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Orsola Serra, 50 anni, insegnante. Ritrovata morta, strangolata, nel suo letto. Condannato l’amante (che continua a professarsi innocente)

Alghero (Sassari), 23 Ottobre 2011

orsol Orsola viene ritrovata nel suo letto, con una corda vicino al collo. Il suo amante inizialmente nega anche di essere l’ amante.


Titoli & Articoli

Alghero, prof morta con corda vicinoProcura apre un fascicolo per omicidio (Unione Sarda – 9 novembre 2011)
Svolta nelle indagini per la morte di Orsola Serra, l’insegnante cinquantenne di Alghero trovata priva di vita dieci giorni fa nella camera da letto del suo appartamento, con una cordicella accanto al corpo.
Il sostituto procuratore del Tribunale di Sassari, Paolo Piras, ha aperto un fascicolo contro ignoti con l’ipotesi di omicidio. Archiviate quindi le piste seguite finora: suicidio – scartato dopo l’esito dell’autopsia – e gioco erotico finito in tragedia. Per i carabinieri della compagnia di Alghero e il medico legale Francesco Lubinu, che ha eseguito l’esame autoptico ed effettuato un sopralluogo nell’appartamento della vittima, la morte dell’insegnante è dovuta a strangolamento. Sul corpo non sono stati trovati altri segni di violenza, oltre a quelli profondi sul collo lasciati dalla corda. In casa, inoltre, non vi sono tracce di effrazione. Il cadavere dell’insegnante era stato trovato dal padre della donna. La famiglia si era da subito rivolta a un legale per chiedere alla Procura, inizialmente orientata per il suicidio, di non archiviare il caso e disporre nuovi accertamenti. Stamattina l’avvocato Elias Vacca ha presentato in Tribunale, per conto della famiglia, un memoriale con testimonianze di conoscenti e parenti della vittima, in cui vengono ricostruite le sue abitudini e criticato l’operato degli inquirenti. Gli inquirenti, intanto, scavano nel passato dell’insegnante e si cerca tra le sue conoscenze qualcuno che possa indicare la soluzione di quello che al momento rimane un giallo. Un aiuto potrebbe arrivare dai tabulati telefonici e dal setaccio del personal computer della donna.

 

Omicidio di Alghero, Orsola e la misteriosa telefonata (la Nuova Sardegna – 18 gennaio 2012)
Nei momenti in cui Orsola Serra è stata strangolata, dal suo cellulare è partita una chiamata diretta a un’amica. Che non ha risposto. Erano per l’esattezza le 19.22 di domenica 23 ottobre. Ora però gli inquirenti vogliono sapere se quella telefonata è stata fatta prima di morire proprio dalla professoressa algherese oppure se a digitare i tasti è stato il suo presunto assassino, Alessandro Calvia, indagato per omicidio volontario e perciò rinchiuso a San Sebastiano. Secondo il sostituto procuratore Paolo Piras, infatti, potrebbe anche essere stato l’uomo a far partire la chiamata, così da spostare in avanti l’istante della morte e farla apparire avvenuta nell’ora in cui lui è in grado di provare di essere stato con la fidanzata.È uno dei motivi per il quale il tribunale del riesame ha rigettato il ricorso presentato dall’avvocato Stefano Carboni, difensore del sospettato.
Ma a spingere il collegio composto dai giudici Salvatore Marinaro, Marina Capitta e Cristina Fois a non concedere ad Alessandro Calvia di attendere in stato di libertà l’esito dell’eventuale processo sono anche altri importanti elementi, alcuni dei quali evindenziati nell’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip Teresa Lupinu. Per esempio il pericolo di reiterazione del reato. Calvia, sostiene il tribunale del riesame, «è particolarmente incline al delitto». Ma a parte questo, nell’alibi che lui stesso ha fornito agli investigatori ci sarebbero parecchie incongruenze. Tanto per fare un esempio, l’indagato sostiene di aver incontrato quella maledetta domenica Orsola Serra intorno alle 16.45. Per poi rivederla nell’abitazione di lei alle 17.
Proprio all’ora in cui l’insegnante si sarebbe trovata a casa della zia Livia per proporle di andare a messa insieme. Non basta. Calvia sostiene anche di aver incrociato un luogotenente dei carabinieri alle 15.30 in via degli Orti. E il diretto interessato smentisce. Resta poi la questione relativa alla cordicella sulla quale è stato trovato il Dna dell’uomo. La difesa contesta alla Procura di aver fatto esaminare il laccio dal Ris rendendolo «non più materialmente disponibile», in quanto distrutto durante l’analisi scientifica. Ma anche in questo caso il tribunale del riesame ha deciso di non tenere conto della tesi dell’avvocato.

 

Omicidio di Alghero Al processo parlano i genitori di Orsola (la Nuova Sardegna – 5 giugno 2012)
«Ho messo la chiave nella toppa e ho aperto. Mi sono preoccupato perché Orsola chiudeva con tutte le mandate. Ho cominciato a chiamarla, non rispondeva». È iniziato così il racconto in Corte d’Assise del padre di Orsola Serra, l’insegnante cinquantenne trovata senza vita dal genitore, la mattina del 24 ottobre scorso ad Alghero. Accusato di omicidio premeditato è Alessandro Calvia, 42 anni, ex amante della donna.
Ettore Serra, il padre di Orsola, ha spiegato che né lui né la moglie Aurea Martinez erano a conoscenza della relazione sentimentale. La donna ha aggiunto di non avere mai creduto all’ipotesi del suicidio. Il maggiore del Nucleo investigativo del Comando provinciale dei carabinieri, Giuseppe Urpi, ha poi riferito che l’alibi di Calvia non ha trovato riscontri.

 

A delineare lo scenario del gioco erotico è stata la perizia di Francesco Maria Avato, direttore dell’Istituto di Medicina legale dell’Università di Ferrara, già perito nel caso Garlasco
L’erotismo è la nuova pista
su cui si è imbattuta l’inchiesta su Orsola Serra, l’insegnante algherese trovata morta nella sua abitazione a ottobre dello scorso anno. L’unico indagato resta Alessandro Calvia, il 42enne in carcere dal dicembre scorso. A delineare lo scenario del gioco erotico è stata la perizia di Francesco Maria Avato, direttore dell’Istituto di Medicina legale dell’Università di Ferrara, genetista, medico legale e già perito nel caso Garlasco (per l’omicidio di Chiara Poggi ndr). Il tecnico nominato dai difensori di Calvia, Nicola Satta e Danilo Mattana, ha evidenziato nell’aula del Tribunale di Sassari diversi punti.
In primo luogo “smonta” alcune certezze: l’orario del decesso avvenuto 6/7 ore (intorno alle 2/3 del mattino) e non 12, rispetto al primo intervento medico sul corpo (ipotesi che potrebbe rivedere le posizioni sugli alibi); nessun cappio nel cordino utilizzato per strangolare la Serra; nessun nesso scientifico tra la notevole quantità di dna di Calvia trovato sulla parte centrale della corda e l’assassino che avrebbe potuto lasciarlo in un momento distinto dall’omicidio.
Verso la pista erotica – ha spiegato Avato – conduce sostanzialmente ciò che non c’è, piuttosto che quello che c’è nella scena del delitto. Nessun segno di collutazione, nessun indizio di resistenza, un solco unico nel collo senza interruzioni. Una serie di elementi da appurare a partire dalla prossima udienza fissata per il 29 ottobre.

La foto di Orsola Serra (Blog di Roberto Morini)
“Alle immagini pensava Franco Lefevre. Gli chiedevi se aveva la foto di un marziano con le doppie punte e lui borbottava: e che problema c’è? Poi te la trovava sul serio, magari di una marziana, meglio se in topless”. Paola Zanuttini ricostruisce anche così, nell’ultimo numero del Venerdì, i 25 anni del settimanale di Repubblica. Anche lei maschilista, come tutti i giornalisti o quasi. Qualsiasi pretesto va bene per mettere una tetta in prima pagina, pensando forse di vendere una copia in più. Io penso che le tette non portino più copie, se mai le hanno portate in passato. Penso che le portino le notizie. E che le tette, per rispetto della metà dei nostri lettori, andrebbero pubblicate solo quando sono parte integrante di una notizia. Altri la pensano in altro modo.
Il caso è esploso online a causa della foto rimasta per alcune ore sul sito della Nuova Sardegna a supporto dell’articolo sull’udienza in tribunale per l’omicidio di Orsola Serra. Era una delle foto scelte dall’insegnante di Alghero per la propria pagina su facebook. Prima della sua morte quella foto sottolineava una delle tante facce della sua vita. Dopo la sua morte è stata usata più volte per avvalorare la pista del gioco erotico portato alle estreme conseguenze come causa della sua morte. Una pista di indagine che il giornale deve raccontare perché esiste e perché è una delle  ipotesi che potrebbero scagionare l’imputato attualmente sotto processo, che si proclama innocente.
Non a caso quella pista è indicata come credibile proprio dalla difesa e dai suoi periti. Proprio questo racconta l’articolo al centro della rivolta web. Pubblicare la notizia è dovere della cronaca. Dire se l’ipotesi è credibile o no non spetta al cronista. Affiancarle quella foto può essere, credo anch’io, una scelta di cattivo gusto. E quando la protesta su internet è montata la foto è stata giustamente rimossa.
Questa la vicenda. Alcune osservazioni.
Prima osservazione. Qualcuno se la prende con l’articolo di Elena Laudante. Li invito a leggerlo: preciso, documentato, offre la cronaca giudiziaria di un’udienza senza mai cedere al voyeurismo. E poi: qualcuno attacca per quella foto il giornale su carta. La prossima volta lo compri, lo legga al bar o se lo faccia prestare: sul giornale quella foto non c’è. Una quarantina di anni fa è capitato anche a me di gridare slogan in piazza contro una legge che non avevo nemmeno letto. Mi fidavo dei miei compagni di corteo che lanciavano gli slogan dal megafono e li ripetevo, anche un po’ incazzato. Poi ho imparato che prima di lanciare invettive è meglio documentarsi. E’ solo un invito, per non fare brutte figure. Che poi anche quando si ha ragione si rischia di passare dalla parte del torto.
Seconda osservazione. Come conferma il pezzo di Paola Zanuttini che ho citato all’inizio, in tutti i giornali si usa l’immagine femminile pensando che faccia vendere copie. L’ha usata anche lei, giornalista donna, come confessa candidamente. E come lei fanno tanti altri giornalisti, ma anche non poche giornaliste. E’ un errore del mestiere, storicamente bisex. Che andrebbe corretto, anche se le donne che fanno questa professione sono le prime a non ribellarsi al clima da caserma che spesso si respira nelle riunioni di redazione. A giocarci, anzi, con tipico cinismo femminile.
Che fare?  Non so. La rivolta di un giorno, con lo scalpo della foto ritirata, è un segnale. Forse una attenzione quotidiana maggiore da parte di tutti, giornalisti e lettori, vale più di un corteo sul web con tanti slogan gridati. Ammenoché l’obiettivo della rivolta non sia un altro. Ma questo non posso saperlo. (di Roberto Morini)

 

L’omicidio di Orsola Serra, la Cassazione conferma i 24 anni per Calvia (La Nuova Sardegna – 10 luglio 2016)
Condanna definitiva per il 45enne accusato di aver strangolato e ucciso l’insegnante di Alghero
«Finalmente giustizia è stata fatta, dopo tutte le calunnie rivolte a mia figlia e alla nostra famiglia, questa sentenza mette la parola fine a una tragedia che ha distrutto la sua e le nostre vite». Ettore Serra, padre di Orsola – l’insegnante strangolata e uccisa a ottobre del 2011 – ha la voce spezzata dall’emozione mentre commenta il verdetto della Cassazione che, rigettando il ricorso dell’imputato contro la sentenza della corte d’assise d’appello di Sassari, ha confermato la condanna a 24 anni di carcere per Alessandro Calvia, il 45enne accusato di aver ammazzato l’insegnante di Alghero. «La cosa più importante – rimarca l’avvocato Pietro Piras che ha tutelato i familiari della vittima in tutti e tre i gradi di giudizio – è che si sia arrivati all’accertamento della verità e quindi della effettiva responsabilità di Alessandro Calvia».
Le sorelle dell’imputato per il processo in Cassazione avevano revocato l’incarico ai precedenti difensori scegliendo un altro legale: Claudio Salvagni, l’avvocato difensore di Massimo Bossetti (condannato qualche giorno fa all’ergastolo per l’omicidio di Yara Gambirasio). Decisione maturata all’indomani della sentenza della corte d’assise d’appello, a ottobre del 2014.
Calvia quel giorno aveva abbassato la testa e ascoltato in silenzio il verdetto della corte presieduta da Plinia Azzena che aveva accolto la richiesta del procuratore generale Stefano Fiori e anche l’appello incidentale della parte civile – rappresentata dall’avvocato Piras – condannando l’imputato al pagamento di una provvisionale di 700mila euro: 250mila per padre e madre della vittima e 100mila per ogni fratello. Il risarcimento, come è stato confermato ieri dai familiari di Orsola, «sarà devoluto ad alcune associazioni che si occupano di assistere le vittime di violenza».
I giudici di secondo grado, così come quelli di primo, avevano evidentemente valutato come prove inconfutabili di colpevolezza diversi elementi. A partire da quello chiave: il dna trovato nel cordino con cui il 23 ottobre del 2011 venne strangolata e uccisa Orsola. Dna che, così come era stato accertato, apparteneva ad Alessandro Calvia.
Il pg nella sua requisitoria aveva sostenuto con forza che le tracce in quel punto esatto della corda dimostravano che la stessa era stata utilizzata in un certo modo da chi uccise la vittima, una dinamica che non ammetteva quindi dubbi sul fatto che l’imputato fosse colpevole. Ma intorno a questa prova ruotava anche un’altra serie di elementi messi in luce dall’avvocato di parte civile Pietro Piras, a partire dalle contraddizioni intorno all’alibi.
Aurea Martinez, madre di Orsola, dopo la notizia della condanna definitiva di Calvia si è lasciata andare a un pianto liberatorio: «Quante calunnie contro mia figlia. Lei che era una donna benvoluta da tutti, i suoi alunni la amavano, sempre pronta ad aiutare il prossimo. Poi le è capitata la disgrazia di incontrare quell’uomo…».

 

Il cuore di Orsola (Un giorno in pretura – 5 novembre 2016)

 

Un processo: il caso Orsola Serra (22 novembre 2022)

Abbiamo acceso, tanto tempo fa, un cerino nella caverna, dove scorgiamo ombre platoniane, forse le sole che esprimono una finzione/verità. I processi sono rappresentazioni? Il dibattimento deve solo esibire lo spartito di una musica già scritta e arrangiata? Tutto ciò che riportiamo emerge dalla sintesi delle testimonianze.
Siamo nel 2011. Orsola Serra è una insegnante nel ramo pedagogico, vive da sola ad Alghero; ha un fratello e una sorella (distaccata all’ambasciata italiana a Mosca) e due amorevoli genitori, con cui divide pensieri e frequentazione della chiesa, poiché sono tutti ferventi cattolici. Di fronte a lei vive anche una zia cui è molto legata. Nel 2010 la professoressa sta meditando di aprirsi uno studio, frequenta corsi e stage per ampliare la sua già robusta preparazione, soprattutto nel ramo della psicologia infantile (ha scritto anche un libro).
In aula ci viene detto che la single, per motivi sia morali che fisici (una misteriosa affezione pubica) non ha mai avuto rapporti sessuali, insomma è ancora vergine all’alba del suo mezzo secolo. Un bel giorno, forse in occasione della ricorrenza dei morti, si reca al cimitero e, all’uscita, dopo un gioco di sguardi con un uomo, trova sotto il tergicristallo un biglietto con un numero di telefono e una rosa rossa. Compone il numero e quel mistery man le risponde; la sera stessa inizia una relazione completa con Alessandro Calvia, operaio addetto alle reti da pesca, di qualche anno più giovane, tossicodipendente forse in via di riabilitazione, utente del SERT.
Forse per l’inesperienza in materia sessuale, vuoi per destino, la donna si infatua – forse è eccessivo parlare d’amore – e preme per una ufficializzazione del legame, una convivenza, magari anche il matrimonio e un figlio… Viene anche fuori qualche bizzarro particolare: nonostante un cognato bancario con cui si consiglia, Orsola non ama gli istituti di credito e tende a tenere grosse somme in casa; forse in quel periodo si trattava di quasi centomila euro, necessari per acquistare la sede dello studio e un’autovettura. Sorge la prima domanda: quel denaro era effettivamente dentro casa e, in caso affermativo, chi ne era al corrente? Tale aspetto scompare presto dalla discussione.
Di più, Orsola lamentava da tempo il furto delle chiavi del suo appartamento e di aver notato spostamenti di oggetti quando rientrava da fuori, ed ecco la seconda domanda: perché mai una persona descritta come maniaca della propria incolumità tanto da chiudere, quando usciva, perfino le porte dei singoli vani, non aveva provveduto a cambiare la serratura?
La storia con Alessandro è definita da lui prettamente a scopo sessuale, quasi che all’inizio anche la partner ne avesse condiviso l’impostazione, salvo cambiare idea. Dopo un breve periodo di fitta frequentazione, sostanzialmente di letto, senza mai varcare l’uscio nemmeno per un caffè insieme, verso Natale, sempre a detta di lui, con la concessione di alcuni giorni di permesso dagli arresti domiciliari cui era obbligato, egli decide di trascorrerli con madre e sorelle e mal sopporta le insistenze di Orsola per accompagnarloTerza domanda: se pativa questo confinamento, come si spiega l’andirivieni di questo signore in casa di lei? Nessuno, in dibattimento, ha chiarito o ha insistito su questo punto.
Qualcosa di più che un mordi e fuggi stile “Il laureato” tra i due, oltre il sesso, doveva esserci, per forza di cose, se proprio Alessandro afferma di aver ricevuto confidenze e di aderire ogni tanto a qualche richiesta pratica dell’amante, ma ribadisce sempre che erano scuse per tenerlo legato, da parte di una donna prossima a perderlo, visto che lui era in procinto di tornare con Anna Diana, fidanzata storica allontanata in un periodo di crisi. Le amiche dell’insegnante dovranno ammettere che lei lo tampinava (per esempio presentandosi sotto il balcone in auto e irritandolo vieppiù) ed era perfino gelosa di loro, del tutto disinteressate al soggetto.
Domenica 23 ottobre la poveretta non si presenta alla messa serale come sua abitudine, né risponde alle telefonate. L’indomani papà Ettore si risolve a entrare in casa della figlia, trovandosi dinanzi l’orribile scena: Orsola prona sul letto sormontato da baldacchino, indosso solo le mutandine, e un cordino… attorno al collo? Purtroppo osservatori acuti hanno già rilevato che le cronache non sono state univoche in merito; probabile che il padre angosciato e sotto shock abbia provato ad allentare la presa, nella speranza che ci fosse ancora possibilità di salvezza, mollando poi la funicella e occupandosi di chiamare i soccorsi e di avvisare mamma Aurea.
Dopo circa un mese e mezzo il cerchio delle indagini si stringe appunto intorno alla figura oggetto del desiderio della vittima, forse considerati i precedenti di instabilità e l’insofferenza da lui dimostrata verso la ex descritta sempre, anche a processo, come una sorta di stalker nei suoi confronti.
Per l’ennesima volta i periti non concordano sulla dinamica dell’omicidio; il primo referto di morte viene effettuato da un medico ASL, e poi dovrà essere “raddrizzato” da quello legale, lasciando qualche vaghezza al riguardo: pertanto, l’ora della morte non è certa, abbiamo solo la dichiarazione di Ettore che ricorda il corpo a temperatura ambiente e inoltre, sorpresa, dopo le analisi di prassi, la corda è stata distrutta… non prima, però, di avervi trovato il DNA dell’imputato, proprio al centro: ciò è strano, per un’azione di strangolamento “classica”, che comporterebbe pressione ai margini dell’oggetto.
Viene fuori che, in realtà, qualche altra storia sentimentale, nelle vita di Orsola, c’era pur stata, segnatamente con un certo Pietro Moretti. La difesa sostiene che costui (tizio propenso all’alcolismo), quella domenica, era stato visto in un bar nei pressi dell’abitazione di lei, con la quale voleva riallacciare, alterato dalla love story con Calvia. Tuttavia, nessuno (difensori compresi) si è preso la briga di farlo intervenire nemmen come testimone, né risulta gli sia stato chiesto di fornire alibi.
E’ possibile che non si volesse ulteriormente irritare la corte, già ostile ad Alessandro, per i suoi atteggiamenti? Parlare della morta come di un “passatempo” cui ricorrere “al bisogno”, non lo ha reso certo più simpatico; il suo tirare sempre in ballo questo Moretti è apparso solo un misero tentativo di sviare l’attenzione; la strenua difesa di mamma, sorella e nipote, è stato evidentemente valutata come soccorso familiare; il passato di droga deve aver pesato.
La povera Orsola è stata trovata quasi nuda e, visto il suo noto pudore e l’attenzione che poneva a non farsi notare da nessuno che potesse criticarla per la sua passione “proibita”, solo una persona in intimità con lei avrebbe potuto sorprenderla alle spalle e toglierle la vita in quel modo. Non bastasse, il giovanotto invia una missiva ai magistrati, pare senza avvisare i propri legali (che cambieranno in corsa), con ignominiose allusioni sul conto di papà Serra.
Nondimeno stupisce che non abbiano pesato affatto le testimonianze della fidanzata Anna, con cui nel frattempo il Calvia si era riconciliato, e del figlio di lei: i due hanno assicurato che l’uomo aveva trascorso serata e notte da loro; il ragazzo specifica, altresì che, dormendo egli in un letto che blocca la porta di casa, Calvia non avrebbe neppure permettersi una “scappatella” senza svegliarlo. Il DNA è presente, ma, come abbiamo visto, in posizione anomala e, dopotutto, Ale frequentava quella casa ma, soprattutto e di nuovo, osserviamo noi: possibile che senza questo ormai mistico feticcio genetico, non ci sia modo di indagare ad altri livelli? E prima, come si faceva? Nel tempo si è levata qualche voce a insinuare che il delitto potesse essere scaturito da un gioco erotico, ma nel 2014, con la sentenza di Cassazione, è stata confermata la condanna all’ergastolo per Alessandro Calvia. (Carmen Gueye)

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