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Mina Safine, 45 anni, badante. Bruciata viva dal marito, chiama il 112 e muore in ospedale dopo una settimana di agonia

Urago Mella (Brescia), 27 Settembre 2020

 


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Mina Safine, morta bruciata: la disperata ultima chiamata al 112 (GDB-27 ottobre 2021)
Le ultime, strazianti, parole di Mina Safine sono riecheggiate nell’aula del tribunale di Brescia, durante il processo per il suo omicidio. La disperata richiesta d’aiuto – l’audioregistrazione della telefonata al Nue 112 che la donna ha effettuato alle 22.14 di domenica 20 settembre 2020 – è stata riprodotta davanti alla Corte d’Assise presieduta da Roberto Spanò. Ad ascoltare le drammatiche grida della donna, morta in ospedale a Genova sette giorni dopo a causa delle ustioni, c’era anche il marito Abderrahim Senbel, imputato e accusato di averle dato fuoco dopo averla cosparsa di alcol. Lui ha sempre negato, sostenendo che la donna si sia data fuoco da sola.

La richiesta d’aiuto – di cui vi proniamo la registrazione, sconsigliandone l’ascolto alle persone più sensibili – parte dall’appartamento in via Tiboni al quartiere Urago Mella in città, dove Mina – che ha 45 anni e fa la badante – vive con il marito, marocchino come lei e senza lavoro. Le parole che la donna usa con l’operatrice sono chiare: «Mi aiuti, mi aiuti: mio marito mi ha bruciato».

Mentre Mina si rivolge disperata al 112, l’uomo urla dal terrazzino del condominio al settimo piano, chiedendo l’intervento di qualcuno. Lo raccontano alcuni passanti, tra cui una vicina di casa che sta portando a passeggio il cane: anche lei dopo pochi minuti chiama i soccorsi, allarmata dal trambusto. Tra i condòmini, invece, nessuna testimonianza di quei tragici minuti: sullo stesso pianerottolo della coppia c’è un appartamento disabitato e nessuno degli altri residenti nello stabile fornisce una testimonianza dettagliata. Si limitano a dire: «Abbiamo sentito urlare prima lui e poi lei, ma non abbiamo capito cosa stesse succedendo».
Nonostante il trasferimento d’urgenza all’ospedale Gaslini di Genova, Mina muore domenica 27 settembre, una settimana più tardi: le profonde ustioni, estese sul 90% del corpo, sono troppo gravi.
Le indagini. Nell’appartamento di via Tiboni gli inquirenti trovano del liquido infiammabile e una coperta. Subito scatta l’arresto di Abderrahim, anche lui ustionato sul braccio e sul fianco sinistro e sulla mano destra. Ricoverato al Civile, dove è rimasto piantonato fino a dopo l’intervento chirurgico a cui è stato sottoposto, ora l’uomo è nel carcere di Opera a Milano. Non è chiara la dinamica di quanto accaduto, perché se da una parte c’è la convinzione che sia stato l’uomo a dare alla fiamme la compagna – come dice lei stessa nella telefonata al 112 – dall’altra lui ha sempre negato, come riferito dal suo avvocato Luigi Daniele Fariello. Al legale, infatti, il nordafricano ha ribadito durante il ricovero quanto aveva detto subito dopo l’interrogatorio di convalida, nel quale aveva scelto di non parlare. «Senel mi ha ripetuto – dice l’avvocato – di non avere responsabilità alcuna, ma di essere intervenuto nel tentativo di spegnere le fiamme e salvare la moglie». Una versione poi ripetuta il 15 giugno scorso, dopo nove mesi di silenzio, davanti al magistrato in un nuovo interrogatorio, durato quasi tre ore. Per il medico legale consulente del pubblico ministero Caty Bressanelli, però, le ustioni che hanno ucciso Mina Safine non sarebbero compatibili con la versione del marito perché l’incavo delle ascelle della vittima «è rimasto intatto, il che esclude che la donna abbia alzato le braccia».

 


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