha fatto nome e cognome dei suoi carnefici, ha indicato chi le aveva fatto del male. A ridurla così erano stati Giovanni Costantini, il ragazzo di cui era innamorata e Enrico Bernardo, compagno di una delle sorelle della 14enne, Franca, marchiata a sangue (le avevano tatuato il nome del «padrone» sulla carne) e gettata sulla strada a prostituirsi in una chiesa sconsacrata con la minaccia di uccidere la figlia di pochi mesi. I sospetti su due fratellastri di Locorotondo erano fondati, visto che la madre gestiva una casa di appuntamenti in una vecchia villetta diroccata.
Le parole di Palmina, in punto di morte, furono incise sul nastro di un vecchio registratore e usate come prova dall’allora procuratore capo Nicola Magrone nel processo contro Giovanni e suo fratello Enrico giudicati innocenti, definitivamente.
Suicidio. Palmina si è ammazzata. Nonostante quella confessione con una voce flebile e agghiacciante si parlò di suicidio
. In fondo era scritto nero su bianco sulla lettera che la piccola aveva scritto a sua madre. “Addio per sempre” si legge sul foglio di carta lasciato sul tavolo della cucina. E tanto bastava come saluto definitivo. Costantini e Bernardo furono assolti ‘per non aver commesso il fatto’. A scrivere la parola fine fu la Cassazione. Non c’era stato nessun omicidio. Palmina s’era ammazzata, «depressa per come veniva trattata in famiglia» si sarebbe data fuoco con le sue mani perché non voleva prostituirsi. Peggio, la sua confessione era stata archiviata come la calunnia di una ragazzetta bugiarda, intenzionata a trascinare nella tragedia, dietro di sé, quante più persone possibili.
Non solo nessuno ha mai pagato per la morte di Palmina, ma per la giustizia italiana il delitto non era mai avvenuto.
Nuove perizie e accertamenti medico-legali hanno stabilito che fu arsa viva. Le sue mani coprivano il volto mentre le fiamme le consumavano il corpo. Non voleva vedere, cercava di difendersi.
35 anni dopo, grazie alla battaglia portata avanti dalla sorella Giacomina, il caso è stato riaperto. Omicidio aggravato a carico di ignoti: questa è l’ipotesi di reato. I nomi che Palmina indicò, sul letto di morte, come i suoi assassini non potranno più essere giudicati, ma a distanza di tanti anni quello che conta è ridare dignità ad una ragazzina che era morta perché nessuno l’ha difesa da chi voleva costringerla a vendere il suo corpo.

 

Palmina, bruciata viva dal papà e il cognato a 14 anni perché non voleva prostituirsi: l’audio choc della denuncia (quotidianodipuglia.it)

Bruciata viva 39 anni fa, la sorella: “Qualcuno sa cosa accadde, ma non parla” (Brindisi Report – 11 novembre 2020)
La Cassazione bollò il caso di Palmina come un suicidio, ma le indagini sono state riaperte. Mina Martinelli si batte ancora per avere giustizia
“Qualcuno sa cosa accadde quel giorno a mia sorella, ma oggi non vuole parlare. C’è ancora omertà”. Mina Martinelli ricorda Palmina, che aveva 14 anni quando cominciò a morire, esattamente 39 anni fa. Era l’11 novembre 1981. Qualcuno le cosparse il corpo di alcool e le diede fuoco. Morirà 22 giorni dopo, in ospedale. Per la giustizia italiana si trattò di un suicidio, per molti, tra cui la sorella Mina, quello fu un omicidio. Qualcuno voleva costringere Palmina a prendere una strada che lei non avrebbe mai imboccato: la prostituzione. Era poco più di una bambina, poco meno di una ragazzina, ma il suo rifiuto fu netto. E questo le costò la vita.
Fasano, anni ’70-’80. Palmina – è il ricordo della sorella Mina – è una bambina come le altre, che vuole vivere come tutte le coetanee. La situazione in famiglia non è semplice, ma il sorriso sul volto delle sorelle non manca. Mina è più grande di un anno, vanno molto d’accordo. Frequentano insieme l’orfanotrofio “Latorre”, dal 1974 fino al 1979. Non è una famiglia ricca, quella di Palmina e di Mina, tutt’altro. Ma i momenti felici ci sono, impressi ancora oggi nella memoria della sorella Mina. Lei, il giorno della tragedia, ha 15 anni, lavora a Bari presso una signora. Sente una notizia alla radio e il sangue le si gela. E’ l’11 novembre del 1981. Uno dei fratelli di Palmina, Antonio, entra in casa e trova la sorella sotto la doccia, che tenta di spegnere le fiamme che avvolgono il corpo. Invano. E’ un’altra epoca: quel giorno a Fasano manca l’acqua. Una tragedia nella tragedia. Il fratello Antonio, otto anni dopo, concederà un’intervista alla trasmissione “La macchina della verità”. In quella testimonianza ammetterà di non aver portato subito la sorella al pronto soccorso, ma di aver aspettato una trentina di minuti. Non solo l’acqua in casa, nella macchina di Antonio manca anche la benzina. Non pensa neanche di usare il telefono, è confuso: “In quel momento mi venivano tante cose da pensare”, dirà al conduttore. Alla fine, Palmina viene portata al pronto soccorso dell’ospedale di Fasano. Non è più una 14enne spensierata, no, è una ragazzina che ha ustioni sul 70 per cento del corpo. La soccorre un chirurgo, si chiama Lello Di Bari, anni dopo sarà sindaco di Fasano. Sono le 16.30, Di Bari fisserà nella memoria quell’orario e non lo cancellerà mai più. Spiega oggi: “La ragazza aveva i vestiti bruciacchiati ed era in uno stato di notevole agitazione, nonostante le sue condizioni generali fossero ancora discrete, tanto che, avendomi riconosciuto, mi chiedeva piangendo di aiutarla e mi raccontava che in tre le avevano dato fuoco, facendomi anche i nomi. Nei minuti successivi, tuttavia, le condizioni generali peggiorarono rapidamente e, dopo averle tolto gli indumenti che indossava, mi resi conto che Palmina aveva ustioni di secondo e terzo grado che interessavano circa il 70 per cento della superficie corporea. Dopo averla stabilizzata, la trasferii con la massima urgenza presso il Centro grandi ustioni del Policlinico di Bari dove, dopo una lunghissima agonia, Palmina concluse la sua giovane vita”.
Bari, anni ’80. Durante l’agonia di Palmina, la giustizia si mette in moto. Il caso, per competenza territoriale, è affidato alla Procura di Bari. Il pm Nicola Magrone si reca in ospedale, va a trovare Palmina portando con sé un registratore. E’ sconvolto per quanto accaduto, per l’età della vittima, ma è determinato nel rendere giustizia a Palmina. Entra nella stanza e si trova di fronte uno scempio: della ragazzina allegra e sorridente ormai rimane ben poco. Le si vedono a malapena gli occhi. Con l’aiuto di un medico Magrone riesce comunque a farsi raccontare cosa è accaduto. L’audio della registrazione mette i brividi. Con un filo di voce Palmina risponde alle domande di Magrone e indica anche i suoi aguzzini. Di uno non ricorda il cognome, ma il nome sì. Dopo 22 giorni quel che resta della ragazzina allegra cessa di vivere. Il processo viene istruito, ma non basta il lavoro di Magrone. La Cassazione scriverà – momentaneamente – la parola fine su questa vicenda. Per gli ermellini quello fu un suicidio, non un omicidio. Le prove non bastano. E non basta neanche la parola di Palmina.
“E’ stato ignorato il coraggio di Palmina, la sua richiesta di Giustizia”, spiega Nicola Magrone oggi. “La Cassazione ha peggiorato la situazione, se possibile, il caso venne bollato come un suicidio. A me Palmina fece i nomi dei carnefici, ebbe questo coraggio. Raccontò tutto, ma questo evidentemente non bastò. Non venne creduta, venne quasi condannata, implicitamente, perché lei disse che era stata uccisa, ma nella sentenza si parla di suicidio. Invece Palmina difese se stessa”.
Bari, aprile 2016. Palmina non si è arresa in punto di morte, neanche la sorella Mina si arrende di fronte alla giustizia. Perché lei cerca Giustizia, con la maiuscola. Le due sorelle sono accomunate dalla tenacia. Assistita dall’avvocato Stefano Chiriatti del foro di Lecce, Mina Martinelli riesce a far riaprire il processo. Certo, gli imputati di allora non possono essere processati nuovamente. Ma Mina vuole che il sigillo di “suicidio” venga tolto. Quello fu un omicidio, ripete da anni Mina. E anche l’associazione Libera ha inserito il nome di Palmina tra quelli delle vittime della mafia e della criminalità organizzata.
Il 30 marzo 2016 la corte di Cassazione accoglie il ricorso di Mina e dell’avvocato Chiriatti, ricorso che si basa anche su una perizia medico-legale, redatta dall’anatomo-patologo Vittorio Pesce Delfino. Spiega Chiriatti: “Detto in soldoni, questa perizia esclude nella maniera più assoluta che si parli di un suicidio. Volendo riassumere quello che è un vero trattato, al momento del rogo, Palmina avrebbe dovuto avere quattro braccia. Se con due braccia si proteggeva il viso, come avrebbe fatto ad appiccare il fuoco nella zona addominale? Comunque la perizia dice molto di più, anche per questo è stato riaperto il caso”. La denuncia a carico di ignoti viene presentata a Brindisi, ma poi le indagini passano per competenza territoriale a Bari, dove sono ancora in corso. Si attende a breve la loro chiusura.
Napoli, oggi. Alcuni giorni fa Mina Martinelli ha ricevuto un regalo, gradito e inaspettato. Sono alcune foto che ritraggono Palmina all’orfanotrofio “Latorre” a Fasano. Altre mostrano momenti di festa. Palmina ha i capelli corti, a caschetto, in alcune foto. Oggi Mina Martinelli vive a Napoli, è sposata e ha una sua famiglia. Ma Palmina non l’ha dimenticata. Continua a battersi e a lottare perché venga fatta giustizia. All’epoca, quando capì cosa era successo alla sorella, provò rabbia: “All’inizio mia madre mi chiamò e, per non farmi spaventare, parlò di un incidente – dice oggi Mina – Poi a poco a poco capì cosa avevano fatto a Palmina. Lei fece i nomi, eppure non è stata creduta. Provo molta rabbia”. Ora vive lontano da Fasano, ma cosa pensa dell’ambiente in cui maturò il caso? “Per alcuni punti di vista, non molto è cambiato. C’è ancora omertà sul caso. Qualcuno sa e non vuole parlare. L’amica del cuore di Palmina ha addirittura detto che non la conosceva, l’ha detto esplicitamente”. Mina Martinelli si batte contro l’omertà, in nome della sorella. Anche l’ex sindaco Di Bari, il chirurgo che fu tra i primi a soccorrere Palmina non crede alla tesi del suicidio, tanto che, il 23 aprile del 2012, da sindaco di Fasano, di concerto con l’associazione “Libera”, intitolò una piazza a “Palmina Martinelli, giovane vittima di crudele violenza”. Oggi Lello Di Bari spiega: “Non ho mai avuto dubbi, sin dai primi istanti, che si fosse trattato di un brutale omicidio e non di un suicidio. Palmina è stata vittima di una cultura di violenza e prevaricazione. La sua ‘colpa’, quella di opporsi alla volontà dei suoi carnefici, che volevano indurla alla prostituzione. Un rifiuto che ha pagato con una morte atroce”. Mentre si attende l’esito delle nuove indagini, Mina continua a combattere, in nome della memoria di Palmina. E continua a sfogliare le foto, ricordando quando erano due bambine spensierate.


In memoria di

13 novembre 1981 Fasano : Danno fuoco a 14enne che non voleva prostituirsi .
Nella foto : tre dei quattro responsabili dell’aggressione da sin. Giovanni Ferri , Enrico Bernardi e Vito Felice Roseto. ANSA ARCHIVIO NEG.A5496 – sim