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Marianna Vecchione, 35 anni, cameriera in un ristorante, mamma. Uccisa con tre colpi di fucile da caccia dal compagno, davanti ai figli

Terni, 23 Marzo 2011


Titoli & Articoli

Terni: uomo uccide con un colpo di fucile la moglie che voleva lasciarlo – Tragedia consumatasi a Terni (LiveNews 24 – 24 marzo 2011)
Marisa Vecchione è la donna di 35 anni che ieri pomeriggio è stata uccisa a Terni dal marito, Giuliano Marchetti, con un colpo di fucile. L’uomo, 43 anni, è stato arrestato dopo una lunga confessione in questura.
Il movente dell’omicidio è dovuto all’intenzione della donna di lasciare il marito e mandarlo via dalla casa di proprietà di lei. Nel primo pomeriggio di ieri, tra i due coniugi è scoppiata una lite nel loro appartamento, proprio per questi motivi. Lite che è degenerata fino al punto di indurre l’uomo a prendere il fucile da caccia, regolarmente detenuto, e sparare tre colpi contro la moglie, di cui solo uno mortale.
L’omicidio è avvenuto nella stanza da letto della figlia sedicenne di Marisa Vecchione, che in quel momento non era in casa. Gli altri due figli della coppia, invece erano in casa, il piccolo di tre anni stava dormendo, mentre la bambina di sette anni avrebbe assistito all’omicidio della madre.

“La volevo solo impaurire”: così Giuliano Marchetti sull’uccisione della compagna (Umbria left – 24 marzo 2011)
Ha sostenuto che voleva ”solo impaurire” la compagna il quarantatreenne Giuliano Marchetti arrestato ieri sera a Terni dalla polizia per avere ucciso con un colpo di fucile, davanti alla figlia di sette anni, la donna, Marianna Vecchione, 35 anni, al termine di una lite. Scoppiata dopo che la vittima gli aveva intimato di andarsene di casa perche’ voleva troncare il loro rapporto. Lo ha detto lui stesso al suo difensore, l’avvocato Roberto Spoldi, che lo ha incontrato in carcere in vista dell’udienza di convalida dell’arresto in programma domani mattina davanti al gip di Terni Pierluigi Panariello.
Al legale l’uomo e’ apparso ‘‘scosso ma sereno nel ripercorrere quanto avvenuto ieri, confermando quanto gia’ raccontato agli inquirenti”. Marchetti avrebbe preso il fucile da caccia, regolarmente denunciato, quando la compagna, originaria della Puglia, nel corso dell’ennesimo litigio durato oltre un’ora, gli avrebbe intimato di andarsene di casa, dicendogli poi che se non lo avesse fatto avrebbe cambiato la serratura. L’uomo avrebbe inoltre spiegato che lo sparo mortale al cuore sarebbe partito al termine di una colluttazione, dopo che due colpi avevano gia’ raggiunto il soffitto della stanza da letto in cui e’ avvenuto l’omicidio. L’omicidio e’ avvenuto mentre un altro figlio della coppia, di tre anni, dormiva in un’altra stanza.

Uccide la compagna e va in questura (La Nazione – 24 marzo 2011)
Ha ucciso la compagna davanti ai loro due figli, di 3 e 7 anni. Una lite, l’ennesima, stavolta violenta, sfociata in un’immane tragedia familiare. Giuliano Marchetti, 43 anni, ha imbracciato il fucile da caccia, regolarmente detenuto, e ha fatto fuoco sulla convivente, Marianna Vecchione, 36 anni, che non ha avuto scampo.
Il dramma si è consumato
intorno alle 14.30, nell’appartamento al terzo piano di via Brodolini 10 dove viveva la famiglia. L’uomo si è quindi lasciato alle spalle il cadavere della donna e i due bambini, ha chiuso la porta di casa, è uscito e ha girovagato per quasi un’ora per poi presentarsi in questura, al corpo di guardia: “Ho appena ucciso la mia compagna”. Gli agenti delle volanti e della squadra mobile, con gli adddetti del 118, si sono catapultati sul posto, hanno suonato il campanello e si sono visti aprire la porta dell’abitazione dalla più grande dei due figli, una bimba di 7 anni lasciata sprofondare nel terrore. L’altro, appena 3 anni, al momento della tragedia dormiva e non l’avrebbe svegliato nemmeno lo sparo.
Uno, quello che ha centrato Marianna uccidendola sul colpo, altri due quelli esplosi dall’uomo durante la lite. Per lui, fino a tarda serata ascoltato in questura dagli inquirenti, l’accusa è omicidio volontario. Alla vista delle macchine della polizia e del 118, la popolosa zona di via Brodolini, alla periferia della città, pian piano è calata nell’incubo.
Marianna, lì, la conoscevano tutti. Praticamente c’era nata, poi dopo il matrimonio, finito, vi era tornata a vivere con il nuovo compagno regalandogli questi due splendidi bambini. Dal primo matrimonio aveva avuto una figlia ora quattordicenne, che frequenta il primo anno delle superiori e che dalla nascita ha dovuto fronteggiare dei problemi seri. Marianna non l’ha lasciata mai sola. Nello stesso stabile abita anche la mamma della vittima, la prima a tendere una mano ai due piccoli, in uno strazio infinito.
“Bellissima”, di Marianna lo dicono tutti in via Brodolini. Lavorava come cameriera, girava da un locale all’altro, dove la chiamavano, soprattutto in uno di Stroncone. Si dava da fare per i suoi tre figli ancora da crescere. Giuliano si era ritagliato il suo spazio in un catena della grande distribuzione, “è un capetto”, ricordano i vicini. Già, ma con Marianna le liti si erano fatte sempre più frequenti. Non tanto, comunque, da far trapelare la cosa fino a renderla di dominio pubblico. In molti, infatti, li ricordano “sempre insieme e sorridenti”. Non ieri, appena dopo pranzo. E ci sarebbe il tarlo della gelosia dietro la follia criminale dell’uomo. Tra i due sarebbe divampata una lite, stavolta particolarmente violenta. Una vera e propria colluttazione: in questo senso i segni trovati in casa. Fino allo sparo.
La mamma aveva appena addormentato il figlio più piccolo quando l’ennesima discussione si è trascinata nel dramma, davanti agli occhi atterriti della figlioletta. Il corpo della vittima sarebbe stato trovato in camera da letto, bocconi. Sul posto il sostituto procuratore della Repubblica, Barbara Mazzullo, e il dirigente della squadra mobile Tommaso Niglio, che conducono le inndagini, gli agenti delle volanti, gli addetti del 118, il medico legale Fabio Suadoni.
La casa è stata passata al setaccio dal personale della scientifica, per ricostruire nel dettaglio quanto accaduto. Gli inquirenti stanno approfondendo anche il movente, che resta comunque legato alle liti di coppia e alla gelosia. Sequestrata l’arma del delitto. L’uomo teneva il fucile da caccia in un armadio.
I familiari di Marianna,uno dopo l’altro, varcano l’ingresso dello stabile. Tutto intorno il quartiere piomba nello sconcerto e nella rabbia.

 


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In memoria di

LA FIGLIA ORFANA: «MIA MADRE UCCISA DAL COMPAGNO E IO SONO RIMASTA SOLA, DOLORE CHE NON PASSA» (il Messaggero casa – 6 ottobre 2019)
«Mi manca tutto di lei. Mi manca tanto il suo sorriso, anche quando era triste e stanca mia mamma sorrideva sempre.
Ricordo i nostri frequenti viaggi a Roma per le mie cure, mi sembra di sentire ancora la sua voce, di vederla al ritorno da scuola. Non mi ha mai chiamato col mio nome, per lei ero Sharetta».
Sharon, 25 anni, è stata costretta a crescere troppo in fretta. Ne aveva 17 quando si ritrovò a convivere con la tragedia che segnerà anche la sua vita. E’ il 23 marzo 2011 quando sua  mamma Marianna Vecchione, 35 anni, viene uccisa dal compagno, Giuliano Marchetti, nell’appartamento della coppia, a Terni. Un delitto consumato di fronte ai due figli di Marianna e Giuliano, che hanno 3 e 7 anni, nella cameretta di Sharon, che è la figlia del primo marito della vittima.
La vicenda penale si è chiusa a marzo del 2015, con una sentenza definitiva e una condanna per Marchetti a 16 anni di carcere. Dopo l’addio alla mamma, Sharon, affetta dalla sindrome Franceschetti, una malattia rara che l’ha costretta ad affrontare 17 interventi e tanti viaggi al Bambino Gesù, sempre accompagnata dal sorriso e dal supporto di sua madre, si è trovata a percorrere una strada tutta in salita.
«Quando succedono queste cose ti trovi le porte chiuse, spariscono tutti, ti ritrovi completamente sola. Mi sono iscritta nelle liste delle categorie protette per trovare un lavoro ma i tempi d’attesa purtroppo sono infiniti» dice Sharon, che vive con la pensione d’invalidità da 290 euro e deve pagare l’affitto e tutte le spese per mantenersi. Sharon si dà da fare come può: fa la dog sitter e le pulizie ma andare avanti non è semplice. E non solo dal punto di vista economico.
«In tutti questi anni ho tentato in tutti i modi di mettere la parola fine al passato. Sono stata seguita a lungo da una psicologa, che mi ha aiutato nel difficile percorso di ritorno ad una vita più serena. Quello che è successo quel giorno ancora oggi non riesco ad accettarlo. Tra loro due c’erano litigate frequenti e spesso accese. Io ero un po’ preoccupata, ma sinceramente pensavo che alla fine si sarebbero lasciati tranquillamente. Oggi, dopo otto anni, so solo che al dolore per la perdita di mia mamma non potrò mai dire basta». Sharon da tre anni è in attesa di riavere indietro il telefonino di sua madre, che all’epoca fu sequestrato dagli investigatori per le indagini: «E’ un mio ricordo personale, affettivo, glielo regalai io e sono pronta a fare di tutto per tornarne in possesso». Sharon ci teneva molto a poter prendere il cognome della mamma ed è stata impegnata in lunghe e complesse procedure burocratiche: «Alla fine ci sono riuscita, il 24 ritiro tutte le carte e farò i nuovi documenti».
A breve Sharon dovrà affrontare l’ultimo intervento chirurgico, quello più delicato, e lo farà con tutta la forza e la determinazione che le ha trasmesso la sua adorata mamma. «Sono cresciuta troppo in fretta, non penso alle discoteche o a farmi le unghie. Anche per questo faccio una vita ritirata e ho rotto con molti amici. In questi anni mi sono rimasti vicino Monica, l’amica di mamma, che è una persona sincera, e mio nonno, Fabio». Sharon da un po’ di tempo è impegnata nel volontariato: «Mi fa bene aiutare persone che vivono momenti di difficoltà e disagio. In questi anni ho sperato tanto che qualcuno si prendesse cura di me e oggi, nonostante la mia vita non sia assolutamente facile, so che mi sento pronta a dare una mano a chi ha bisogno. So come stanno tante persone e vorrei donare loro un pezzetto di me».

 

Terni, 10 anni senza Marianna: «Dolore e rabbia ancora vivi» (UmbriaOn – 23 marzo 2021)
Parlano i familiari della 35enne uccisa con un colpo di fucile dal compagno Giuliano Marchetti. Era il 23 marzo 2011. «Donne, ribellatevi a chi vuole rovinare le vostre vite»
«Sono passati dieci anni dalla morte di Marianna e la sensazione, leggendo i giornali, guardando la tv, è che poco o nulla sia cambiato. Anche qui, come altrove, le donne continuano ad essere aggredite, offese, minacciate, picchiate, purtroppo anche uccise da chi dovrebbe amarle».
Omicidio efferato
A parlare sono i familiari di Marianna Vecchione, la 35enne ternana freddata con un colpo di fucile a bruciapelo il 23 marzo del 2011 dal compagno Giuliano Marchetti. Un omicidio avvenuto fra le mura dell’abitazione di via Brodolini dove la donna, 35 anni appena, che lavorava come cameriera in un ristorante, viveva con i figli piccoli – due, presenti in casa al momento del delitto – avuti da colui che le avrebbe poi tolto la vita al culmine di una banale lite domestica.
«Ribellatevi e denunciate. Prima che sia tardi»
«Marianna ci manca tanto, a tutti – dice il fratello Maurizio – e il vuoto che ha lasciato in noi, strappata alla vita in quel modo, non potrà mai essere colmato. Alle donne, a coloro che subiscono spesso senza trovare la forza di ribellarsi, mi sento di dire solo una cosa: denunciate, liberatevi da chi rovina le vostre vite. Prima che sia tardi».
«Legge troppo ‘blanda’ per chi fa del male»
«La sensazione – dicono i familiari – è che la legge, ancora oggi, sia troppo ‘blanda’. Per chi si trova a dover fare i conti con un marito, un compagno, un fidanzato e talvolta un semplice spasimante che conosce solo il verbo della violenza, spesso le misure partono da ammonimenti, divieti di avvicinarsi. Ma se c’è la volontà di fare male, di colpire, questi provvedimenti vengono spesso aggirati. Serve una maggiore tutela legislativa, perché di storie come quella di Marianna ne abbiamo lette e sentite sin troppe. Serve la certezza della pena».
Semilibertà per l’omicida
Ecco, la certezza della pena. L’omicida, Giuliano Marchetti, ternano che lavorava come cassiere in un supermercato e poi condannato – il 2012 in primo grado, il 2013 in appello e il 2015 in via definitiva – a 16 anni di reclusione per omicidio volontario, dal 30 giugno del 2020 è stato trasferito alla Terza Casa di Rebibbia (Roma) perché gli è stata concessa la semilibertà. In questi giorni è in licenza premio. Prima di Roma, è stato in carcere a Terni e quindi ad Orvieto.
«Messaggio sbagliato»
«Sinceramente – afferma Maurizio – non ci capacitiamo come dopo così poco tempo dall’omicidio di Marianna, siano state concesse determinate possibilità. Nulla intendo dire sul percorso di recupero ma mettetevi nei nostri panni: l’assassino, di carcere se n’è fatto relativamente poco, considerando anche i domiciliari che ha avuto fino al giudizio della Cassazione. Ed ora è in semilibertà. Che messaggio mandiamo? Credo che la lotta contro fatti gravi come le violenze sulle donne debba partire anche da questi aspetti, legislativi, penali e sociali. Togliere la vita ad una persona è la cosa più barbara che esista. Nel modo in cui è accaduto a Marianna, poi, fa orrore e rabbia al tempo stesso. Credo che tutti noi dobbiamo agire con coraggio, per lei e per le tante, troppe persone che sono vittime di un odio cieco e che, invece, vorrebbero solo vivere serenamente le proprie vite».
«Quando pagherà fino in fondo per ciò che ha fatto?»
Ancora più netto Massimiliano Vecchione, fratello di Marianna: «A dieci anni di distanza da uno dei più brutti anniversari della mia vita, ancora oggi mi ritrovo ad analizzare la parola ‘amore’. Purtroppo esistono delinquenti che si nascondono dietro il sentimento più nobile per giustificare le proprie azioni: non c’è alcuna forma di amore dietro le brutalità di chi arriva ad uccidere la madre dei propri figli, sparandole dall’alto verso il basso a mo’ di esecuzione. Pensavo di potermi rifugiare nelle istituzioni e alleviare un minimo il dolore che provo, credendo in un sistema che sapesse trattare tali delinquenti. Perché è vero che tutti dobbiamo avere una seconda possibilità e magari una terza e una quarta ma, a mio avviso, questo può accadere quando lo sbaglio è rimediabile, anche se grave. Io non ho mai voluto o sperato in una pena esemplare ma semplicemente in una pena giusta. Quello che ho scoperto nella mia disgrazia – conclude Massimiliano – è che il sistema giustizia ancora asseconda questi ‘mostri’ concedendo loro licenze premio e benefici. Il mio pensiero va a mia sorella, a tutte le donne ed ai figli che sono alle prese con individui del genere, ad un sistema che non è stato ancora capace di proteggere il diritto alla vita delle nostre madri».